Pablo Atchugarry
Antologica di Pablo Atchugarry, tra i maggiori artisti contemporanei internazionali, presentando una selezione di opere realizzate dai primi anni di attività ad oggi. Si tratta delle sue famose sculture: candidi marmi bianchi di Carrara dalle trasparenze e levigature impossibili.
Comunicato stampa
Il Museo MIIT di Torino ospita, dal 13 settembre al 5 ottobre 2013, l’antologica di Pablo Atchugarry, tra i maggiori artisti contemporanei internazionali, presentando una selezione di opere realizzate dai primi anni di attività ad oggi. Si tratta delle sue famose sculture: candidi marmi bianchi di Carrara dalle trasparenze e levigature impossibili, sinuosi e rosati marmi del Portogallo, dalla grana appena percettibilmente un po’ più marcata, che cattura e riflette la luce come pochi altri materiali al mondo, pietre laviche scolpite nella materia grezza, uscite dal mito e dalla storia, pitto-sculture su tavole in legno dal segno dinamico e fusioni in bronzo.
Tra le opere in mostra, una scultura monumentale in legno di ulivo, dalle suggestioni antiche e moderne al tempo stesso, dalla struttura contorta e lieve, potente come lo spirito della natura; sculture in bronzo, che nella superficie levigata e lucente riflettono la purezza dell’idea e della forma creata dall’autore e ancora lavori in marmo, tipici dello stile di Atchugarry, senza compromessi e sempre coerente con la propria poetica estetica ed esistenziale rivolta alla ricerca del bello di natura e all’essenza dell’anima dell’Uomo.
Oggi Atchugarry è considerato il maggior artista sudamericano vivente e uno dei più affermati scultori al mondo, celebrato anche dalla Biennale veneziana del 2003, in cui ha rappresentato il padiglione dell’Uruguay, fino all’attuale realizzazione della sua Fondazione, a Montevideo e del Museo Pablo Atchugarry, a Lecco.
In occasione della mostra sarà consultabile la pubblicazione edita da Electa “Atchugarry. Catalogo generale della scultura. Volume primo 1971-2002”, opera curata dall’Archivio e dalla Fondacion Pablo Atchugarry, da Carlo Pirovano, con ricerche, documentazione e ordinamento a cura di Silvana Neme e Simona Pirovano e Apparati bibliografici ed espositivi a cura di Magda Pirovano. Testi critici di Raffaele De Grada, Giorgio Seveso, Nicola Micieli, Willem Elias, Nicoletta Colombo, Marisa Vescovo, Paolo Frasson, Luciano Caprile, Ugo Ronfani, Carlo Pirovano, Julio Maria Sanguinetti, Carlo Sgorlon. In uscita il Volume secondo.
La mostra è realizzata con la collaborazione dell’Archivio e della Fundación Pablo Atchugarry, Italia Arte, Museo MIIT, Galleria Folco e gode del Patrocinio di Regione Piemonte, Provincia di Torino, Città di Torino, Tactica, CDA Centro Documentazione Arte, Italia Arte International Web-Tv.
SELEZIONE DI NOTE CRITICHE:
RAFFAELE DE GRADA
“La prima volta che ho visto un’opera dello scultore uruguaiano Pablo Atchugarry è stata quando Marino, il buon parroco di Onno, è venuto a presentarmi la foto di una scultura che, per il suo ingombro, trovava difficoltà ad essere ospitata in una chiesa per la quale era stata pensata e fatta. Da quell’opera, che richiamava nella sua forma timida e dinoccolata le antiche sculture delle terre degli Aztechi e dei Maya, si esprimeva il dolore dolce e un poco perverso che in casa nostra fu tipico di Modigliani e nella virginità infranta dei dipinti di giovinette composti con quelle statue filiformi che furono chiamate “Cariatidi” e che corrispondono a un sentimento gotico, di elevazione tutta ideale, della forma umana e divina nello stesso tempo. In modo insolito, nella figurazione di Atchugarry, venivano a concordare elementi tradizionali della sua terra con quelli che nella nostra tradizione possiamo definire toscani, di quella toscanità che dai nostri senesi si tramanda al Quattrocento botticelliano. […]. Tanto mi bastò per capire che Atchugarry apparteneva a quel piccolo gruppo di artisti che soffrivano nella carne i drammi del nostro tempo senza subire da questa violenza ciò che è lo strappo irrecuperabile cioè l’abbandono al “non stile”, quell’espressionismo dilavato e feroce che ci opprime da tutte le parti. Atchugarry non ci presenta fisicamente il dramma della tortura, non ci fa vedere carni escrusciate e brandelli di corpi. Il dramma del suo Paese è decantato da Atchugarry in una serie breve ma imponente di figurazioni astratte, immagini composte come steli lavorate a curve e anfratti. Esse sono diventate progetto di emblemi, con un significato veramente monumentale che è proprio della grande scultura. […]”. (Da R. De Grada, “Le lunghe Pietà di Pablo Atchugarry”, presentazione alla cripta del Bramantino, Milano 1987).
