Antonio Ottomanelli – Collateral landscape
Si tratta di un progetto avviato nel 2009 che attraversa il territorio della ricostruzione postbellica contemporanea. Il lavoro indaga l’evoluzione del paesaggio sotto gli effetti della distruzione o di fattori di crisi e opera un tentativo di rilettura e ricomposizione inedita dei territori interessati.
Comunicato stampa
Sabato 11 Maggio 2013 alle ore 18.00, LUZ, in collaborazione con La Triennale di Milano, presenta al pubblico la mostra fotografica
COLLATERAL LANDSCAPE di Antonio Ottomanelli, curata dal direttore della rivista Domus, Joseph Grima.
COLLATERAL LANDSCAPE è un progetto avviato nel 2009 che attraversa il territorio della ricostruzione postbellica contemporanea.
Il lavoro indaga l’evoluzione del paesaggio sotto gli effetti della distruzione o di fattori di crisi e opera un tentativo di rilettura e ricomposizione
inedita dei territori interessati.
L’esposizione COLLATERAL LANDSCAPE, che rimarrà aperta fino al 23 Giugno nello spazio Impluvium della Triennale, è parte delle
iniziative con le quali l’istituzione milanese festeggia il suo 80esimo anniversario.
La mostra, infatti, si propone come momento introduttivo di un percorso più ampio e complesso che interesserà inizialmente il territorio
milanese e, attraverso una rete di collaborazioni internazionali, raggiungerà i Paesi oggetto della ricerca.
La serie di immagini presente in questa mostra è assieme la conclusione di un lavoro di ricerca fotografica durato quasi quattro anni
e l’inizio di un nuovo e più ampio progetto: COLLATERAL LANDSCAPE (in allegato pdf di presentazione del progetto)
Affrontare il tema della ricostruzione - che è innanzitutto ricostruzione di un’identità culturale - è un compito complesso e difficile
che pone il problema di un confronto onesto e orizzontale con le persone che abitano i territori indagati. Da un punto di vista artistico,
professionale e umano il ricercatore è costretto a mettere alla prova la sua prospettiva, la sua interpretazione del contesto, e
essere disposto ad una costante e ripetuta ricostruzione del suo lavoro.
E’ con questa consapevolezza che le immagini verranno condivise, distribuite agli abitanti reali - chi quei territori vive - o ipotetici -
persone comuni che, consapevoli o inconsapevoli, si trovano ai margini della ricostruzione.
Tornare in Afghanistan, Iraq, Palestina per consegnare questi frammenti di paesaggio ai loro abitanti e lasciarli al loro giudizio; per
tentare di ricostruire storie spezzate con ricordi, esperienze, album di famiglia. Allo stesso tempo realizzare un percosro di laboratori
nelle scuole italiane, nell’intento di proporre un approccio alla storia contemporanea alternativo, partecipato.
Il risultato vorrebbe essere - ma siamo ansiosi di scoprirlo - un libro, archivio della memoria e allo stesso tempo manifesto autentico
di una ricostruzione inconsueta.
La mostra verrà presentata alla stampa in un incontro che si terrà nel pomeriggio dello stesso 11 Maggio alle ore 18,00. Saranno
presenti l’autore Antonio Ottomanelli, il curatore Joseph Grima e il direttore artistico di LUZ, Alberto Giuliani.
Biografia dell’autore
Antonio Ottomanelli studia Architettura a Milano e Lisbona. Fino al 2012 adjunct professor presso il dipartimento di progettazione architettonica
del Politecnico di Milano. Nel 2009 fonda IRA-C -interaction research & architecture in crisis context- una piattaforma pubblica per la ricerca nel
campo delle strategie urbane e sociali. Ha realilzzato reportage in Italia ed all’estero (L’Aquila earthquake 2009, Haiti earthquake 2010, Italy G8
summit 2010). Attualmente è impegnato nello studio e nella documentazione dell’attuale condizione delle città e dei territori in stato di conflitto,
con particolare attenzione all’area mediorientale. Negli ultimi 3 anni ha lavorato in Afghanistan, Iraq e Palestina. I suoi lavori sono stati pubblicati
in varie riviste di Architettura (Area, Abitare, AR, Domus). Nel 2011 entra a far parte di LUZ photo agency. Attualmente sta lavorando al progetto
COLLATERAL LANDSCAPE. Il suo lavoro è stato presentato nel 2011 e 2012 durante la II e III edizione di Festarch, Perugia; e nel 2010 all’interno del
circuito ARIA - Berlino.
Ha ricevuto due Menzioni d’onore – Architettura e Arte- al premio internazionale di fotografia Lucie Foundation”. Le sue ricerche su Baghdad
sono state recentemente presentate all’interno del Festival Sao Paulo Calling in Brasile. È stato tra gli artisti invitati alla Biennale
di Dallas 2012. È stato tra gli artisti invitati alla prima edizione della Biennale del Design di Istanbul 2012. E’ stato recentemente
pubblicato dalla Endless Delight Publishing, con introduzione di Joseph Grima, un volume che raccoglie le opere della serie Big Eye
Kabul.
