Il bailo a Costantinopoli
Viene illustrato al pubblico, alla presenza, tra gli altri, dell’ambasciatore italiano in Turchia Giampaolo Scarante, il lavoro di ordinamento di queste carte, durato trent’anni, e curato da Giustiniana Migliardi Colasanti, già direttore dell’Archivio di Stato di Venezia e poi Soprintendente archivistico per il Veneto.
Comunicato stampa
Presentazione dell’inventario dell’archivio del Bailo a Costantinopoli
e della mostra documentaria
Fecero ritorno in patria negli anni ’60 dell’Ottocento,
dopo essere state raccolte e organizzate e conservate per secoli a Costantinopoli,
nel palazzo sulle colline di Pera,
sede dell’ambasciata veneziana presso il Signor Turco.
Alla caduta della Repubblica di San Marco nel 1797, passarono di mano dall’ambasciatore francese presso il Sultano al plenipotenziario austriaco, e
infine, dopo una breve permanenza negli archivi di Vienna, vennero finalmente consegnate all’Archivio generale di Venezia nel settembre del 1868,
in applicazione della convenzione italo-austriaca di Firenze, del 14 giugno 1867.
Sono le carte, raccolte in quasi 400 buste, che costituiscono l’archivio del bailo a Costantinopoli, colui che sin dalla prima metà del secolo XIV svolse nella più importante metropoli dell’oriente la funzione di rappresentante diplomatico della Serenissima, ambasciatore e console al tempo stesso, a capo della colonia veneziana che lì aveva posto la sua sede, a tutela degli interessi della politica e degli affari.
Venerdì 28 settembre, nella sede dell’Archivio di Stato di Venezia
che nel 1868 le ricevette e che ancora le custodisce,
viene illustrato al pubblico, alla presenza,
tra gli altri, dell’ambasciatore italiano in Turchia Giampaolo Scarante,
il lavoro di ordinamento di queste carte, durato trent’anni,
e curato da Giustiniana Migliardi Colasanti, già direttore dell’Archivio di Stato
di Venezia e poi Soprintendente archivistico per il Veneto.
L’inventario verrà messo on line nel sito dell’Archivio di Stato.
Non è questa l’unica fonte archivistica in materia: a raccontare la storia di questo lungo e non facile dialogo con il mondo ottomano ci sono anche altri archivi veneziani (quello dei dispacci inviati al Senato dagli ambasciatori in Costantinopoli, quello delle deliberazioni del Senato relative a quella sede, come pure la miscellanea di Documenti turchi, il cui inventario è stato edito nel 1994 a cura di Maria Pia Pedani Fabris,
con consultazione on line delle immagini e relative schede dal sito dell’Archivio di Stato di Venezia).
Ma questo è l’archivio raccolto dagli ambasciatori in quella sede: lo specchio della gestione e della storia quotidiana dei piccoli e grandi eventi che trovano voce attraverso i resoconti (dispacci) inviati a Venezia,
dai festeggiamenti per la nascita di una figlia al sultano Mustafà III, nell’aprile del 1759,
alla contesa sulle chiavi della grotta di Betlemme,
dall’ennesimo armamento dell’armata turchesca, agli inizi del Seicento,
ai buoni propositi per restaurare finalmente la sede dell’ambasciata,
e che trovano la corrispondente eco nelle istruzioni (lettere ducali) inviate da Venezia, con tanto di sigillo, di piombo o di cera.
Sono storie di amicizie e di dispetti,
di pellegrini diretti ai luoghi santi e di mercanti diretti alle varie piazze del Mediterraneo orientale,
di corsari maltesi e di cristiani ridotti in schiavitù,
di navi, di comandanti e di merci che provengono da Venezia o vengono imbarcate a Venezia:
tanti vetri di Murano e di conterie, vetri soffiati e specchiami diversi, contaria a lume o lumi de spechio;
tante casse e cassoni con panni venitiani, velluti a oro, drappi de seda, damaschini con oro et seda,
e poi casse di libri greci, o ebraici o a stampa,
e balle e baloni di carta,
ma anche fagottini di smeraldi, coralli lavorati, rubini falsi, rubini a lume, smalti falsi…
Sono storie di acrobazie diplomatiche tra baili e sultani, dragomanni e visir,
rettori e cadì e sangiacchi e provveditori generali…
Di alcuni di questi momenti più significativi testimoniati nelle carte dell’archivio del bailo,
dà conto una piccola esposizione documentaria, a cura di Alessandra Schiavon,
che resterà aperta al pubblico fino all’8 ottobre.