Lamberto Teotino – Sistema di riferimento monodimensionale
Una splendida e laboriosa collezione di immagini da archivio, descrittiva di altri tempi, certamente posteriori alla Metropolis (1927) “muta” e industrializzata, del regista e sceneggiatore austriaco Fritz Lang (1890-1976). In questa Metropolis ci sono delle evidenti “divisioni” classiste. C’è una linea, un limite. Teotino, invece, cerca, a tutti i costi, di combattere questo limite, domando i lati della “retta”.
Comunicato stampa
di Domenico de Chirico
Da DROME Magazine N.11 - FRONTIERA / FRONTIER:
Intervista a Jean-Luc Nancy (1940, filosofo francese, maggior esponente del decostruzionismo)
di Massimiliano Bonomo
"Passer (à) la limite"
DROME: Prof. Nancy, quando il limite si fa frontiera?
JEAN-LUC NANCY: Il limite si fa frontiera quando consideriamo che il limite ha due lati distinti…e, ancor prima, bisogna pensare che il limite è proprio una linea, e che la linea non ha spessore, per cui non si possono non toccare contemporaneamente i due lati del limite: siamo sempre dentro e fuori. Dunque, affinché ci sia davvero un lato distinto dall'altro, che è il caso della frontiera, occorre che si sia raddoppiato il limite, che si abbia superato il limite…e allora non è più un limite. Mi piace dire, come si dice in francese, "passer à la limite", che è la stessa cosa di "passer la limite", ma si potrebbe dire che non si supera mai il limite se il limite è assoluto, non c'è niente dall'altro lato. Ma, allo stesso tempo, siamo sempre "à la limite", dunque su entrambi i lati.
Proviamo a disegnare, tramite alcuni esempi e seguendo un ordine cronologico, questa linea.
Cartesio (1596-1650), filosofo e matematico francese "moderno" ci propone, mediante il sistema di
riferimento, tripartito, quello monodimensionale che è costituito da una retta (linea) sulla quale un oggetto (punto) è veicolato a muoversi. Molto semplicemente.
Eliane Radigue (1932), compositrice francese di musica elettronica, invece, sin dagli anni '50 inizia a creare musica, quasi esclusivamente, con un unico sintetizzatore, il sistema modulare ARP 2500 e il nastro. Il sintetizzatore, unico, rappresenta quella linea che attraversa il mondo antropizzato e su cui Eliane stessa cerca di muoversi, componendo.
La sua musica è monodimensionale, ha cavalcato la linea "senza spessore", "limitante", attraversando però la vita, l'amore, la morte. Transamorem transmortem.
Nel corso degli anni, la medesima "retta" si incarna, prende forma, diventa un bisturi.
Lamberto Teotino (artista visivo, classe 1974) impugna questo strumento chirurgico molto affilato.
Sistema di riferimento monodimensionale.
Una splendida e laboriosa collezione di immagini da archivio, descrittiva di altri tempi, certamente posteriori alla Metropolis (1927) "muta" e industrializzata, del regista e sceneggiatore austriaco Fritz Lang (1890-1976). In questa Metropolis ci sono delle evidenti "divisioni" classiste. C'è una linea, un limite. Teotino, invece, cerca, a tutti i costi, di combattere questo limite, domando i lati della "retta". Interrompe un'azione, tagliandola, dominando l'oggetto che agisce sulla "linea" stessa. Attraversa il cuore delle immagini, cavalca la dimensione temporale e lo spazio, il campo d’azione.
Quest'operazione, pur essendo quasi sovrannaturale, è "incisiva" ed esteticamente impeccabile. Pertanto, Teotino ci dimostra che è possibile ottenere risultati ottimali di manipolazione della medesima “retta” poiché l’oggetto, il soggetto (consapevole) e il punto non sono necessariamente sempre veicolati, possono anche veicolare.
Agiscono.
"Passer à la limite".
Lamberto Teotino
sistema di riferimento monodimensionale
di Alessandro Trabucco
«Le immagini non sono più quelle di un tempo. Impossibile fidarsi di loro. Lo sappiamo tutti. Lo sai anche tu. Mentre noi crescevamo le immagini erano narratrici di storie e rivelatrici di cose. Ora sono tutte in vendita con le loro storie e le loro cose. Sono cambiate sotto i nostri occhi. Non sanno più come mostrare noi. Hanno dimenticato tutto. Le immagini vengono svendute al di là del mondo, Winter, e con grossi sconti!»
Wim Wenders, Lisbon Story, 1994
L’immagine fotografica è il risultato di un procedimento meccanico il cui programma è situato all’interno di un apparecchio in grado di essere manipolato da un agente esterno, un artefice che ne sappia utilizzare correttamente le funzioni. La procedura da seguire ha delle caratteristiche sommarie comuni per ciascun agente, ma sono l’azione e la scelta specifiche a fare assumere all’immagine finale un’identità più o meno marcata dell’autore. Ed è ciò che può avvicinare questo linguaggio espressivo ad uno statuto di relativa autonomia rispetto al cosiddetto “referente” esterno, alla dipendenza dalla volontà del soggetto ritratto, di qualunque entità formale esso sia.
