Giulio Romano Architetto
Vi si tenta di presentare con una certa freschezza e continuità narrativa, pur su un controllato impianto filologico, le qualità architettoniche di Giulio Romano negli anni mantovani che hanno maturato e ampliato “vistosamente” le premesse romane: si pensi al “non finito” e alla mescolanza di rustico e di ordine architettonico in palazzo Te, al senso di “rovina” e quasi di “terremoto” degli scardinamenti nel cortile dello stesso palazzo Te e nei conci disassati lateralmente e in profondità dei piloni della “Rustica”.
Comunicato stampa
GIULIO ROMANO ARCHITETTO
gli anni mantovani
di
Bruno Adorni
Silvana editoriale, Milano 2012
INTRODUCE E COORDINA
Francesco Moschini
INTERVENGONO
Paolo Portoghesi
Aurora Scotti
Sarà presente l'autore
Giovedì 18 aprile 2013 - ore 17.30
Giulio Romano ha fatto la fortunata scelta nel 1524 di partirsene da Roma, anticipando in qualche modo la diaspora degli artisti successiva al tragico Sacco del 1527, per approdare a una piccola ma raffinata corte dominata dall’ambizioso marchese Federico II Gonzaga che incaricò il più fantasioso allievo di Raffaello di creargli la “scena” per la vita della corte mantovana, degna del Re di Francia Francesco I, presso il quale era stato da adolescente, e dell’imperatore Carlo V, grande ammiratore delle stanze del Te. Sembra quasi che l’importante mostra mantovana del 1989 con il suo fondamentale catalogo, seguito nel 1992 dall’esteso repertorio di documenti giulieschi a cura di Daniela Ferrari, sia servita a concludere un argomento piuttosto che favorire nuovi approfondimenti. Eppure, almeno per l’architettura, si sarebbe potuto lavorare ancora proficuamente sull’ampliamento e sulla precisazione del catalogo e a dipanare alcuni nodi critici, come dimostra la recente monografia di Bruno Adorni, Giulio Romano architetto/gli anni mantovani, (Silvana editoriale, Milano 2012). Vi si tenta di presentare con una certa freschezza e continuità narrativa, pur su un controllato impianto filologico, le qualità architettoniche di Giulio Romano negli anni mantovani che hanno maturato e ampliato “vistosamente” le premesse romane: si pensi al “non finito” e alla mescolanza di rustico e di ordine architettonico in palazzo Te, al senso di “rovina” e quasi di “terremoto” degli scardinamenti nel cortile dello stesso palazzo Te e nei conci disassati lateralmente e in profondità dei piloni della “Rustica”. Si pensi anche ai salti ritmici del fianco delle cappelle di San Benedetto Po e a quelli di straordinaria complessità ed efficacia compositiva della facciata sulla peschiera di palazzo Te. Un “anticamente moderno” o “modernamente antico”, secondo l’espressione dell’amico di Giulio Romano Pietro Aretino, che ammanta un’adesione sentimentale, pittoresca e materica dell’antico, provata fin da fanciullo quando abitava a Macel de’ Corvi, con la ricerca erudita a contatto con Raffaello e con le opere e i disegni di Bramante e di Giuliano da Sangallo. Se nel libro si precisa l’opera mantovana, come la cronologia dell’acquisizione della sua casa d’artista (1531 e non 1538) e altri minori interventi, si amplia soprattutto il catalogo delle opere extra mantovane. Verso la fine della vita, Giulio, libero dalla incombente presenza del duca Federico II, volge la sua intensa attività a stati vicini e lontani, con un prorompente successo presso vari committenti che se lo contesero a Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, a Vicenza, a Verona, nel padovano, fino alla Residenz di Landshut in Baviera.
Bruno Adorni (1946), professore ordinario di Storia dell'architettura, già allievo e collaboratore di Paolo Portoghesi, Eugenio Battisti e Manfredo Tafuri, è stato tra i fondatori, e poi segretario, del centro internazionale di studi “Europa della Corti” sotto la presidenza di Alberto Tenenti. Ha insegnato al Politecnico di Milano, alla Università di Ferrara, e ora insegna alla Università di Parma. È responsabile scientifico del corso internazionale di studi “Jacopo Barozzi da Vignola” a Roma. Si è occupato principalmente di architettura del Cinquecento e del Seicento in alta Italia. Tra le sue pubblicazioni: L’architettura farnesiana a Parma 1545-1630, Parma 1974; L’architettura farnesiana a Piacenza 1545-1600, Parma 1982; I Benedettini a Reggio Emilia a cura di, con Elio Monducci, Reggio Emilia 2002; Jacopo Barozzi da Vignola a cura di, con R.J.Tuttle, C.L.Frommel, C. Thoenes, Milano 2002; La chiesa a pianta centrale tempio civico del Rinascimento, a cura di, Milano 2002; L’architettura in area lombarda ed emiliana, in A. Bruschi a cura di, Storia dell’Architettura Italiana/il primo Cinquecento, Milano 2002; L’architettura a Parma sotto i primi Farnese 1545-1630, Reggio Emilia 2008; Santa Maria della Steccata a Parma/da chiesa “civica” a basilica magistrale dell’Ordine costantiniano, (a cura di) Milano 2008; Jacopo Barozzi da Vignola, Milano 2008.