Sandstorm #2
Sandstorm è un progetto ispirato ad una storia breve scritta da ETA Hoffmann nel 1817, The Sandman, in seguito ampiamente interpretata da Freud ne Il Perturbante (Das Unheimliche), del 1919. Concetti quali straniamento, spaesamento, dissonan¬za, disturbo, sono tra i punti nodali propri del racconto, dai quali parte il percorso di ricerca di Sandstorm.
Comunicato stampa
motel b
in collaborazione con - V I L L Δ –
via Camillo Brozzoni 7, Brescia
SANDSTORM 2
a cura di Caterina Benvegnù
Lia Cecchin
Giulio Delvè
Nicola Genovese
Alessandra Messali
Opening 12 aprile ore 18.30
13 – 15 aprile 2013
- V I L L Δ – Via Brozzoni 7, Brescia
Sandstorm è un progetto ispirato ad una storia breve scritta da ETA Hoffmann nel 1817, The Sandman, in seguito ampiamente interpretata da Freud ne Il Perturbante (Das Unheimliche), del 1919. Concetti quali straniamento, spaesamento, dissonan¬za, disturbo, sono tra i punti nodali propri del racconto, dai quali parte il percorso di ricerca di Sandstorm.
La prima edizione del progetto è avvenuta presso l’Ex Macello di Padova, un luogo fortemente connotato sia storicamente che strutturalmente. Per la seconda edizione è stato scelto uno spazio dalle peculiarità ugualmente incisive.
Seppur differente dal suo predecessore per storia, struttura, ambientazione, Villa diverrà teatro dei lavori site-specific di Lia Cecchin, Giulio Delvè, Nicola Genovese e Alessandra Messali. Ciascuna installazione indagherà sulla manipolazione e rivisi¬tazione di termini, oggetti, sensazioni, nel tentativo di rielaborarli per riconsegnarli allo spazio come avessero nuova vita. Lo spettatore sarà condotto a farsi strada tra un percorso perturbante e disturbante – in bilico tra spaesamenti percettivi e fami¬liarità, connessioni tra rappresentazione e frammenti di memoria – che sovvertirà le strutture convenzionali di luoghi, parole, credenze.
«Chi è soggetto a déja vù è incline a trovare strane le parole familiari» mi hanno detto. Prima inizi col sentirtela strana in bocca, poi la sputi fuori; sembra stra¬niera. Allora afferri una matita e la scrivi in stampatello, ma anche le lettere non sembrano quelle di prima: ad ogni sguardo appaiono più anomale. Ti riprometti di pensare ad altro. Ci provi. Così, nel tentativo di sedare il vocabolo ne perdi il controllo e poi ti trovi disorientato. Ricorri a quello che sai. Alla parole certe; que¬sto credi. «E se lo stesso fenomeno potesse riguardare anche le immagini? O gli oggetti? E magari anche le situazioni e le persone?» mi son chiesto. A modo suo Freud lo ritiene spaventosamente possibile; Unheimlich lo chiama. Suona come una condanna, come se un fantasma ti dovesse seguire sempre. Quella sera ho cenato seduto su una sedia che non era la solita, per dare le spalle al muro.