Andrea Biffi – Carte Graffiate
Avvalersi dell’esistente in modo inusuale, lontano da percorsi prestabiliti, apre spiragli inattesi su orizzonti nuovi. La storia dell’umanità in ogni suo manifestarsi da sempre si è andata arricchendo di risultati talvolta “straordinari” raggiunti per caso a seguito di un uso improprio degli strumenti e dei materiali a disposizione.
Comunicato stampa
Avvalersi dell’esistente in modo inusuale, lontano da percorsi prestabiliti, apre spiragli inattesi su orizzonti nuovi. La storia dell’umanità in ogni suo manifestarsi da sempre si è andata arricchendo di risultati talvolta “straordinari” raggiunti per caso a seguito di un uso improprio degli strumenti e dei materiali a disposizione.
Un uscire dai binari questo, che da oltre un secolo nell’arte è prassi consolidata. Comunicatore di emozioni forti e pensieri profondi, alla continua ricerca di nature nascoste, l’artista stressa i frammenti d’universo con i quali entra in rapporto.
Del suo modus operandi fanno parte manipolazioni e distorsioni innescantesi in quella cultura della commistione e dell’attraversamento che connota inequivocabilmente il nostro tempo.
In questo ragionare si inseriscono i più recenti lavori di Andrea Biffi il quale, in modo anomalo, interviene su fogli di carta fotografica per loro natura predisposti ad accogliere in camera oscura, sulla superficie gelatinosa, variazioni di luce capaci di imprimere immagini.
L’artista si accosta a queste superfici fotosensibili senza considerazione per il processo cui erano destinate. Ne sfrutta le caratteristiche strutturali e si avvale del bulino che, stretto tra le dita, diviene strumento idoneo a scalfire la pellicola di superficie sulla quale, come ai primordi d’ogni rappresentazione sulle pareti di una grotta, lascia i suoi “graffiti”.
Una scrittura a togliere, quella di Biffi, che consente, nella colorazione loro propria, l’affiorare degli strati inferiori del tessuto cartaceo in forma di sottili filamenti. Una sorta di incisione, o forse di scultura su superficie piana (in ciò è evidente il collegamento con i suoi “totem” tridimensionali, sculture generate da piani avvolti su se stessi), che fa da complemento, talvolta di sfondo, tal altra quale tratto determinante, alla messa in scena dell’immaginario dell’artista.
A confine tra figurazione onirica e astrazione le sue carte graffiate si popolano di figure “liciniane” che, accompagnate dai titoli a commento delle opere stesse, ci riportano alla complessità di un quotidiano dove introspezione e rappresentazione del visibile trovano una sintesi efficace in esistenze fisicamente protese nella propria interiorità corporea.
Corpi fluidi, apparentemente acefali, ma a ben vedere inglobanti il vuoto speculare di un volto che sembra chiedersi di sé e del mondo, appaiono contenitori temporanei di un’energia che generata e partecipe di un unicum universale, divengono il luogo di problematiche convivenze di materia e spirito.
Giuseppe Salerno