Readesign #3

Informazioni Evento

Luogo
MAC - MUSEO D'ARTE CONTEMPORANEA
Viale Elisa Ancona, 6 20851, Lissone, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Martedì, Mercoledì, Venerdì h 15-19
Giovedì h 15-23
Sabato e Domenica h 10-12 / 15-19

Vernissage
14/09/2013

ore 18

Biglietti

ingresso libero

Curatori
Alberto Zanchetta
Generi
design, arte contemporanea, collettiva

Il progetto prende spunto dalla collezione di design del MAC di Lissone e intende mettere a confronto un autore – sia esso un critico oppure uno scrittore, o magari un personaggio dello spettacolo – con una delle sedie che hanno segnato la storia del design, rendendola protagonista di un breve testo.

Comunicato stampa

Prelevati dallo spazio del vissuto, i complementi d’arredo possono interrogare la nostra esistenza? Da questo quesito nasce il progetto READESIGN, il quale prende spunto dalla collezione di design del MAC di Lissone e intende mettere a confronto un autore – sia esso un critico oppure uno scrittore, o magari un personaggio dello spettacolo – con una delle sedie che hanno segnato la storia del design, rendendola protagonista di un breve testo. Il discorso, spezzato/speziato in forma di racconto o di commento, si appellerà all’arguzia e alla vivacità intellettuale dell’autore, al suo spirito d’osservazione e alla sua disposizione d’animo. A fianco della sitzmaschine (“macchina da sedere” secondo la definizione che ne diede Josef Hoffmann) sarà posizionata una macchina da scrivere, che servirà a dattiloscrivere il testo fornito per l’occasione.
LEGGERE IL DISEGNO, RACCONTARE IL DESIGN: la parola design (che è un ritorno semantico alla parola rinascimentale “disegno”) significa “progetto”, ovvero disegno di un’idea. Diversamente dai designer che chiamano in causa il ductus, gli autori interpellati invocheranno per sé il diritto al dilectus e alla capacità di s-piegare gli oggetti a proprio piacimento, appellandosi alla possibilità di crogiolarsi in un loisir estetico che li metta “a proprio agio”, come se si stessero effettivamente accomodando sulle sedie esposte in mostra e volessero picchiettare sui tasti delle macchine da scrivere. Ovviamente Readesign non è un’esposizione concepita per sedersi ma per sedurre lo spettatore: l’arredo domestico sarà il momento/motivo scatenate per funambolici intrichi (di senso) e imprevedibili incontri (tra persone e oggetti).

Decisamente ambiguo è l’accostamento tra la Remington Ten Forty di Carl Sundberg e il Mezzadro di Achille e Pier Giacomo Castiglioni. Nel secolo scorso la Remington & Sons fu la prima azienda a produrre macchine da scrivere in scala industriale, affermandosi come indiscusso leader del settore. Tra i prodotti immessi nel mercato, la ditta di famiglia si occupava anche di macchine da cucire, diversificazione voluta da Philo, figlio dell’influente Eliphalet Remington, la cui fama è indissolubilmente legata all’omonimo fucile. Strano ma vero, una delle griffe più apprezzate dagli scrittori vide la luce negli stabilimenti di un armaiolo. Oltre alle armi da fuoco, alcuni sostengono che i Remington si occupassero persino di attrezzi agricoli. Ed è proprio un sedile da trattore ad aver ispirato il Mezzadro dei fratelli Castiglioni, suggestione rurale cui rimandano anche l’elemento ligneo alla base e la balestra in acciaio che funge da gambo alla seggiola. Fedeli alla pratica del ready-made dadaista, i Castiglioni progettarono il Mezzadro nel 1957 ma dovettero attendere i primissimi anni Settanta affinché venisse messo in produzione da Zanotta. Del 1969 è invece la Ten Forty di Sundberg; un minimo scarto temporale separa quindi lo sgabello dalla macchina da scrivere.
Interpellato a dar voce allo strano connubio, Franco Rella ha ammesso di non riuscire a decidersi a «sedere su quello scranno che si chiama Mezzadro. Mi sentirei come sospeso nell’aria, e la scrittura richiede una sorta di gravità. Ma non vorrei rinunciare di confidarmi alla Remington». A contatto con le “lettere da sparo” e una “seduta agreste”, il filosofo ha confessato un timore reverenziale verso i due oggetti, si è abbandonato a memorie autobiografiche e ha ipotizzato domande che vorrebbero fare il bilancio di tutta una vita. Come un cerchio che si chiude, Rella ci esorta a interrogarci in modo plausibile sull’incipit di questo progetto espositivo: i complementi d’arredo possono interrogare la nostra esistenza?