Sergio Mori
Mostra di Sergio Mori composta da una sequenza di quindici tele incentrate sul tema della “Grande madre roccia”.
Comunicato stampa
Sabato 7 settembre 2013, a partire dalle ore 19.00, al TWINS CLUB 2.0 Art & Gym di Trieste (via Economo 5, I piano) ci sarà la vernice della mostra di Sergio Mori composta da una sequenza di quindici tele incentrate sul tema della “Grande madre roccia”.
La pittura di Sergio Mori è stratificata, visto che non asseconda il principio della citazione tout court, bensì agisce con moto affettivo che entra vivamente nell’impianto pittorico, in pieno accordo con le inquietudini degli stilemi metafisici e surrealisti. Per fermarsi a Trieste si può a ragione ritenere che Nathan non avrebbe avuto nulla da ridire su questi elementi di paesaggio ingigantiti, su queste conchiglie che troneggiano come fossero eroi della mitologia, su questa apologia di conglomerati rocciosi e di una natura suggerita o appena accennata.
Il tema conduttore di questa mostra è quello di una narrazione minima, fatta per lacerti di immagini, per appunti scritti, quasi fossimo in presenza di un diario, di una memoria privata, costruita sull’osservazione frammentata e poi riportata a galla dopo molti mesi di silenzio. Il “corpo” della natura (per mezzo di protagonisti quali rocce e conchiglie) viene messo con prepotenza in primo piano: ci fissa con la sua fisicità, stravolgendo così l’opaco ordine dei moralisti e dei benpensanti, tanto che il mondo reale (la sagoma vera di una roccia esotica) e il mondo immaginario (un conglomerato di sassi inventato di sana pianta) convivono sul medesimo piano, in una confusione di sensi e di significati, ma sempre all’interno di una ben salda griglia scenografica. Ma la presenza di questi elementi non coincide con il recupero di valori simbolici o mitopoietici: la loro è una presenza non spiegata e allo stesso tempo prosaica e proprio per questo assume i connotati dell’inquietudine.
Il colore dispiegato in queste opere appartenenti al ciclo della “Grande madre roccia” è spesso spento e cupo. In questo mondo domina una sovrabbondanza di nero, una tinta imposta dopo le sottrazioni effettuate dalla rivoluzione impressionista, e questo per suggerire un mondo incline al tracollo, al danno, alla sconfitta, facendoci così comprendere che il valore semantico dell’oggetto raffigurato sta proprio nella scorza, ovvero nella patinatura cupa del pigmento impiegato.