Carlo Alfano – L’io e l’altro
La Galleria Milano, dopo la personale del 2005 Stanza per voci, dedica all’artista una mostra antologica, che traccia il suo percorso attraverso alcune opere scelte, nel corso del ventennio che intercorre tra i primissimi anni Sessanta e gli ultimi anni Ottanta, sino alla sua prematura scomparsa nel 1990.
Comunicato stampa
Alla domanda di Hartmut Stöcker, che in un’intervista dell’autunno del 1974 gli chiedeva quale fosse la sua storia, Carlo Alfano rispondeva: «è quella di tutto ciò che ho visto, di tutto ciò che ho ascoltato, di tutto ciò che ho detto e non ho detto; è la storia delle mie rughe e anche di tutti i calendari che ho comprato ogni fine d’anno» (Hartmut Stöcker, «Kunstforum international», n. 11, ottobre-novembre 1974).
La Galleria Milano, dopo la personale del 2005 Stanza per voci, dedica all’artista una mostra antologica, che traccia il suo percorso attraverso alcune opere scelte, nel corso del ventennio che intercorre tra i primissimi anni Sessanta e gli ultimi anni Ottanta, sino alla sua prematura scomparsa nel 1990.
Alfano è convinto che tra la vita e l’arte vi sia un rapporto fluido e che quest’ultima non sia altro che il completamento della prima: per questo, nei suoi lavori, lo spazio e il tempo si dilatano, si compenetrano, in un unicum spazio-temporale che supera le manipolazioni della stretta contingenza. All’uomo, che è sempre primo ed ultimo interlocutore delle sue operazioni, è restituita la sua autenticità: come commenta Lea Vergine, «se la capacità di tutti noi di vedere, toccare, sentire, è distrutta dalle manipolazioni, tentiamo di cominciare ad avere esperienza del mondo e dei materiali che lo costituiscono in innocenza e in verità» (Lea Vergine, L’arte in gioco, Garzanti, Milano 1988). L’uomo è al centro, dunque: lo spettatore e l’artista compiono lo stesso viaggio all’interno dell’inconscio volto alla riscoperta del sé, al di là di della linearità cronologica: i materiali delle opere diventano la chiave di accesso per il recupero del proprio passato, che è un passato personale e collettivo insieme, come avviene in Posto per la memoria, del 1970, dove una superficie specchiante di plexiglas e alluminio rimanda lacanianamente la nostra immagine riflessa. Complice di tale risveglio è la parola, che è anche al centro di Frammenti di un autoritratto anonimo, tela di grandi dimensioni realizzata tra il 1969 e il 1970, prima di una lunga serie a cui continuerà a lavorare sino al 1990. La parola coesiste con il silenzio e trova la sua ragion d’essere nelle pause, attraverso la frammentarietà, creando una «geografia del tempo» (Hartmut Stöcker, cit.), che spezza inesorabilmente il legame con qualsiasi dato cronotopico prestabilito. La discesa negli abissi dell’io non avviene in un solipsistico isolamento, ma nel – seppur fallimentare – incontro con l’alterità: è questo il senso ultimo di Egli, della seconda metà degli anni Settanta. L’identità si apre alla scoperta della differenza dell’altro-da-sé, attraverso un tentativo di movimento dialettico che cerca di superare la rigida frontalità del “Tu” e dell’“Io”, protagonisti di un dialogo che pare tuttavia impossibile. Arriviamo a Dalla vocazione al giocatore, del 1978, appartenente ad un ciclo realizzato attraverso l’inserzione di alcuni frammenti della Vocazione di San Matteo di Caravaggio. I personaggi vengono distanziati sulla tela attraverso un ampio spazio vuoto: l’azione raffigurata viene così congelata nella sospensione della durata. Avviene, ancora una volta, una compenetrazione di spazi e luoghi, mentre il presente e il passato si confondono nella lontananza della rappresentazione e nell’immediata vicinanza della fruizione. La negazione spaziale e cromatica sembra essere superata negli ultimi lavori, di cui la mostra propone alcuni pezzi appartenenti alla serie Figure. Non si tratta di una rottura, ma dell’evoluzione all’interno del medesimo percorso, alla ricerca di una «soluzione, o una soluzione possibile, al modello di relazione e di identificazione tra l’io e l’altro» (Francesco Tedeschi, Carlo Alfano, L’io e l’altro, catalogo della mostra, Galleria Milano, Milano 2013). Le sue figure sono rappresentate sulla soglia, appartengono ad un’umanità in perenne attesa, imprigionate nel loro stesso inconscio, che non permette di raggiungere definitivamente l’altro. Oltre a questo stadio liminale non c’è nulla, «solo la trasformazione della materia» (intervista a cura di Anna Maria Siena, «Reporter», 7 novembre 1984). La pienezza, tuttavia, è restituita dalla memoria di cui sono veicolo queste immagini: «l’io, l’uomo che si trova sulla soglia, entra in una dimensione temporale compiuta» (Francesco Tedeschi, cit.).
Si ringrazia l’Archivio Alfano per la collaborazione