L’ignoto che appare
La mostra L’ignoto che appare. Torino, presenze, 1967-2012 testimonia come – attraverso un’alchimia profondamente paradossale – nella città italiana più geometrica, razionale e pitagorica, molti studi ed alcune gallerie hanno visto nascere e svilupparsi un felice turbine d’invenzioni: l’apparire di nuovi materiali, spesso viventi, organici, che mutano e si trasformano.
Comunicato stampa
Verso la fine degli anni sessanta del secolo scorso, Torino - città profonda, città geometrica - ha cominciato ad accogliere intorno a sé un nutrito gruppo di artisti, che dopo pochi anni, nel vasto concerto internazionale, si sono affermati tra i più significativi e importanti del secondo dopoguerra. Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Mario Merz, Aldo Mondino, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Salvo, Gilberto Zorio, sono i famosi protagonisti di un nuovo linguaggio - delimitabile intorno alle fortunate definizioni di arte povera e arte concettuale - che annullando o trasformando radicalmente ogni residuo pittorico, ha saputo inventare inedite e visionarie forme.
La mostra L'ignoto che appare. Torino, presenze, 1967-2012 testimonia come - attraverso un'alchimia profondamente paradossale - nella città italiana più geometrica, razionale e pitagorica, molti studi ed alcune gallerie hanno visto nascere e svilupparsi un felice turbine d'invenzioni: l'apparire di nuovi materiali, spesso viventi, organici, che mutano e si trasformano: il seme, il vegetale, il minerale, la terra, la polvere, il sale, il fuoco, l'acqua, il legno, la parola, il ghiaccio; l'apparire di forme e segni e gesti, insieme avveniristici e arcaici, primitivi e fascinosamente attuali. "L'insurrezione del valore magico e meravigliante degli elementi naturali" (Celant), in un ininterrotto fluire di metamorfosi e mutazioni - in uno spazio urbano, Torino, ben noto per la sua elegante razionalità - nell'esperienza di un'organicità che diviene immobile plastica (Gilardi), e una plasticità che si trasforma in decostruzione e meditazione (Anselmo, Merz, Zorio), in specchio (Pistoletto), in "opera pensata" (Calzolari, Fabro, Paolini), o in parola cromatica e ambigua (Boetti, Salvo). Oltre il desiderio di qualsiasi volontà rappresentativa, una nuova arte nel vivere direttamente il mistero delle cose, dove il massimo peso diviene leggerezza, e la levità si può condensare in ferro, in pietra, in legno, in piombo; dove tutto il fascino della creazione viene ripreso, smontato e rielaborato, nel turbine di un immobile divenire: le forme araldiche di un ignoto che appare: segno e visione, immagine e simbolo.
In occasione della mostra, in cui saranno esposte circa 35 opere, verrà realizzato un catalogo a colori.