Gianni Veneziano – Off Vase
Triennale Design Museum presenta Off Vase, dieci opere in vetro di Gianni Veneziano. Un unico oggetto: il vaso portafiori, dentro una bolla, fuori da una bolla, rotto, pieno, vuoto, trasparente, opaco, laico, religioso…
Comunicato stampa
Triennale Design Museum presenta Off Vase, dieci opere in vetro di Gianni Veneziano. Un unico oggetto: il vaso portafiori, dentro una bolla, fuori da una bolla, rotto, pieno, vuoto, trasparente, opaco, laico, religioso…
Il rapporto iconico con la classicità è in questo caso solo un pretesto, gli oggetti sono portatori di citazioni e materiali dell’arte del design.
“In questo mio racconto il mio oggetto non è un semplice calice, ma racchiude nelle sue forme una metafora della vita del viaggiatore nel suo eterno rinnovarsi. Ecco che ogni calice rappresenta così un possibile altro mondo a sé, in cui disperdersi, identificarsi, immergersi, immaginarsi”.
Gli oggetti in vetro sono stati realizzati a Venezia, presso la fornace di Adriano Berengo.
Off Vase
L’acqua presa dal calice è la stessa che respinge il respiro. Il fuoco che scalda la notte è lo stesso che divampa come incendio. Il fatto naturale si presenta agli occhi dell’umano come intrinsecamente ambiguo, forza senza scopo che promuove la vita solo per spingerla a deperire. In questo ciclo perfetto e incomprensibile il “progetto” interviene scindendo quanto vi di è propizio per l’umano da quanto vi è di ostile, incanalando il naturale nel tecnico. È lo “stacco” che segna l’apparire dello specifico umano sulla terra.
Tutto è avvenuto prima della memoria. L’uomo ha ereditato il pollice in opposizione dall’antenato in comune con i primati, che lo hanno sviluppato come adattamento alla vita arboricola. Il ramo a cui si aggrappano le scimmie è quindi il primo oggetto dell’umanità, che precede e rende possibile l’umano. Muove da qui poi la separazione successiva, quella dall’immanenza animale segnata dal secondo oggetto dell’umanità – l’oggetto sacro – transizione dello strumentale nell’altro-chestrumentale.
Il sacro, infatti, non coincide con il religioso. Religio significa “relegare, delimitare”. Le religioni storiche nascono “strumentalmente” per contenere il sacro, altrimenti sparso ovunque e fuori controllo. Come la morte. La morte è l’inamovibile possibilità che corre al fianco della vita, perché è sempre possibile avere un incidente o cadere dalle scale – dal caso non c’è riparo. È sempre possibile che la natura venga a riscuotere quanto è suo, sottraendoci un corpo il cui segreto ci rimane ignoto e spegnendo senza preavviso la magia ritmica del cuore, come senza preavviso ebbe ad accenderla. La vita, infine, “è”grazie alla morte, che la accompagna l’argine accompagna, e definisce, il fiume – confine insolubile che non può essere “risolto”, e bevuto dal calice. Quello delle religioni storiche è un mistero addomesticato, illuminato dalla narrazione teologica che spiega l’inaccettabile “gratuità” della vita presentandola come un debito nei confronti di chi ha fatto la “grazia” di concederla. Ma il sacro non è religioso, è precedente, è laico. Non rimuove la morte nell’aldilà ma ne tocca ogni giorno il mistero nascosto/evidente in ogni cosa. Poiché, più e prima degli oggetti religiosi, sono proprio gli oggetti quotidiani, laici, ad accogliere in sé i residui del sacro, argini articolati il cui silenzio materiale rinvia all’ulteriorità di cui, minacciosamente, tacciono.
Stefano Caggiano