PAOLO TURATI
“Dicono che sulle montagne sussista la presenza di molti “spiriti aspri”, che non amano venire disturbati nel silenzio del loro spazio immenso, spesso scosso da venti impetuosi o scrosci gelidi e reso inestricabile e angoscioso da nebbie impenetrabili. Per questo, le montagne è difficile salirle e ridiscenderne indenni. Dicono però anche che la luce radiosa del sole, il colore inebriante del cielo terso, la dolce ovatta della neve che ne ricopre i crinali più morbidi e l’aria tersa e tiepida della Primavera ne abbia richiamati in quei luoghi altri “gentili”, di spiriti, solleciti, per altro verso, nel prendersi cura di una marmotta malata, così come nel mostrare la strada ad un viandante perduto nel buio. Chi (come ha avuto la fortuna di fare sottoscritto, penetrando nel cuore delle Alpi Apuane attraverso le cave Michelangelo) si è ritrovato a visitare l’interno delle montagne più candide che il Creato abbia concepito, quelle di marmo, si è potuto certamente rendere conto di come il Regno, il più antico, quello minerale, sia caratterizzato da tale potenza che viene spontaneo pensare che le testimonianze che resteranno attraverso i tempi del terzo pianeta più vicino al Sole sarà proprio quest’ultimo a lasciale, non gli alberi o gli animali, umani o meno che siano. Questa percezione è certamente un elemento portante introiettato nell’anima artistica del grande Maestro uruguayano Pablo Atchugarry -presente a Torino dal 13 Settembre 2013 con un’importante mostra presso il Museo Miit diretto da Guido Folco- uno dei più interessanti scultori (dopo le esperienze pittoriche degli esordi al seguito del suo Maestro Joaquìn Torres Garcìa) contemporanei, le cui opere sono presenti in significative collezioni internazionali, abbelliscono città le più prestigiose, come Montecarlo, Miami o Buenos Aires e sono quotate a prezzi sempre crescenti nelle Aste e sui mercati artistici worldwide. I suoi, a volte giganteschi, “carrara” rappresentano il prototipo di come l’ispirazione di un grande artista segua un fil rouge che prescinde il trascorrere dei secoli. Di come, nell’Arte, i concetti di classicità e di contemporaneità siano un’impostura: esiste solo lo spirito della “visione”, che sia stato in passato Michelangelo, oppure Brancusi a ‘captarlo’, oppure -oggi- il Nostro. E’ una ‘captazione’ difficile, questa, che solo pochissimi sono in grado di fare, ma ne derivano immancabilmente conseguenze immortali per l’Umanità: il bello, l’equilibrio, il bene, sono concetti indispensabili per il persistere di questo Mondo. E gli spiriti “gentili” sanno come gli artisti ‘ispirati’, quali Pablo Atchugarry, siano dei veri e propri decoder, da ‘alimentare’ con le visioni più incredibili. (Da Paolo Turati, “Lo spirito aspro di Pablo Atchugarry”, Italia Arte, 2013).
