Le foto degli altri
Le fotografie qui esposte fanno parte della collezione che Sisto Giriodi, da qualche anno, ha cominciato a costruire un po’ per gioco, andando per mercatini, proprio come Schmid, proponendosi però di restringere la sua ricerca alle fotografie scattate tra ‘800 e ‘900 a gruppi sociali diversi: borghesi e contadini, negozianti e ferrovieri, coscritti e militari, cuochi e osti, insegnanti e allievi, in occasioni diverse: matrimoni, anniversari, feste di leva e recite parrocchiali, gite a Venezia e bagni in Riviera.
Comunicato stampa
Sisto Giriodi, per quarant’anni professore di progettazione architettonica e da vent’anni ‘fotografo di territorio’ attivo in Piemonte, dopo una prima mostra ‘didattica’ anomala nel 2011 – che esponeva da fotografie scelte dai paginoni di apertura dei servizi da Donna di Repubblica e che aveva per titolo anomalo una frase ‘rubata’ a Gianni Celati “La vita è quella cosa che non assomiglia a nessun’altra” – propone quest’anno una seconda mostra ‘didattica’ anomala, che ha per titolo anomalo quello della mostra e del catalogo che Roberta Valtorta, direttore del Museo della Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, ha dedicato al lavoro di Hans Schmid, il quale non fotografa, ma, dagli anni’80, raccoglie foto di altri: foto anonime, raccolte prima dai mercatini ed oggi dai network, pratica nuovissima ammessa quest’anno al Festival di Arles.
Le fotografie qui esposte fanno parte della collezione che Sisto Giriodi, da qualche anno, ha cominciato a costruire un po’ per gioco, andando per mercatini, proprio come Schmid, proponendosi però di restringere la sua ricerca alle fotografie scattate tra ‘800 e ‘900 a gruppi sociali diversi: borghesi e contadini, negozianti e ferrovieri, coscritti e militari, cuochi e osti, insegnanti e allievi, in occasioni diverse: matrimoni, anniversari, feste di leva e recite parrocchiali, gite a Venezia e bagni in Riviera.
In un momento nel quale la fotografia digitale sembra cambiare progressivamente lo statuto della fotografia , della sua produzione e del suo uso, queste immagini ‘storiche’ non solo permettono riflessioni e confronti tra le due pratiche, ma scrivono un capitolo - quello della vita di gruppo - assente nei repertori delle storie della fotografia -nel quale convivono studium e punctum (Barthes) - e permettono riflessioni sulla vita di gruppo in Piemonte un secolo fa, confronti tra i diversi soggetti: dal modo di vestire al modo di porsi davanti alla macchina, allora ancora presenza paurosa per il treppiede ed il drappo nero sotto il quale scompariva il fotografo.
Anche le fotografie tratte da Donna di Repubblica a ben guardare potevano essere considerate ‘foto di altri’- in quanto scattate da fotografi sconosciuti al grande pubblico, attivi in un circuito diverso da quello delle gallerie - e così le due mostre ‘didattiche’ rivelano un inaspettato legame tra di loro: descrivono infatti la scomparsa della vita di gruppo, perché nel paesaggio urbano contemporaneo non ci sono più gruppi, ma solo individui isolati, due situazioni opposte ma dotate ognuna di un suo fascino - e con il lavoro di ‘fotografo di territorio’ di Sisto Giriodi: non sono quindi una ‘vacanza’ disimpegnata, ma un altro capitolo del suo paziente, mai finito , Atlante Piemontese.
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Sisto Giriodi, architetto e fotografo, da Roberto Gabetti e da Luigi Ghirri ha imparato a guardare all’architettura ed alla fotografia come ad una antropologia. Come fotografo di territorio lavora da più di dieci anni ad un progetto di lunga durata – l’Atlante Piemontese – nel quale raccoglie miti ed enigmi che il progresso nasconde nelle campagne del Basso Piemonte; ‘capitoli’ dell’Atlante’ sono stati esposti in Italia ed all’estero, mentre ‘pagine’ dell’Atlante sono conservate in collezioni private e nel Dipartimento di Fotografia della Biblioteca Nazionale a Parigi; un posto a parte nell’Atlante ha l’Atlante Torinese che raccoglie le ‘campagne’ più brevi condotte in occasione di eventi singolari: sulla città trasformata dalle ‘bandiere della pace’ in un teatrino festoso; sulla città trasformata dai cantieri della metro nel centro storico in un teatrino bellicoso; sulla città trasformata dagli anni ‘olimpici’; o su aspetti singolari di Torino: i circoli dei canottieri sul Po, le case a colori del dopo guerra; la storia di una tecnica artigianale, quella delle facciate in finta pietra. Il modello dell’atlante è all’origine anche di due ‘campagne’ fuori dei confini del Piemonte: quella sugli enigmatici cancelli rurali in Puglia, e quella su Parigi come ‘festa mobile’.