Simone Bubbico – Apparenze reali
Quella di Bubbico è una caverna platonica ribaltata, nella quale il contorno sfumato delle ombre non vuole ingannare lo spettatore, ma renderlo partecipe dalla complessità del reale e della sua mutevolezza.
Comunicato stampa
Nel 1933 Junichiro Tanizaki dava alle stampe il Libro d’ombra. Lo scrittore giapponese metteva in guardia i suoi connazionali: la luce, prorompente nel mondo occidentale, godeva di uno statuto diverso dalle loro parti. Essa non avrebbe dovuto sottostare allo sfolgorante caleidoscopio di insegne e lampade che deturpavano ambienti domestici e paesaggi urbani, ma partecipare, nella misura adeguata, alla creazione di quel lucore caratteristico della tradizione giapponese: una luminosità tenue e misteriosa, fatta di madreperla, lacche scure, pelli elegantemente pallide e denti dipinti di nero. Una realtà, quella di Tanizaki, già lontana negli anni trenta del XX secolo, ed ora quasi completamente estinta.
Non ci sono concordanze specifiche tra il tradizionale gusto giapponese per il chiaroscuro e le installazione di Simone Bubbico. Persiste, tuttavia, nell’artista torinese un sincero e - forse - antico interesse per quei delicati rapporti che si instaurano tra la luce elettrica e la riflessione di questa sulle superfici più varie. Tanizaki teorizzava l’esistenza di una speciale bellezza nipponica, un fascino tutto quanto generato dal particolare rapporto che il suo popolo aveva coltivato con l’oscurità, Bubbico trasforma la luce in oggetto, accetta di porla in dialogo con le tenebre e ne fa una materia affascinate e inafferrabile.
Se la luce sfuma nel buio o si infrange contro supporti opachi e inchiostrati, l’ombra diventa protagonista e, contrariamente a quanto ammesso dalla tradizione occidentale, veicolo di conoscenza.
Quella di Bubbico è una caverna platonica ribaltata, nella quale il contorno sfumato delle ombre non vuole ingannare lo spettatore, ma renderlo partecipe dalla complessità del reale e della sua mutevolezza. Un oggetto tridimensionale si appiattisce sulla tela, una scultura diventa pittura, un fondo nero fa emergere figure simili a fantasmi e, con schiettezza, la mano dell’artista si trasforma nella sua opera.
Fabio Cafagna