Andrea Greco
Ultime opere dal ciclo pittorico Anche i fiori piangono, dedicate ad una celebre frase del musicista James Douglas Morrison.
Comunicato stampa
Di scena a Cefalù, Andrea Greco propone le sue ultime opere, dal ciclo pittorico Anche i fiori piangono, dedicate ad una celeberrima frase del musicista James Douglas Morrison, scomparso prematuramente nel 1971: "Anche i fiori piangono", ma i più credono sia rugiada, scriveva il cantante in uno dei suoi tanti taccuini. Greco fa sua questa frase e trasforma, quasi deridendola, l’arte della provocazione che in questi anni ha ampiamente animato le scene artistiche italiane. Questa volta la provocazione non punta alla lettura di un’immagine o ad un gioco di parole nel titolo, bensì, va a toccare le coscienze di ciascuno di noi, dritto al cuore, senza tanti giri di parole. Greco propone dei fiori, che poi tanto fiori non sono, o forse, ancora meglio, propone dei fiori che hanno perso la vitalità e per questo motivo hanno smesso di essere fiori. Aleggia nel suo operato una poetica fatta di numerose metafore che mirano a criticare alcuni aspetti della società contemporanea: dalla bassezza culturale che trabocca dai mass-media, alla visione dell’uomo contemporaneo verso ciò che è il vero concetto del fare arte. Greco ci invita a commuoverci dinanzi alle sue opere, quasi a raccogliere le lacrime dei suoi fiori, ci richiama ad un senso civico, ad ampliare le nostre emozioni e i nostri punti di vista. Allo stesso tempo non trascura l’aspetto naturale dei suoi soggetti, proponendo delle tele senza telaio, quasi fossero delle foglie e dei fiori, appunto, attaccati ancora con un briciolo di speranza al fusto che li sorregge. LA LINGUA BATTE DOVE IL SEGNO VUOLE Il segno va dove gli pare, in fondo. Fa quello che vuole, tutto sommato. Si serve di un padrone che gli permette di orientarsi in uno spazio per uscire da quel mondo silenzioso ed impenetrabile che è quello dell’ intimo sentire . Il segno non ha controllo, non si sa bene dove voglia andare a finire, ammesso che voglia finire da qualche parte. Sembra che Andrea Greco voglia dargli una direzione, voglia tentare l’impossibile: organizzare la forma dell’informale. Ma l’istinto vince, e sempre prende il sopravvento. Direzionare la libertà è faccenda davvero complessa, è un fatto perdente. Perciò Greco prosegue nel suo cammino, ormai maturo e di successo, lasciando che la traccia lasciata sul foglio o sulla tela faccia quello che vuole. Una battaglia continua con prove, tentativi, progetti pensati e poi abbandonati, oppure consolidati da una bella testa dura, che per un artista del suo calibro è fondamentale. Si tratta di sfidare la banalità imperversante, e di aggirare l’ ostacolo di quelle uniformità di pensiero che stritolerebbero il suo lavoro in quattro parole di circostanza e molti paragoni infruttiferi. Oggi Greco è Greco, senza chiedere prestiti a nessuno. Con la sua fragilità raccontata da una penombra che invade le sue opere o vi si affaccia appena, sempre e comunque, come una aria leggera e grigiastra nei boschi della Brianza. Con la sua potenza espressiva che rischia l’eccesso ma si guarda bene dal tuffarcisi dentro. Con la sua curiosità, espressa con colori e bitume come in un rituale rigorosamente collaudato, che circoscrive la forza dei suoi abbondanti sentimenti. “Buon sangue non mente”, e nemmeno il suo. Quei rossi squillanti, quelle virgole di arancio o di azzurro mare che oggi mette nel suo progetto Anche i fiori piangono, sono figli e fratelli di colori del Sud e del Mediterraneo. Stanno dentro i suoi cromosomi e sbucano fuori proprio quando le giornate uggiose di Mozzate o di Milano lasciano poco spazio ai sentimenti accesi.
Andrea va a riprendere quello che ha dentro di sé e consuma una liturgia che dovrebbe esser chiara a chiunque voglia saperne di informale: tra anima e pennello è già troppo che ci sia un braccio a guidare. Il segno è segno, e comanda quasi tutto, perché alla fine decide una tecnica lucida e inoppugnabile, affinata alla corte di Bruno Munari. E scusate se è poco. Andrea Greco guarda al futuro in mezzo a mille dubbi, come tutti. Non sa come e dove andrà a prendere forma la sua prossima mossa professionale, non può decidere che domani avrà la sua pittura. Ha i dubbi di tutti. Se l’ informale è figlio del dubbio e della contrizione, se è stato il documento e il manifesto di un disastrato dopoguerra, del disagio nudo e crudo, allora è logico dire che Andrea racconta anche noi, tutti i giorni. Di certo lui sa che la sua pittura non può né deve avere sbavature nella ricerca continua, deve dare e dare ancora. E qual mezzo migliore di un segno che non deve rendere conto a nessun tracciato accademico? Greco ha un compito quotidiano, senza accessori. Una ricerca che ci faccia sentire sempre dentro a quelle libere capriole di colore e di vitalità. Un segno del segno, una traccia dei tempi. La si avverta come una sberla o una carezza, non importa. Greco è come quei lontani eroi del calcio di una volta, a cui gli Dei davano la lancia della vittoria. Quelli che sapevano dove aspettare una palla stregata, per sfottere l’avversario con un dribbling beffardo come una pennellata sinusoidale, e scaraventarla in rete senza remissione di peccati, fino a far tremare montanti e traversa. Il segno va dove gli pare e Andrea lo accompagna dove vuole, con una grazia che è dei virtuosi.
Giorgio Barassi