CARLO PIROVANO
“[…] Per la particolare conformazione lirico-astrattiva dell’universo fantastico di un artista come Atchugarry che non risponde ad una riproduzione mimetica della realtà di natura, la mancanza di un modello convenzionale prefissato da copiare gioca in favore di un’estrema libertà inventiva che egli può giocare al limite estremo delle combinazioni visive (vuoti e pieni, luci ed ombre), ma nello stesso tempo traccia un brogliaccio di significati estremamente ardui e per molti aspetti criptici proprio perché preliminarmente situati nell’ambito della suggestione emotiva e della trasfigurazione segnica simbolico-allusiva, assolutamente non descrittiva, rigorosamente sottratta ai pretesti aneddotici e illustrativi. […] L’escavazione assillante della materia lapidea sortisce a moduli dinamici che con tutta naturalezza coniugano le suggestioni di certa avanguardia purista e concretista del primo novecento con l’aura mistica, con la diafana tensione immateriale della cultura medievale, fino alla sfida estrema della sublimazione metafisica […]”. (Da C. Pirovano, “Pablo Atchugarry, Monumento alla civiltà e cultura del lavoro lecchese”, 2002).
MARISA VESCOVO
“[…] Atchugarry intride, con autentici soffi energetici, il “corpo” della scultura, rimuove il velo delle “apparenze”, ne mette in evidenza la fisionomia sensuale. Per questo scultore coagulare energie significa anche disciplinare la sovrabbondanza delle idee e dei motivi lineari, per salvare solo quelle che possiedono una scintilla vitale, che è poi il punto in cui l’occhio trova il contatto con immagini naturali, immagini umane, segni dello stupore dell’essere qui ed ora. Atchugarry cerca di cogliere, con concentrazione, l’entità dinamica di ciò che esiste, ovvero cerca il movimento al suo insorgere nel vuoto. Lo spazio della scultura esce dalla materia, levigata fino allo spasimo per diventare parte di un fenomeno pluridimensionale in cui lo spazio reale e lo spazio psichico si sovrappongono […]”. (Da M. Vescovo, “Pablo Atchugarry”, catalogo della mostra, Finale Ligure, Valente Arte Contemporanea, 1996).
WILLEM ELIAS
“[…] Il lavoro di Pablo Atchugarry è basato su questo principio di storia dell’arte ed estetica: il marmo )nel nostro contesto europeo occidentale) è bello di per sé e la sua bellezza aumenta se la forma rimane semplice. La semplicità di Atchugarry consiste in variazioni sulla linearità. Il suo lavoro è basato sulla costruzione di due punti evanescenti che cercano di fuggire dai due raggi: verticale ed orizzontale. La linea focale segue le onde e bruscamente prende un’altra direzione. Il suo lavoro, lungi dal rimanere su una linea retta, diventa un gioco di triangoli sorprendenti non compatibili con l’esattezza matematica della geometria. I punti evanescenti sono integrati nelle numerose curve per sfuggire alla misura. I volumi non hanno alcun lato tagliente, sono arrotondati. Gli angoli diventano inclinazioni, le scanalature diventano pieghe. E’ abbastanza chiaro che il lavoro di Atchugarry non è quello della razionalità severa, che cerca di capire l’universo attraverso l’arte. Come la musica spesso vagheggia con la matematica, altrettanto fa la scultura. L’astrazione geometrica è un moderno esempio, la problematica della regola aurea ne è uno vecchio. […] Atchugarry sta cercando di trovare le leggi della natura. Le sue sculture sono un’astrazione di piante e fiori. Egli cerca di uguagliare la loro estetica dello sbocciare ed immortalarla nell’immobilità. La vitalità che scaturisce dal lavoro è in realtà la tematica di forza, potenzialità di ciò che è nato per crescere […]”. (Da W. Elias, “Atchugarry”, catalogo della mostra, Foundation Veranneman, 1998).
