Cesare Reggiani – Faenza-Marradi A/R

Informazioni Evento

Luogo
MUSEO CIVICO GIUSEPPE UGONIA
Piazzetta Porta Gabalo 6 - 48013, Brisighella, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

festivi e prefestivi ore 10-12.30 e 15-18.30

Vernissage
15/12/2012

ore 18

Artisti
Cesare Reggiani
Curatori
Franco Bertoni
Generi
arte contemporanea, personale

Il contemporaneo Reggiani ripercorre l’itinerario compiuto nell’estate del 1794 dal pittore neoclassico piemontese Felice Giani (1758-1823) lungo la valle del Lamone sull’Appenino tosco-romagnolo, realizzando un nuovo taccuino di viaggio da Faenza a Marradi.

Comunicato stampa

Il Museo Civico di Brisighella (RA) intitolato al Maestro litografo e illustratore Giuseppe Ugonia (1881-1944) nel 2012 si è rinnovato nella Direzione, nel Comitato Scientifico e negli intenti al fine di creare eventi sui temi della grafica, del disegno e dell’illustrazione che registrino gli sviluppi di questi mezzi espressivi nella modernità e nella contemporaneità.
Sotto il titolo complessivo Romagna mia - Arte a chilometri zero, il nuovo programma artistico si apre a mostre di artisti romagnoli del ’900 o contemporanei, ma sempre nell’ambito di una poetica figurativa, grafica o d’incisione, in omaggio allo spirito artistico di Ugonia.

Il nuovo programma inaugura con la mostra di disegni del pittore e illustratore Cesare Reggiani (Faenza 1949) dal titolo Faenza-Marradi A/R. In essa, quasi sottotitolabile anche "Da Giani a Reggiani", il contemporaneo Reggiani ripercorre l’itinerario compiuto nell'estate del 1794 dal pittore neoclassico piemontese Felice Giani (1758-1823) lungo la valle del Lamone sull'Appenino tosco-romagnolo, realizzando un nuovo taccuino di viaggio da Faenza a Marradi.

La mostra è curata dal nuovo Direttore del Museo Ugonia Franco Bertoni, secondo il quale la cinquantina di pastelli a colori e tecniche miste di Reggiani "lungo la ferrovia faentina riprendono particolari e dettagli paesistici e urbani superando l'immagine da cartolina che hanno assunto".

Alla mostra è abbinato un prezioso catalogo edito da Danilo Montanari in tiratura limitata. In occasione dell'inaugurazione, le prime 50 copie saranno autografate dall'artista e personalizzate con un disegno originale.

NON SOLO LA PIENEZZA DEL VUOTO

Ferruccio Giromini

Da Faenza a Marradi; dal 1794 al 2012; da Giani a Reggiani.
A oltre due secoli di distanza, un nuovo lento viaggio ascendente sulle montuosità tosco-romagnole ci suggerisce nuovi esercizi di sguardo, ci sospinge a lievi meditazioni, discreto ci sussurra complici accenni di segreti.

Cesare Reggiani è un artista sempre sorprendente, perché riesce a essere nel contempo – alla maniera di Italo Calvino – leggero e profondo. Leggero nella forma, che è pulita, nitida, gradevole per l’occhio, perfettamente leggibile; e profondo nelle implicazioni interpretative, che sono inaspettate, mai banali, con qualche sommesso sospetto metafisico. Le sue immagini si svelano, ogni volta, più ricche di quanto appaiano a prima vista.
Accompagnandolo in queste sue passeggiate, svagate quanto attente, lungo la strada che va dal piano al monte, avviatesi durante le calure estive e conclusesi nelle prime frescure autunnali, ci scopriamo qui invitati a condividerne sensazioni e riflessioni.

