Finte nature
Diciassette artisti e gruppi raccontano con opere inedite una nuova scena artistica toscana. Decostruendo i miti del nostro tempo – le finte nature -, gli artisti testimoniano un nuovo approccio all’opera ed al suo contesto. La mostra, articolata in 4 sezioni/miti del nostro tempo (economia, pubblico, luogo, legami), occuperà gli spazi del Museo e della città con installazioni, performance e progetti partecipativi.
Comunicato stampa
Se ogni tempo vive dei suoi miti, che sono necessari per creare una storia comune, quando diventano ‘fatti naturali’ acquistano una propria autonomia ed un proprio potere. Ciò che prima appariva fatto dagli uomini, e quindi modificabile, appare poi ‘scontato’ e stabile...
Il libero mercato, i confini, i diritti (e la loro mancanza), la famiglia, la natura incontaminata, ecc. sono alcuni dei miti del nostro tempo che stanno segnando un periodo storico (un epistème, direbbe Foucalut), e che ne stanno condizionando gli sviluppi e la vita stessa di tanti individui. È possibile perdere il lavoro, la casa ed i mezzi di sostentamento, semplicemente perchè il mercato sta ‘facendo il proprio corso’, apparendo tutto ciò come ‘scontato’ e ‘naturale’; uno Stato può fallire mantenendo i propri confini geografici ed il proprio ‘capitale’ umano; la tecnica può produrre sostanze tossiche resistenti nell’ambiente per secoli in nome dell’autonomia della scienza; e, ad un livello più quotidiano, fino a che punto il legame familiare è un valore in se’? Oppure, quanto un luogo ‘pubblico’ può essere davvero ‘pubblicamente’ utilizzato e modificato?
‘Attaccando’ i miti del nostro tempo, la nostra propria ‘natura’ collettiva, gli artisti in mostra tratteggiano una forma contemporanea di pratiche artistiche. Oltre le secche di un intimismo di maniera diffuso nella regione negli anni passati, ripensano il rapporto tra le cose ed i luoghi, le persone ed i loro legami, la partecipazione e la libertà in maniera attuale e disillusa. Se non è tutt’oggi descrivibile un ‘altrove’, una terra promessa, un Eden da raggiungere; le opere in mostra non si adagiano sullo status quo, nè ripiegano celebrando un nuovo, anch’esso mitico, ‘Io creatore’. Cercano piuttosto di decostruire questi miti contemporanei che stanno creando evidenti contraddizioni e barriere…
Uno dei miti più forti risiede forse nel primato dell’economia sulle altre sfere del sociale e del suo corrollario del ‘libero mercato’. È ormai diventato una ‘legge superiore’, capace di dare un ordine allo spazio urbano ed anche alla natura stessa. Trial Version, Leone Contini e Massimo Ricciardo riattivano gli spazi dismessi del commercio nel centro cittadino a seguito della crisi economica, per farne luoghi per la progettazione di un nuovo futuro sostenibile; Eva Sauer rappresenta questo presente-in-crisi a partire dai racconti dei bambini della ludoteca cittadina. Federico Cavallini ne fa invece un’occasione di riflessione sui microprocessi di trasformazione del paessaggio naturale e urbano: gli scarti raccolti nei filtri delle lavanderie di diversi quartieri cittadini, diventano tele già dipinte di colori necessariamente diversi, sintomi e prodotti di macro-processi sociali.
