Sandro Capatti – La memoria e il presente
Sono trascorsi vent’anni e commoventi commemorazioni, come un risveglio di primavera, si susseguono lungo una sottile “linea rossa” per non dimenticare. Passano le celebrazioni, il ricordo, l’omaggio ai caduti ma camminando per le vie di Sarajevo, tra la sua gente, le sue case, le sue pietre resta la testimonianza di una ferita ancora aperta che sanguina.
Comunicato stampa
LA MEMORIA E IL PRESENTE
Il 5 aprile 1992, a Sarajevo ebbe inizio l’assedio più lungo della storia bellica moderna. I cecchini iniziarono a sparare su una folla di dimostranti che manifestavano per la pace, nei giorni a seguire vennero bloccate le vie e le strade di accesso della città, gli abitanti privati di cibo e acqua, energia elettrica e riscaldamento. Ratko Mladic, comandante delle forze serbe, ordinò di sparare ad oltranza e di mirare ai civili, con lo scopo di ridurli alla follia. E follia segui. Nel febbraio 1994, il primo massacro del mercato di Markale, in cui morirono 68 civili e 200 furono i feriti, il secondo nel 1995 nel quale persero la vita 37 persone e 90 rimasero ferite. Lo stupro etnico venne coltivato come un’efficace arma di guerra. Le “rose di Sarajevo” il nome dato alle voragini aperte nell’asfalto delle sue strade ferite e lacerate dal sangue sgorgato dallo scoppio delle granate.
Unica via di fuga il “tunnel” misterioso, la galleria scavata dai bosniaci musulmani sotto la pista dell’aeroporto di Sarajevo per unire la città assediata al territorio libero nei mesi più atroci del lungo assedio, usato per rifornire i cittadini assediati di viveri, medicinali e beni di prima necessità, oltre che per consentire ai civili di fuggire. Per i bosniaci oggi vale come un piccolo monumento alla loro “resistenza”.
Sono trascorsi vent’anni e commoventi commemorazioni, come un risveglio di primavera, si susseguono lungo una sottile “linea rossa” per non dimenticare. Passano le celebrazioni, il ricordo, l’omaggio ai caduti ma camminando per le vie di Sarajevo, tra la sua gente, le sue case, le sue pietre resta la testimonianza di una ferita ancora aperta che sanguina.
E non solo sui muri e sulle facciate delle case che si affacciano lungo via Zmaja od Bosne, il “viale dei cecchini”, dove restano scolpiti, come atroce un’opera moderna, i segni dei proiettili dell’artiglieria, ma lungo le strade, negli edifici crollati e mai ricostruiti, nella toccante testimonianza del nuovo cimitero realizzato dentro lo stadio Kosevo, con la sua immensa distesa di lapidi bianche, tombe a forma di stele l’una in fila all’altra.
Nell’ala del cimitero del leone, Lav Grobdje, la tomba di due ragazzi bosniaci. Lui serbo, Bosko, e lei musulmana, Almira, uccisi mentre cercavano di fuggire da una città in cui non poterono mai amarsi. Sono Romeo e Giulietta della Bosnia, sepolti insieme, sotto una lapide a forma di due cuori, racchiusi uno nell’altro.
Lungo la ferrovia abbandonata di Gradacac ancora si scaglia irto nel cielo quel che resta di un cannone trasportato dal treno corazzato, fermo e bombardato, senza nessuna destinazione.
Il mercato di Markale, con il suo monumento alle vittime e i suoi banchi stipati, brulicanti di colori, è oggi uno dei mercati di frutta e verdura più affollati di Sarajevo.
E’ iniziata il 16 ottobre scorso, la prima udienza di difesa di Radovan Karadzic al Tribunale dell’Aja, dove è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità durante la guerra serbo-bosniaca. Tra i testimoni indicati a suo favore, il Presidente greco Carolis Papoulias, ex ministro degli Esteri durante la guerra in Bosnia che dovrebbe testimoniare sull’innocenza di Karadzic per il massacro del primo bombardamento al mercato di Merkale.
Nelle moschee il rituale dell’abluzione prima della preghiera. Una preghiera universale che appartiene all’anima tollerante di Sarajevo. Ovunque, nella Gerusalemme dell’Est, spuntano luoghi di culto, moschee, chiese. Tutti i paesi del mondo dovrebbero essere come Sarajevo laici ma al tempo stesso permettere ad ognuno la libertà di scegliersi la fede che vuole seguire.
