Piero Ruggeri – 34 opere da collezione
Opere da collezione, ovvero provenienti da diverse collezioni. E degne di appartenervi, dal momento che così è e, nello stesso tempo, meritevoli di figurare, messe temporaneamente una accanto all’altra, come piccolo omaggio al Maestro, in forma di doveroso e insieme modesto tributo della nostra associazione “Arte per Voi” e della Città di Avigliana.
Comunicato stampa
Piero Ruggeri. 34 opere da collezione.
Opere da collezione, ovvero provenienti da diverse collezioni. E degne di appartenervi, dal momento che così è e, nello stesso tempo, meritevoli di figurare, messe temporaneamente una accanto all’altra, come piccolo omaggio al Maestro, in forma di doveroso e insieme modesto tributo della nostra associazione “Arte per Voi” e della Città di Avigliana.
Opere diverse: oli, tempere su carta, incisioni; diverse anche per date, secondo il gusto e i tempi, che ne hanno dettato le relative scelte. E ciò, appunto, limitatamente ad alcune persone, che lo hanno conosciuto, frequentato e stimato; ciascuna a suo modo e in momenti, circostanze distinte.
Come poté accadere, forse un po’ banalmente, all’inizio, con un incontro nei locali pubblici, da lui frequentati, a due passi dall’Accademia Albertina, oppure su suggerimento, per interposta persona di un critico autorevole e, perché no, persino direttamente a casa sua, a Battagliotti.
Altri e altri ancora, colleghi artisti, amici, estimatori e collezionisti, perché così doveva essere l’animo aperto di Piero Ruggeri, lo frequentavano, pressoché quotidianamente. Io lo incontrai, appunto a Battagliotti, nella felice e fortunosa circostanza del ritrovamento nella cappella di San Grato in quella borgata aviglianese, proprio a due passi da casa sua , della tavola, con San Francesco e la Pietà, presto trasferita alla Galleria Sabauda e più tardi riconosciuta come opera di Antoine de Lonhy. Allora, giovane storico dell’arte, invitato all’abitazione del Maestro, su suggerimento del comune amico don Alberto Milani, viceparroco di San Giovanni di Avigliana, non seppi fare di meglio che suggerire la datazione di quell’opera, appena recuperata e in un uno stato veramente malconcio, intorno alla metà del xv secolo; devo dire, senza sbagliare di molto; d’altra parte, l’attribuzione ad Antoine de Lonhy giunse molto più tardi. E a me rimase, proprio a partire da quella, un dubbio, sotto forma di gioco-provocazione, quasi un calembour: e se il maestro Antoine, noto anche come Antonio de Villana (Avigliana) – citato in due documenti contrattuali rogati a Barcellona il 4 maggio 1462 come “Anthonius de Llonye pictor habitator ville de Villana in Ducatu Savoye” – fosse stato originario, per l’appunto della località aviglianese del Laione, proprio lì, a “un tiro di schioppo” da Battagliotti? Nient’altro che un antico e altrettanto illustre predecessore di Piero Ruggeri, venuto da quegli stessi gruppi di case sparse, sulla collina, poco distanti dal Lago Piccolo, per girare il mondo e divenire famoso? Portandosi negli occhi, come accadeva a Piero Ruggeri, la memoria di quelle colline, attraversate da figure nel paesaggio, abbagliate nella calura dal granoturco giallo, segnate di cespugli neri, antri, ombre nel bosco, attorno “Ai roch al castel d’Malan” o nelle dirompenti “Luci al Lajun”, il Laione, appunto.
Un’altra volta, poi, sempre a casa sua e non molto tempo dopo, il Maestro - e mi è rimasta impressa la sua immagine tirata e asciutta, vestita di scuro e alle sue spalle un suo grande dipinto, non saprei più dire quale, ma dominato da una intensa gamma di neri - pescando nella sua preziosa biblioteca, volle donarmi l’edizione in sei volumi, edita a Milano nel 1823 della “Storia Pittorica della Italia” dell’abate Luigi Lanzi (la sesta), assicurandomi che, a me, esordiente storico dell’arte, sarebbe stata ben più utile che a lui.
Così era, doveva essere, Piero Ruggeri, certo non solo con me ed è perciò altrettanto scontato che conservi ancora gelosamente quei volumi.
È ovvio che queste note fugaci sul Maestro non possano essere nient’altro che “microcosmi”, come si potrebbero definire con Claudio Magris.
E qualche altro ancora segreto “microcosmo” della febbrile ricerca che l’Artista condusse a lungo, immergendosi negli esperimenti affidati alle quasi duecento prove – calcografiche, litografiche e serigrafiche - finora documentate e così scrupolosamente indagate nel “Catalogo Generale” della sua opera grafica, a cura di Adriano Benzi, Francesco Poli e Gianfranco Schialvino, stampato ad Albenga nel 2008, ora affiora in mostra, tra quella quindicina di carte esposte. E tra esse riemerge, non ancora repertoriata, qualche “p. a”, prova d’autore o d’artista, uscita dalla sua collezione, anche in forma di dono e in tempi (ed anni) talvolta diversi da quelli della data in cui venne realizzata la tiratura; lo stesso dovette accadere per le due serigrafie, con i calciatori del Torino e della Juventus, finora non catalogate e ora a noi note esclusivamente attraverso queste “p. a” in mostra; oltretutto, esse sono interessanti per quella loro impostazione grafica che ben difficilmente si fa dimenticare, in quanto implicita memoria, se non forse sotto forma di un tacito debito culturale nei confronti della celebre serie dei “Footballeurs” che Nicolas de Staël dipinse a Parigi nella primavera del 1952.
Ancora un po’ diverso è il caso di tre fogli Senza titolo, due splendide acqueforti – l’una solitaria testimone di una tiratura in cinquanta copie e l’altra dichiarata dal Maestro come “Prova unica” - e una intensissima puntasecca, in “p. a.”, non reperibili nel citato Catalogo Generale del 2008.
Paolo Nesta Avigliana, settembre 2012