LUCIANO CAPRILE
“Pablo Atchugarry si pone in una situazione di attesa, ai limiti di un precipizio di ghiaccio da modellare, da coniugare per fratture, da recuperare in ascensioni improvvise. Da un lato la sua è una scultura fenomenica, impulsiva, scandita dall’imprevisto del crollo; dall’altro si determina per equilibri formali recuperati dai valori ellenistici di un frammento trasformato e reinterpretato per essenze e per assenze, collocato infine sul piedistallo della purezza espressiva. E’ il panneggio, la sua idea della lievità da offrire alle figure fermate nella pietra, a conquistare l’onore della ribalta. Ma è anche l’idea dell’evoluzione progressiva, il susseguirsi di momenti diseguali, a fornire ai nostri sguardi e alle nostre emozioni il germe di una accelerazione metamorfica per allegorie estrapolate dall’astrazione. L’andamento dei flussi motori è incalzante: si nutre di pause e di sussulti improvvisi, di iati ai limiti della catastrofe che potrebbe vanificare un’intera costruzione caratterizzata da morbidezze avvolgenti o giustapposte e da scatti veementi a provocare il cielo, a tentarne la profondità. Anche la materia soccorre le sensazioni, le emozioni: il marmo di Carrara esalta nel candore la memoria, esalta il rimando tra il disegno della natura e l’arte degli antichi; il marmo rosa del Portogallo insinua il calore della dolcezza nelle pieghe di un’armonia più contenuta, più rivolta a una introflessione meditata e composta. […]”. (Da L. Caprile, “Alla ricerca del sublime”, in “Museo Pablo Atchugarry”, 1999).
GIUSEPPE ZACCARIA
[…] “Si è parlato, per la letteratura, di ‘poesia pura’, ossia di quella poesia che, muovendo da alcune suggestioni baudelairiane, giunge a Mallarmé (il Mallarmé di Un coup de dès) e a Ungaretti, in cui la parola, depurata di ogni scoria fenomenica, “scavata nel silenzio” e isolata nel vuoto dello spazio bianco, si confronta con l’assoluto, cercando di raggiungere i confini dell’indicibile (ma la recherche de l’absolu, per citare il titolo di un romanzo di Balzac, ha anche in letteratura radici remote: si pensi solo alla ‘poesia dell’ineffabile’ su cui si chiude la Commedia dantesca). Credo che, in questo senso, Atchugarry sia il solo artista per cui si possa parlare adesso di ‘scultura pura’, in un’accezione più ampia e aperta, direi luminosa, rispetto a ogni chiusura e oscurità di tipo ermetico. La purezza dei risultati raggiunti da Atchugarry è anche – si diceva – di tipo religioso, ma traduce la fede non come una individualistica ricerca interiore, interpretando il senso del numinoso, del divino (non parlo, è ovvio, delle religioni confessionali), per renderlo partecipe nelle proiezioni di una visualizzazione sensibile. È l’intento che viene apertamente esibito in una importante “Pietà”, questa sì figurativa, del 1982, dove le forme si distendono in una raffigurazione dell’umano (nel senso che il soggetto è quello della madre e del Dio fattosi uomo) la cui natura può essere adombrata ancora in certi particolari e movimenti di tutta la restante produzione non figurativa […]”. (Da G. Zaccaria, “Italia Arte”, mostra al Museo MIIT, 2013).
GUIDO FOLCO
“Le mie immagini incarnano una ricerca indirizzata verso la possibilità di vivere in armonia con se stessi, gli altri, la natura, per superare contraddizioni e contrasti”: così descrive la sua opera Pablo Atchugarry, ponendo l’accento sul tema dell’unità e della bellezza, dell’armonia e della sintesi espressiva, intesa non soltanto come espressione di una forma esteriore e di un gusto estetico, ma dello spirito universale che anima il mondo. La scultura, questo legame atavico e primordiale tra uomo e terra, sancisce il desiderio dell’Essere di farsi tutt’uno con la natura, di trasformare e plasmare, con la luce dell’intelletto e la razionalità del gesto, la materia grezza, fino a trasformarla in preghiera, in sensuale epifanìa creativa. Pablo Atchugarry si confronta quindi con se stesso e in ogni opera esalta l’unicità dell’Uomo, l’originalità di uno sguardo che indaga in profondità le trame dell’esistenza. Lo sfogliare il marmo, rendendolo quasi trasparente e in simbiosi con la luce, infinitamente percorso da canyon e abissi di oscurità, da cui emerge infine la purezza abbacinante della pietra, è quasi un’operazione salvifica, che dalle tenebre innalza lo spirito fino al cielo. Per questo, ammirando i suoi lavori, si coglie l’energia del Creato in un afflato mistico di sensuale candore e inquietante profondità […]”. (Da G. Folco, “Italia Arte”, mostra al Museo MIIT, 2013).