Non possiamo fare a meno di notare subito, ripassando la storia generale del vedutismo e del paesaggismo, una particolarità evidente. Rammentiamo infatti che la longeva tradizione vedutista europea non rinunciava, nei secoli, a includere nelle proprie visioni panoramiche la presenza umana: non solo come segnale di antropizzazione del territorio, con qualche casupola, torre, rudere, ma pure con qualche personcina, una pastorella, un viandante, seppure di preferenza in campo lungo o lunghissimo. E in parallelo riandiamo alle innovazioni della scuola paesaggista americana che, prima ancora delle influenze della nuova tecnica fotografica sull’Impressionismo e tutto quanto ne seguì, si consacrò devota alla rappresentazione di grandi spazi naturali infine vergini di interventi e di presenze antropiche, ritenute non indispensabili.
Oggi, dopo che tanta e tanta acqua del fiume Lamone è passata sotto i ponti, Reggiani può permettersi di fondere le due tradizioni concorrenti, insieme omaggiandole e tradendole entrambe. Infatti in queste sue immagini non si trova presenza umana; ma neppure vera assenza umana; bensì, solo, persistenze umane.

Scartato l’approccio impressionistico, fin troppo immediato, del taccuino degli schizzi di viaggio e dell’acquerello veloce, stavolta l’artista non si è voluto porre dinanzi a questo territorio quale turista o viandante, ma piuttosto, conscio di essere faentino, quale frequentatore abituale e confidenziale dei luoghi; perciò ha scelto di soffermarsi, anche grazie al ricorso a una tecnica espressiva più lenta e riguardata, sul proprio rapporto di presunta familiarità con essi. Conseguenze inevitabili: la scoperta che la familiarità, appunto, è sempre presunta; che lo spazio per le sorprese è sempre aperto; che, per così dire, il riguardo è un raddoppio dello sguardo.

Nelle immagini da lui osservate e riprodotte – che sortiscono un bizzarro effetto simultaneo di “istantanee posate” – pertanto coesistono e quasi si sovrappongono in singolare coincidenza degli opposti l’abitato e il disabitato, il coltivato e l’incolto (la natura e la cultura), in un certo senso il pieno e il vuoto. Vi si palesano i segni dell’uomo ma mai l’uomo.
Inoltre, spiega Reggiani, “La caratteristica che distingue la valle del Lamone da tutte le altre dell’Appennino tosco-romagnolo è la ferrovia Faenza-Firenze. Ho puntato più sulla sua presenza che sulla strada. Sottopassi, mura, stazioncine, viadotti in mattoni rossi, segnali, tratti di ferrovia che tagliano campi e boschi”. È così che assurgono a imprevisti protagonisti agrimensori del paesaggio via via binari e traversine, pali di semafori, sbarre di passaggi a livello; ma, accanto a inevitabili scorci degli abitati di Faenza Brisighella Fognano Marradi, anche grigi nastri d’asfalto, guardrail, segnali stradali di attraversamento caprioli, marciapiedi, linee di mezzeria.

L’effetto di straniamento già indotto dalle righe mute e geometrie immobili delle composizioni viene aumentato dai contrasti luminosi delle atmosfere evocate, reali o irreali che appaiano.
Ombre, silenzi, piccoli fremiti di misteri aleggianti si accendono di improvvisi tocchi fantastici di rosso: ora luci, ora altre improbabili ombre – ombre rosse.
E in effetti sembra di avvertire echi americani di ampi paesaggi western, sospesi come nel film di Wim Wenders Paris, Texas tra le lunghe note slide della chitarra di Ry Cooder.
O capita di ricordare i cromatismi vivaci delle ultime ricerche paesaggistiche di un sapiente maestro della pittura contemporanea, David Hockey.
Mentre – ora da lontano tornando vicini – si nota che l’intrecciarsi e sovrapporsi delle matite colorate sulla ruvidezza del foglio produce texture sabbiate che paiono omaggiare di proposito le delicate vibrazioni percettive ottenute nelle stesure litografiche di Giuseppe Ugonia, giustamente brisighellese.

Tout se tient, al dunque, nel ballo degli ossimori: leggerezze profonde, vuoti pieni, ombre luminose, tradizioni innovative, americanismi europeizzanti, l’ordine nel disordine (occidentale) e l’ordine del disordine (orientale), una quiete tesa – tutte vampate rinfrescanti.