Ciels d’architecture
Non si tratta di un’indagine prefissata con un rigido canone di scelta e ripresa, piuttosto dell’insistenza di uno sguardo verso le differenti declinazioni – attraverso epoche e luoghi distanti – di una delle più complesse e affascinanti soluzioni architettoniche ideate dall’ingegno umano.
Comunicato stampa
CIELS D’ARCHITECTURE
mostra fotografica di Anna Vivante
a cura di
Andrea Dall’Asta S.I., direttore Galleria San Fedele
Roberto Dulio, ricercatore in Storia dell’architettura presso il Politecnico di Milano
interverrà
Philippe Duboÿ, storico dell’architettura
La cupola, archetipo costruttivo e simbolico, forma teologica perfetta, è il soggetto delle fotografie di Anna Vivante.
Non si tratta di un’indagine prefissata con un rigido canone di scelta e ripresa, piuttosto dell’insistenza di uno sguardo verso le differenti declinazioni - attraverso epoche e luoghi distanti - di una delle più complesse e affascinanti soluzioni architettoniche ideate dall’ingegno umano. Che si tratti di Frank Lloyd Wright a New York, del mausoleo del sultano Barkouk al Cairo, di Francesco Borromini a Roma, della moschea di Orhan Bay a Bursa o di Pier Luigi Nervi, ancora a Roma, quello che accomuna questi scatti è la loro natura d’immagini colte semplicemente alzando lo sguardo, sorprendendosi di fronte allo spazio sovrastante, alla luce abbacinante che spesso penetra dal centro, o filtrata da altre aperture, modula forme riconoscibili o quasi astratte, giocate su differenti gradazioni di grigi o sul contrasto netto.
Anche la tecnica di ripresa - pellicola in bianco e nero da 35 millimetri e una NikonF3 - e di conseguenza la stampa morbida, la percezione di un procedimento fotografico
che non siamo quasi più adusi a utilizzare, concorrono a inanellare una sequenza di intimi scorci dall’unitaria varietà.
Dai raffinati giochi chiaroscurali del mausoleo di Abu s-Samad a Natanz, agli affreschi a San Carlo ai Catinari e Sant’Andrea della Valle, entrambi a Roma, solo per citare alcuni esempi, fino alla raffinatissima astrazione grafica del Palais de Tokyo a Parigi, della Galerie Ravenstein a Bruxelles o del Pantheon sempre a Roma. Un’involontaria Mnemosyne warburghiana, che in un fluire di immagini evoca luoghi e culture, provoca una sorta di autonoma e fulminea sintesi della propria esperienza culturale e al tempo stesso ci pone, ancora una volta, con stupore e rinnovata curiosità, di fronte alla forme dello spazio e della sua percezione.
Roberto Dulio