Gaia Carboni – Un’anatomia dell’inconcepibile
L’artista faentina d’origini torinesi, gioca con il segno, un segno-base di un linguaggio che padroneggia con finezza e scelleratezza, la finezza del visibile e la scelleratezza del poeta che rende corpo all’inconcepibile.
Comunicato stampa
Testo tratto dal catalogo dell'esposizione:
Scrivere sull'opera di Gaia Carboni è un impresa ardua ma piena di soddisfazioni in quanto è complesso tradurre la poesia senza tradirla.
L'artista faentina d'origini torinesi, gioca con il segno, un segno-base di un linguaggio che padroneggia con finezza e scelleratezza, la finezza del visibile e la scelleratezza del poeta che rende corpo all'inconcepibile.
Gaia va ben oltre la plasticità materiale, ben oltre la superficie incisa, graffiata o accarezzata, il suo complice principale è un entità ordinata e definita, la luce.
Essa è presente ovunque nella sua pratica, nel bianco e nei riflessi; è profondamente implicata nella struttura mentale dell'artista finanche nella fotosintesi dei suoi soggetti fitomorfi.
Le piante di Gaia esistono nel quotidiano dell'artista che in quanto tale le trasforma nei “mostri” del nostro presente.
I suoi disegni, le sue sculture e le incisioni non sono semplice rappresentazione formale dell'elemento botanico, non sono neppure soltanto una sorta di omaggio alle strutture quasi perfette della natura, bensì diventano pretesti alla deformazione, all'inconcepibile anatomia dell'essere umano confrontato alla luce della verità.
Di luce potremmo parlarne ore, ma non sarà qui il luogo per sviluppare una discussione sulla sua composizione fisica (benché l'argomento sia appassionante), vorrei in questo luogo sviluppare brevemente il lato metafisico che Gaia impone alle sue rappresentazioni.
L'artista avanza spesso nella direzione del poeta, nella direzione dell'indicibile, quella direzione che se presa ci porterebbe ad essere accecati dallo splendore della verità. Per fortuna questa ricerca è negata all'artista che, in quanto essere umano, resta nell'imperfezione, abbiamo quindi la possibilità di coglierne la parvenza ma non la forma.
La luce in quanto verità è un concetto possibile solo attraverso il nostro passato rinascimentale, più precisamente grazie agli studi che hanno portato gli anatomisti dell'epoca (e in particolare Leonardo da Vinci) a rappresentare attraverso l'artificio prospettico l'interno dell'essere umano. Così facendo queste personalità geniali hanno sacrificato il punto di fuga, che ancora rincorreva dio, per sostituirlo con l'umano. Un umano rappresentato attraverso schemi mentali, ma al centro di se stesso, e dunque al centro della vita. A questi si sono susseguiti pensatori brillanti che ci conducono direttamente al secolo illuminista, a Goya (incisore), alla ragione e ai suoi mostri per arrivare a Rodin (scultore). Le sculture di quest'ultimo, nella loro potenza brutale, sono entità illuminanti, la luce non si posa su di loro, ma ne fuoriesce, così come nelle incisioni di Goya.
Per questo posso affermare che il lavoro di Gaia Carboni, in filiazione con questa storia dell'arte e della ragione, brilla di una luce propria; l'artista non rappresenta più una realtà, ma bensì differenti trasposizioni poetiche che tendono all'umano senza mai sfiorarlo...
Il suo lavoro, per essere realizzato domanda tempo e pazienza, costanza e rigore, tutte delle categorie che si perdono nel tempo, che svaniscono in un'epoca che domanda velocità e rappresentazione di se stessi e della propria superficie.
Concludo ringraziando Gaia per il suo lavoro, che in realtà non necessiterebbe di parole, ma che mi domanda costantemente di illuminare ogni segno che metto su carta per renderlo anch'esso anatomicamente inconcepibile.
Jean-Marie Reynier, Losanna, 2013