Un mito utopico invece ben chiaro e definito nell’opera “Eclissi” di Maria Pecchioli; una serie diapositive, trovate negli archivi di famiglia, scattate dal nonno in Piazzale Michelangelo a Firenze e rappresentanti un’eclisse solare di fine anni ‘60. Un mito di conquista ed un sogno da raggiungere, che diventa un gioco sbiadito di tessere da riordinare; ma che comunque rappresentano un pubblico definito e conscio di sè, delle proprie speranze e ambizioni condivise. Un mito che sfuma nell’indefinito e nell’illusorio nella libreria utopica di Enrico Vezzi: la creazione di un archivio in progress delle utopie depotenzia il valore di ogni singola utopia, mostrandone però quasi la necessaria presenza. Un pubblico invece omogeneo e disciplinato, ma proprio per questo assurdo e impossibile, è narrato nell’opera di Filippo Basetti. Un progetto architettonico per la Piazza del Popolo di Monsummano taglia in due la piazza, sottraendola alle auto con uno pseudo-colonnato fatto di piccoli archi, sotto ai quali’ il ‘popolo’, uguale e diverso, passa singolarmente e di profilo. Uguaglianza o omologazione pubblica?
Luoghi omologati e di facile consumo, in cui i caratteri, le funzioni ed i possibili usi sembrano già scritti ed incontrovertibili. Filippo Manzini cerca di sovvertire questi ordini spaziali ed architettonici, tecnici ed ergonomici, già scritti deviando l’attenzione e gli usi degli spazi museali. Forme del non dire e materiali pre-antropizzati, presenti nel lavoro di Vittorio Cavallini, riportano la relazione con le cose ad uno stadio pre-istituzionale e pseudo-sensibile, dove le cose ridiventano ‘problematiche’ e i discorsi su di esse ambigui. Un’ambiguità storica e antropologica invece quella presente nei disegni di Michele Dantini, i cui rimandi formali ed iconologici si perdono tra passato e presente; oppure quella del lavoro di Justin Randolph Thompson: l’opera, pensata per le ex-cucine della servitù nel piano seminterrato della Villa, si confronta con il passato coloniale del luogo e con le memorie storico-politiche del suo proprietario Ferdinando Martini. Luoghi che faticano a dirsi dell’uomo o della natura come nella serie Sottovetro di Silvia Noferi: paesaggi toscani antropizzati confondono il limite tra natura e cultura, e vi inseriscono prepotentemente l’osservatore come terzo ospite scomodo. Terzo protagonista che esce dalla diatriba natura-cultura nell’opera di Federico Gori: la separazione è continuamente ricucita e mediata grazie al lavoro dell’artista, che tesse continuamente un’immagine di natura originaria ma già antropizzata, terribile ma dominata. Una tessitura che media e smorza, rievoca ma nega allo stesso tempo.
Il lavoro di affermazione e negazione simultaneo è anche al centro dell’opera di Olga Pavlenko: un passato che mostra i suoi legami al presente nei simboli e nei riti, in cui l’esperienza diventa un flusso continuo di valori e miti che ricordano allo spettatore la necessità di scelta. Scelte racchiuse anche in legami transitori, come quelli realizzati da Lisa Batacchi che invita i cittadini a momenti conviviali durante i quali realizzare ritratti reciproci senza mai abbassare gli occhi sul foglio. Ne risulta una città fatta di legami effimeri eppure intensi e partecipati. Intensi come i legami che vivono ma nascondono le famiglie ritratte negli scatti fotografici di Francesca Catastini, che ritrae le famiglie di Monsummano nei luoghi loro familiari, lasciando che le persone si mettano in posa, e partecipando lei stessa nella messa in scena familiare. Una natura messa in scena, finta ma vera, reale perchè costruita, ma autentica, in quanto vissuta.
EVENTI COLLEGATI
26 ottobre 2013, ore 16
Come se lo facessimo noi
Dialoghi tra arte e sociologia intorno al pensiero di Bruno Latour
Partecipano gli artisti della mostra Finte nature e i membri del seminario sul pensiero di Bruno Latour attivo presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Firenze coordinato dal Prof. Marco Bontempi
“Colloqui” si pone quale strumento di sviluppo e valorizzazione del patrimonio culturale delMuseo di arte contemporanea e del Novecento e del territorio circostante, attraverso mostre e incontri. L’evento e la pubblicazione del volume sono inseriti nel Piano della Cultura coordinato e sostenuto dalla Provincia di Pistoia e dalla Regione Toscana.