Samantha Torrisi – Shadowscapes
La visione di Samantha Torrisi è prevalentemente caratterizzata, in una prima fase del suo percorso, da ampi spazi suburbani, agorafobici, dove ombre e figure sfuggenti vengono catturate in fotogrammi strappati alla corsa del tempo -come fermi immagine da telecamere di sorveglianza- e investigate, ignare, da uno sguardo esterno che carpisce momenti e movimenti fugaci e li fa suoi per trasfigurarli in immagini lontane, ineffabili, come a invocare una forma di riscatto per quelle esistenze disumanizzate.
Comunicato stampa
La visione di Samantha Torrisi è prevalentemente caratterizzata, in una prima fase del suo percorso, da ampi spazi suburbani, agorafobici, dove ombre e figure sfuggenti vengono catturate in fotogrammi strappati alla corsa del tempo -come fermi immagine da telecamere di sorveglianza- e investigate, ignare, da uno sguardo esterno che carpisce momenti e movimenti fugaci e li fa suoi per trasfigurarli in immagini lontane, ineffabili, come a invocare una forma di riscatto per quelle esistenze disumanizzate.
I colori caldi e sfumati sembrano allora accarezzare benevoli le piccole fragili solitudini, cristallizzandole, concedendo allo scarno effimero dell’attimo uno splendore di quieta eternità. Il segno si arrende all’evanescenza, il dettaglio all’indefinito, in un gioco onirico in cui non ci si rispecchia, ma ci si immerge, arresi. L’attimo rubato di vita altrui diventa sogno, vago ricordo plausibile, ancestrale, impossibile da collocare e forse per questo universale, vero, tangibile.
La produzione più recente dell’artista, ben rappresentata in questa mostra, si apre in due direzioni coerenti e solo formalmente opposte.
Da un lato ecco nuove suggestioni, nuove prospettive spaziali: dov’erano i neon, i corridoi infiniti d’inquietudine, si aprono ora paesaggi altrettanto sconfinati di nebbie, crepuscoli, fioche brume mattutine, nevi e chiarori, senza mai abbandonare, anzi amplificando fra le fredde campiture di bianchi e grigi, quell’alito di delicata silente introspezione che è cifra costante dell’artista siciliana.
L’altro percorso vede invece per protagoniste -qui su scelte cromatiche generalmente più affini al passato- delle inedite scomposizioni diacroniche su più frame, in un ritorno ed evoluzione dello spunto di partenza, come ulteriore osservazione del soggetto, qui narrato e ripreso, in primi piani e piani americani (e non a caso viene spontaneo adoperare terminologia cinematografica) su più tavole; e il circostante affascinante e opprimente, labirintico, agorafobico è qui del tutto cancellato.
[testo di Giuseppe Iacobaci, estratto dal catalogo della mostra]