Informazioni per la stampa
Antonio Ottomanelli
Mob. +39 3332533680
[email protected] programmazione e aggiornamenti
www.ao-ph.com | www.collaterallandscape.net | [email protected]
Testo critico di Joseph Grima, direttore di Domus
Quando il fotografo Antonio Ottomanelli partì per l’Afghanistan nel 2009 non fu per verificare un’idea preconcetta della capitale
Afghana: era invece per osservare sul posto una terra trasfigurata da un conflitto senza sosta, ormai abituata al trauma al punto che
esso era diventato parte delle costruzioni della città. Egli ha rovistato la città in cerca di segni delle macroscopiche forze in azione sul
paesaggio, registrando le sue osservazioni in note scritte e immagini.
Le lacrime di guerra separano, ma allo stesso tempo legano indissolubilmente insieme dei luoghi, e questo viaggio a Kabul è diventato
il primo capitolo di una ricerca durata quattro anni e che presto lo ha portato altrove. Collateral landscape è una cartografia delle
forze scatenate che si sono susseguite agli eventi dell’11 settembre 2001 – eventi che hanno gettato realtà distanti (Kabul, Baghdad,
Sadr City, Herat, Dokan, New York City, Gaza) in uno “stato di entanglement” non dissimile da quello che nella fisica quantistica lega
insieme elettroni a dispetto della loro reale distanza. Da questi paesaggi così differenti emerge una nuova geografia noncurante dei
confini e delle frontiere: un singolo luogo immaginario senza soluzione di continuità visceralmente avvinto dai recenti eventi storici.
Architetto di formazione, Ottomanelli guarda ai paesaggi abitati come registro delle umane attività sia di distruzione che di ricostruzione.
La rappresentazione del paesaggio è critica ma non giudicatoria – il conflitto non viene mostrato attraverso buchi di pallottole
o crateri generati da bombe esplose – ma attraverso immagini di nuovissime gated communities e palazzi del parlamento di recente
costruzione. Questi luoghi non sono il teatro in cui la trama si disvela, come fosse un gruppo di attori, da sé. La posizione delle
immagini non è fissa e cambierà nel periodo della mostra. Alcune fotografie selezionate saranno accompagnate da descrizioni del
paesaggio scritte a mano dalle guide locali che hanno accompagnato Ottomanelli nelle sue continue ricognizioni.
Contributo di Alberto Guliani, direttore artistico di LUZ
“Non è la morte la cosa più dolorosa della guerra, ma l’indifferenza e l’abbandono del dopo”. Cosi diceva un giovane Bosniaco,
mentre la città di Sarajevo crollava sotto i colpi di mortaio. Quelle parole ben si fondono con lo sconcerto provocato delle immagini
decriptate da WikiLeaks, nelle quali i proiettili degli Apache uccidono 12 civili Iracheni scambiandoli per terroristi. Non è la morte a
provocare orrore, ma quel gelido distacco chiamato ingaggio, che provoca buchi fatali nelle carni e nella storia. Gli stessi buchi che
si impongono silenti come monumenti, nelle immagini di questo lavoro. Spazi non democratici che l’intervento occidentale ha inflitto
alla cultura, alle città, alla vita di chi avremmo voluto difendere. In Iraq come in Afghanistan, l’eco più temibile non è quello delle
bombe, ma il silenzio dei vuoti che lasciano. Che qui chiamano effetto collaterale, e che il lavoro di Ottomanelli testimonia in tutta la
loro eternità.
Contributo di Eugenio Alberti Schatz, esperto di comunicazione, scrittore e critico d’arte e di fotografia
Non sono in molti i fotografi italiani a muoversi nei teatri di guerra. E quando il fotografo in questione non è un reporter in cerca
dello scoop ma un fotografo-architetto che da tempo indaga l’evoluzione dei tessuti urbani sotto gli effetti della distruzione o di fattori
di crisi, questa circostanza è degna di nota. Ottomanelli va nei luoghi caldi del conflitto per raccontare le macerie, la guerra, ma
anche i cantieri, il senso di vuoto, la difficoltà di ripartire, la dittatura di un senso estetico omologato e appiattito, il calco vuoto della
guerra che incombe come un arto fantasma. I suoi dittici sono crocevia di racconti, notizie, dati (e infatti Ottomaneli accompagna le
immagini con vere e proprie storie). Nei suoi paesaggi rarefatti e riflessivi le scarne figure umane sono testimoni che si interrogano
sul senso delle cose. Siamo lontani dall’elegia della distruzione, e vicini invece a un’esplorazione lucida sui meccanismi con cui le comunità
umane assorbono i traumi. Lucida ma mai scontata o fredda. Affrontare temi sociali per Ottomanelli non vuol dire rinunciare
all’incanto e alla metafisica, che sgorgano potenti dal suo lavoro. Lo status delle sue immagini è in continua ridefinizione. In alcuni
casi arrivano a essere cartoline dal futuro, di un futuro post-qualcosa, post-qualsiasi cosa, che può non piacerci, ma che non possiamo
rimuovere. La loro forza sta nel non essere solo un documento per gli archivi della memoria o uno specchio delle trasformazioni
contemporanee, ma talvolta anche profezia del futuro. Quando la fotografia ci riesce, è uno stato di grazia.