Bertolt Brecht e la fotografia
La produzione di Brecht è sostanziata da una azione molteplice dei “media tecnici” (fotografia, radio, cinema). E uno dei suoi frutti più accattivanti è l’esperimento dei fototesti, che ancora oggi ha molto da dire a chi riflette su Brecht e sul teatro, ma anche a chi si interessa di cultura visuale.
Comunicato stampa
Centro Teatro Ateneo, Sapienza Università di Roma, Università Roma Tre
in collaborazione con il Goethe Institut Rom
a cura di Francesco Fiorentino e Valentina Valentini
La produzione di Brecht è sostanziata da una azione molteplice dei “media tecnici” (fotografia, radio, cinema). E uno dei suoi frutti più accattivanti è l’esperimento dei fototesti, che ancora oggi ha molto da dire a chi riflette su Brecht e sul teatro, ma anche a chi si interessa di cultura visuale. La sperimentazione foto-testuale coinvolge il suo teatro epico e la lirica – in primis, ma non solo, la Kriegsfibel (L’abicì della guerra, 1955), ultima opera poetica del drammaturgo – come la prosa posata e scattante dell’Arbeitsjournal (Il diario di lavoro, 1973). Sono dunque da considerare i Fotoepigramme e i Modellbücher approntati per conferire a alcune sue opere (Mutter Courage, Antigone…) una sopravvivenza visiva che fornisse lo stimolo per altre messe in scena. Sono molteplici i riferimenti e le ispirazioni che stimolano questo lavoro e molteplici quello che esso stimola: ci sono i grandi teorici dell’immagine da Walter Benjamin, Siegfried Kracauer, Bela Balazs, Aby Warburg fino a Didi-Huberman che ai fototesti brechiani ha recentemente dedicato il volume volume Cuando las imágenes toman posición (2008); c’è poi un dialogo critico con il fotogiornalismo, l’uso straniante di “generi” come la lapide, l’insegna, la pubblicità. Siamo già nel pieno di una cultura impregnata dalle immagini almeno quanto dai testi. Una cultura che è già la nostra e che dispositivi ibridi come quelli della foto-testualità brechtiana aiutano a leggere in modo forse più complesso