Camminare per Sarajevo rapisce. E’ una città dolce e spigolosa, aperta e ostinata, mistica e laica insieme. E’ il luogo degli opposti, in cui le diversità s’incontrano, si fondono e, in armonia, oggi nuovamente convivono.
E’ una città rinata che ha ripreso ad essere il simbolo della città tollerante tra etnie e religioni e che, nonostante sia ancora profondamente traumatizzata dai postumi della guerra, mostra nuovamente il suo carattere cosmopolita, multietnico e multiculturale. E con il suo intenso contrasto di luci ed ombre, tra mille difficoltà e contraddizioni, Sarajevo è una città che oggi è tornata a vivere.
Sandro Capatti
Sandro Capatti
Nel 1992 diventa fotografo professionista dopo aver frequentato la scuola di fotografia a Milano, inizia a collaborare con vari professionisti, facendo esperienza con vari tipi di fotografia,quella da cui è più attratto è il foto giornalismo, fa esperienze con varie testate giornalistiche italiane, per 5 anni vive e lavora in Canada collaborando con agenzie e con il quotidiano Il Corriere Canadese di Toronto.
Ha eseguito varie mostre fotografiche collettive e personali in Italia e all’estero, possiede un nutrito archivio fotografico di immagini su pellicola in bianco e nero colori, e diapositive,dal 1999 circa lavora in formato digitale, la passione per la fotografia è sempre stata molto grande, fa parte del suo DNA.
Nell’anno 2000 gli viene riconosciuto il premio come miglior fotografo del Giubileo nella sezezione B/W e nel 2001 come miglior fotografo dell’anno sempre nella sezione B/W, entrambi i concorsi si sono svolti a Roma.
Ha svolto vari reportage di carattere sociale in Africa, dall’Eritrea al Togo, Benin, Sudan e Darfhoru, Etiopia ed altro, l’argomento del sociale per Sandro Capatti è fondamentale, denunciare i soprusi, i diritti violati sui bambini e donne, la fame e le carenze sanitarie, ma anche tutti quegli argomenti che non sono sempre alla luce del mondo.
Nel 2002 viene inviato alla “GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU” a Montreal e Toronto in Canada per conto di alcune testate.
Nel 2003 ha collaborato alla realizzazione di un Film come fotografo di scena nella comunità di Nomadelfia, (Pisa), con il regista CESARE BASTELLI, aiuto-regista di PUPI AVATI, sempre nello stesso anno esce il suo primo libro “UNA SERA A TEATRO”.
Nel mese di dicembre 2003 partecipa al Premio Nicolini” svoltosi a Ferrara, con varie sezioni, tra cui anche la fotografia, la sua fotografia riceve una segnalazione speciale di merito nella sezione della pittura venendo considerata non solo una fotografia di alta qualità e tecnica ma considerata anche come un’immagine d’arte di grande spessore qualitativo e creativo.
Nel marzo del 2005 esce il suo secondo libro ETIOPIA MON AMOUR..!
Da alcuni anni sta lavorando ad un progetto sulle donne dell’Est, in particolare le donne chiamate “BADANTI” dove collabora con il Comune di Verona, il quale a sviluppato un corso per badanti, nel 2007 inizia a lavorare ad un nuovo progetto nei campi profughi e negli orfanotrofi di bambini della Bosnia dopo la guerra, nel mese di Dicembre 2007 viene presentato il calendario BOSNIA 2008, primo degli appuntamenti di questo progetto.
Collabora con un’agenzia di stampa che si occupa di foto giornalismo, a collaborato con i quotidiani come L’Informazione di Parma, La Sera di Parma.
Dal maggio del 2010 a iniziato un progetto sul tema del nucleare, recandosi in Bielorussia ed Ucraina nelle zone contaminate dalle radiazioni e al reattore di Chernobyl, da questo progetto è nato un primo step con l’esposizione di un a mostra fotografica svoltasi nel Maggio 2011 presso l’Antica Biblioteca Nazionale di Gomel in Bielorussia,50 immagini in bianco e nero fatte appunto nella “zona 30” chiamata cosi per l’alta contaminazione radioattiva, e per essere stato il primo raggio di 30 km dichiarato non più vivibile per l’uomo, tutto questo svolto in collaborazione con l’associazione Help for Children di Parma.
Nel mese di ottobre 2010 è uscito il suo nuovo libro dal titolo “SORRISI STRAPPATI ALLA GUERRA” realizzato nei campi profughi e negli orfanotrofi della Bosnia, step conclusivo di questo progetto realizzato in collaborazione con l’associazione Cosmohelp di Faenza.
Attualmente sta seguendo vari progetti fotografici.