BIOGRAFIA DI PABLO ATCHUGARRY
Pablo Atchugarry è nato il 23 agosto 1954 a Montevideo (Uruguay). Fin da bambino, eredita la passione per l’arte dal padre Pedro, che lo stimola a seguire e a coltivare il suo interesse e il suo talento per la pittura e, in seguito, per la scultura, campo in cui oggi eccelle a livello internazionale. Il successo delle sue prime esposizioni, a soli 11 anni di età, lo inducono a sperimentare nuovi linguaggi e nuove tecniche, fino all’approdo con la scultura.
Artista precoce, Atchugarry realizza la sua prima personale presso la Sala Civica di Montevideo, nel 1972, mentre due anni dopo sbarca con una grande mostra a Buenos Aires. Molti sono i viaggi di studio compiuti negli anni Settanta, tra Francia, Spagna e, infine, Italia, dove esporrà nella sua prima personale italiana a Lecco. Nel 1979 l’incontro con un materiale straordinario come il marmo bianco di Carrara: qui realizza l’opera “La Lumiere”. La sua carriera prosegue tra Italia, Europa e il mondo, con molti ritorni in Uruguay. Nel 1982 si stabilisce a Lecco, dove ottiene il primo incarico pubblico con la realizzazione dell’opera monumentale “La Pietà”.
Dal 1989 si susseguono esposizioni internazionali nei maggiori e più importanti musei e gallerie del mondo, oltre a numerose commissioni pubbliche e private per opere monumentali, oggi in spazi pubblici europei e latinoamericani e collezioni pubbliche e private. Nel 1996 si inaugura nel Parque del Palacio de Gobierno del Uruguay, "Semilla de la Esperanza", opera in marmo bianco di Carrara di 3,90 metri di altezza, a cui segue, nel 2001, l’antologica degli ultimi dieci anni di lavoro voluta dalla Provincia di Milano, a Palazzo Isimbardi. Nei primi anni 2000 realizza l’ "Obelisco del Terzo Millennio", imponente scultura in marmo di Carrara di 6 metri di altezza che impreziosisce la città di Manzano, in provincia di Udine. All’inizio del 2002 realizza la scultura "Ideali": 3 metri di altezza in marmo della Garfagnana, collocata a Montecarlo, nel corso dedicato alla Principessa Grace. Nel maggio 2002 si inaugura a Lecco il “Monumento alla Civiltà e Cultura del Lavoro Lecchese", 6.10 metri di altezza di scultura in marmo di Carrara, varietà Bernini, ricavati da un blocco di 33 tonnellate.
PRINCIPALI RICONOSCIMENTI
Tra i molti riconoscimenti, i più significativi sono sicuramente il “Premio Michelangelo” alla carriera, ricevuto a Carrara nel 2002, l’acquisizione della sua opera in marmo rosa del Portogallo “Sensazione d’infinito” da parte del Museo Lercaro di Bologna e, nel 2003, la partecipazione alla 50° Biennale di Venezia in rappresentanza dell’Uruguay con l’opera “Soñando la Paz", gruppo scultoreo di 5 elementi in marmo di Carrara, tra i 3.50 e i 2.50 metri di altezza e di altri tre in marmo Bardiglio della Garfagnana di 1.50 metri di altezza.
LA FUNDACION PABLO ATCHUGARRY E IL MUSEO PABLO ATCHUGARRY
Tra le principali attività recenti, la creazione, nel 2007, a Manantiales, Uruguay, della Fundación Pablo Atchugarry, con la finalità di diffondere e promuovere le arti plastiche, la letteratura, la musica e il teatro e di valorizzare e promuovere la creatività dei giovani talenti. Nel 2008 sue sculture entrano a far parte della Collezione del Museu Brasileiro da Scultura di San Pablo, in Brasile. Il 2009 ha rappresentato un'altra importante pietra miliare nella cooperazione internazionale promossa da Paolo Atchugarry, con un'iniziativa sostenuta tra la Fondazione e il Museo Heidi Weber Centro Le Corbusier, a Zurigo. La Fondazione ha infatti ospitato una raccolta di 120 opere del grande maestro, tra dipinti ad olio, sculture, arazzi, litografie, incisioni, mobili, modelli e disegni provenienti dalla Collezione Heidi Weber.
La città di Lecco ospita, oggi, il Museo Pablo Atchugarry.