Marco Filippetti – Persona
L’arte di Marco Filippetti segue un unico e grande tema, quello dell’Amore. Un sentimento intenso e vivo che, strappato alla sua concezione ideale, appare in tutta la sua forza in una dimensione quanto mai intima e carnale.
Comunicato stampa
L'arte di Marco Filippetti segue un unico e grande tema, quello dell'Amore. Un sentimento intenso e vivo che, strappato alla sua concezione ideale, appare in tutta la sua forza in una dimensione quanto mai intima e carnale.
In una società dove l'amore è vissuto come il simulacro di se stesso in quelle forme canonizzate, mitizzate in vitro e allo stesso tempo semplificate in standard di facile consumo che fanno la fortuna del marketing, Filippetti si comporta come un grande classico, riscoprendone il lato fisico attraverso la materia pittorica.
L'Estetica e l'Erotica vengono a coincidere in un abbraccio indefinito che attraverso la mano del pittore l'amore si fa sperma, sudore ed umore colando sulla tela, lasciando apparire le figure in un universo liquido e a tratti surreale. Il sentimento diventa così una sensazione tangibile attraverso la somma delle percezioni, mostrandosi attraverso un erotismo raffinato e privo di pruderie.
Il ciclo Persona presentato a Belgrado nel mese di novembre 2012, torna oggi dopo due anni di tour europeo a Roma (città natale del pittore) nella splendida cornice della galleria Frammenti d’Arte.
“Persona” secondo l'etimologia latina (personare: “per-sonare”, parlare attraverso) indica in maniera ambigua sia il volto dell'essere umano che la sua maschera, la capacità di interpretare un personaggio in ambito teatrale. Definisce per cui sia l'individuo e la coscienza di sé che la sua solitudine, la barriera che lo separa dagli altri.
La pittura in quanto artificio ed interpretazione è già di per sé una finzione che crea una nuova identità attraverso l'uso dei colori su una tela e Filippetti non fa altro che inseguire il sogno prometeico di fermare il tempo, coglierne un attimo per renderlo eterno.
Il ciclo “Persona” si dispiega come un lungo storyboard, è la narrazione di una storia d'amore che unisce in un dialogo silenzioso il pittore alla sua musa in un susseguirsi di fermo-immagine che attraversano gli episodi simbolici della maternità, dell'intimità, della solitudine e del ritrovamento negli occhi dell'altro.
Proprio gli occhi hanno un ruolo da protagonista in “Io ti vedo” innescando un fitto gioco di sguardi che spinge lo spettatore, nella sua passività, ad unirsi alla storia. In basso delle pennellate orizzontali rosse, gialle e nere nascondono la bocca evocando il silenzio di uno sguardo che parla più di mille parole. Questo cerchio si chiude con il dipinto successivo,“Io ti vedo II”, mostrando gli occhi socchiusi di una creatura addormentata, abbandonata in un abbraccio inaccessibile.
Se nel primo il celeste degli occhi si fa intenso e penetrante, nel secondo diventa un panneggio indefinito, un oceano piatto e decorativo che si confonde con il nero che cola dai capelli a racchiudere una figura che sembra emergere dalle sue acque. Dei puntini dorati si stagliano qua e là come a ricordare una coperta, ma è l'aspetto piatto e rigido che nega un richiamo reale, piuttosto vuole evocare un non-luogo dello spirito. Quest'ambiguità è confermata dall'azzurro che sfuma le carni, trasformando il tutto in un'apparizione surreale, una “rivelazione” come ama descriverla il pittore.
Questa figura femminile immersa nel sogno, chiusa in un abbraccio solitario, diventa metafora della ricerca dell'altro che si risolve nel ritrovamento di se stessi. L'amore è il protagonista invisibile ed evocato che unisce due spiriti affini che affondano le proprie diversità nella carne. L'Eros qui appena accennato avvalora l'assolutizzazione del valore estetico ricordando che l'arte si pone come ultima metafisica.
Filippetti è pittore di un'intimità intesa come piacere fugace, i suoi colori, che evocano una carnalità sospesa, lasciano in bocca l'amaro di un desiderio sempre inseguito. Le figure sfumate ed indefinite si attenuano nello sfondo per suggerire non tanto un travaglio interiore quanto la volontà dell'artista di descrivere l'inafferrabilità del momento.
Questa compiacenza per l'incompletezza rimanda direttamente alla logica del non finito, alla ricerca di una perfezione che è tale non attraverso la forma, ma attraverso la sua disgregazione.
Paolo Ballarotto
Critico d’arte