La Processione Di Carletto
Un po’ “Armata Brancaleone”, un po’ “Don Chisciotte”, un po’ “Spedizione dei Mille” e un po’ “Marcia su Fiume”, la processione di Carletto risalirà la penisola per denotare l’”infimo inizio”.
Comunicato stampa
PROCESSIO-ONIS
Un'impresa di "Disertori in avanti"
Un ciclo dell'arte contemporanea si è chiuso. E' ora di mettersi in movimento!
Un po’ "Armata Brancaleone", un po’ "Don Chisciotte", un po’ "Spedizione dei Mille" e un po' "Marcia su Fiume", la processione di Carletto risalirà la penisola per denotare l’”infimo inizio”.
Due artisti, due asini e un cane dal 15 luglio daranno vita ad una performance lunga 1000 kilometri.
Non un Viaggio ma una processione, perché nella processione la meta è il viaggio stesso. Storicamente ma ancor più culturalmente la processione è un atto di avvio, di partenza verso un altrove ed ha sempre uno scopo che parte da una forte determinazione e convinzione. La processione culturalmente però non è mai un semplice viaggio da un luogo ad un altro, ma è una esperienza ed una testimonianza: da una esperienza ad un'altra, in cui chi vi partecipa raccoglie di tappa in tappa le esperienze che porta e raccoglie le esperienze che trova, in uno scambio continuo con i luoghi che attraversa. Le processioni sono atti di cultura, di incontro e di ricerca per portare una voce e raccoglierne, sono quindi al tempo stesso momenti di festa e di fede.
Oggi, al tempo della crisi, come comunemente viene definito, annunciamo al mondo la nostra presenza (quella degli artisti), e affermiamo che in realtà viviamo nell’infimo Inizio.
La comunicazione, l’economia ed un certo modello culturale hanno vinto, sono diventate egemoniche. Ma proprio perchè un modello è diventato egemonico si apre la possibilità di un movimento che va in direzione opposta e contraria, il quale si presenta sotto l’aspetto dell’infimo inizio.
Come è noto, gli opposti dello Yin e dello Yang stanno tra loro in un rapporto di alternanza, per cui quando uno dei due ha raggiunto la massima espansione al suo interno si manifesta sotto forma germinale il principio opposto che comincia a crescere. Per Confucio: “L’infimo è l’impercettibile inizio del movimento, il primo segno visibile di ciò che è fausto. L’uomo di valore non appena vede l’infimo passa all’azione, senza attendere la fine della giornata”
Gli artisti e l’arte incarnano quell’”Uomo di Valore” e senza attendere che la “giornata finisca” si mettono in cammino un cammino in direzione opposta e contraria ai metodi e pratiche egemoni.
E la cultura? Oramai comodamente “seduta”, non deve forse essere l'innesco di un percorso verso un altrove?
Ed ecco quindi quale è l'idea di fondo della Processione di Carletto: due artisti si incamminano a piedi, attraversando l'Italia, incontrando genti e luoghi portando con se le genti e i luoghi che hanno incontrato, portando la voce dell'arte come momento di crescita, di uscita, per liberare le idee, i sogni e le speranze e per fare questo, come in ogni processione che si rispetti si usano mezzi semplici, essenziali, senza artifici, il camminare a piedi con l'aiuto di due asini, simbolo di sacrificio ed impegno, un cane simbolo di fedeltà e vicinanza e due artisti, simbolo di idee e di futuro.
Noi siamo pienamente consapevoli che un ciclo si sia esaurito, sia giunto alla fine. E quando la fine è sopraggiunta allora si può dare un nuovo inizio.
Un rapporto complesso e problematico lega l’idea della fine a quella del senso. Forse nessuno meglio d i Kant ha colto nello scrittoNe La fine di tutte le cose (1794) Kant vi è l’idea che non si possa cogliere il senso di checchessia se non pensando alla sua fine: il momento diacronico e storico risulterebbe inseparabile da quello estetico e teleologico. In un’altra opera Kant scrive: “Infine deve pur cadere il sipario. Perché alla lunga diverrebbe una farsa; e se gli attori non se ne stancano perché sono pazzi se ne stanca lo spettatore, che a un atto o all’altro finisce per averne abbastanza se ha ragione di presumere che l’opera, non giungendo mai alla fine, sia eternamente la stessa”.
Per il filosofo americano John Dewey, ogni esperienza può diventare estetica se essa, invece di essere interrotta e abbandonata (come continuamente accade), viene proseguita e portata a compimento. Ciò che caratterizza l’esperienza estetica è dunque il compimento: l’ azione diviene “bella” nella misura in cui io mi impegno in essa, mi dedico ad essa, combatto per la sua piena estrinsecazione. Il contrario di una esistenza estetica è una vita che va alla deriva, che non ha né capo né coda, né inizio né termine; oppure è un’esperienza che ha un cominciamento, ma che viene abbandonata per ignavia, viltà, inclinazione al compromesso, desiderio di “quieto vivere”, ossequio alle convenzioni. L’importante è sottolineare che per Dewey si può cominciare una nuova esperienza solo a condizione che quella precedente sia conclusa. La fine dunque costituisce la premessa indispensabile dell’inizio di qualcosa di differente. Cosa avviene se non si ha il coraggio di porre fine ad un’esperienza, ad una fase della vita privata o collettiva, ad una istituzione che non ha più ragione di esistere? È probabile che essa ad un certo punto da un giorno all’altro collassi. Diceva Edward Gibbon, il famoso storico inglese autore di Il declino e la caduta dell’Impero Romano “Ci vuole molto tempo perché un mondo perisca – ma niente di più”.