Quindi, sin dalle sue origini, rispetto all’intervento diretto sulla tela o sul blocco di materiale vario da plasmare con le mani, la fotografia ha avuto un intermediario, una scatola magica, un marchingegno che ha sostituito la mano del pittore e lo scalpello dello scultore, disponendo il fotografo in una situazione quasi di privilegio, di nobile distacco rispetto alla metodologia di realizzazione della propria opera.
Ma le procedure da seguire sono in effetti più d’una, tra cui una rappresentata dalla fase di ripresa e l’altra, nella fase finale, dalla stampa dell’immagine catturata dall’obiettivo.
Nel mezzo di queste due fasi c’è “l’immagine latente”, cioè l’immagine impressa nella pellicola negativa (o positiva) potenzialmente esistente ma ancora invisibile all’esterno perché chiusa all’interno del “grembo materno” della fotocamera e visibile solo dopo il trattamento di sviluppo.
Wim Wenders, grandissimo regista noto anche per la sua produzione fotografica, nel suo film Lisbon Story del 1994 ha sviluppato un discorso molto interessante sull’immagine latente cinematografica, in un monologo appassionato ed intenso del co-protagonista del film, alla ricerca della purezza dell’immagine, una purezza non contaminata dallo sguardo dell’uomo.
Questa purezza viene mantenuta dalla virtualità delle proprie riprese con la macchina da presa effettuate con l’apparecchio posto alle proprie spalle, quindi senza un occhio che lo guidi coscientemente su un soggetto piuttosto che un altro.
La scoperta di queste riprese, relativamente condizionate dalla scelta consapevole dell’autore (la decisione dei precorsi da seguire, dei luoghi da riprendere e degli specifici momenti della giornata) rimarrà appannaggio delle generazioni future, assicurando alle immagini un distacco temporale abbastanza lungo in grado di conservare la propria verità espressiva.
Le immagini che Lamberto Teotino ha utilizzato per il progetto sistema di riferimento monodimensionale sono ricavate da archivi web e sono immagini in bianco e nero che rappresentano diversi momenti storici.
La prima fase della procedura viene completamente saltata dall’artista così come anche quelle del “limbo” dell’immagine latente e del successivo sviluppo della pellicola.
Teotino salta le prime tre e passa direttamente ad una quarta fase, di manipolazione digitale, simile a quella che un tempo avveniva all’interno della camera oscura in una dimensione di solitaria creazione alchemica e disvelamento delle forme impresse nelle lastre. L’artista agisce su ciascuna immagine scelta con un unico e minimo intervento, a volte quasi invisibile, mimetizzato, altre volte più evidente allo sguardo.
Questo intervento riproduce una o due linee verticali od orizzontali come fossero delle pieghe fisiche nella fotografia stampata ma che nascondono o annullano, in quel preciso punto e per una estensione limitata, la porzione di spazio corrispondente.
In quella linea avviene qualcosa di strano, di inspiegabile, perché produce una sorta di sottrazione spaziale solo lungo la sua retta e mantenendo bene in vista tutto il resto. Non ne percorre l’intera superficie, come potrebbe accadere piegando manualmente la stampa, ma si sviluppa per un tratto limitato, molto all’interno dei bordi dell’immagine.
E’ proprio in quella specifica porzione di campo visivo che avviene la parziale riduzione alla monodimensionalità dell’immagine, presentando contemporaneamente quattro situazioni differenti di fruizione dello spazio: la tridimensionalità effettiva dello spazio originale fotografato, che viene riprodotto nella bidimensionalità dell’immagine, la monodimensionalità dell’intervento di manipolazione da parte dell’artista e la tridimensionalità reale dello spettatore che osserva.
L’idea di un sistema di riferimento monodimensionale Teotino la ricava dalle teorie di René Descartes sull’individuazione delle coordinate per calcolare la posizione di un oggetto nello spazio.
Con questo lavoro egli pone quindi degli interrogativi teorici e linguistici sulla stessa definizione di rappresentazione e ricostruzione fittizia della realtà attraverso l’immagine fotografica pura (quindi ancora legata ad una produzione tradizionale), riflettendo in maniera approfondita sulla verità visiva di questa proiezione del mondo esterno riportata in una superficie piatta e trasformata in pura immagine mentale, ed infine, con gli attuali strumenti tecnologici di manipolazione dei dati elettronici, creando una sorta di “disturbo visivo”, d’incongruenza informativa, d’errore di riproduzione, mandando in tilt la consueta percezione dei significati dell’immagine (frutto di un’educazione uniformante all’uso della vista) scatenando di conseguenza un nuovo, problematico e più puro approccio all’immagine mediatica.
E’ la stessa purezza di cui parla il protagonista del capolavoro di Wim Wenders, e che riesce ad ottenere solo ad un prezzo molto alto, quello di non poter vedere mai ciò che ha ripreso, mantenendone in questo modo intatta la verginità originaria.
Quella verginità che invece Teotino riesce a restituire ad immagini del passato, viste, riviste e poi dimenticate, infine ripescate dall’oblio, reinserite in un circuito ben distante dalla loro situazione primitiva di documentazione storica, ed osservate “da generazioni future” (noi) “con occhi diversi dai nostri” (coloro i quali hanno assistito nel passato all’evento fotografato).