Sol Invictus
Mostra doppia personale
Comunicato stampa
E’ possibile “guardare” oltre il colore etereo? I corpi e le figure rappresentati da Melissa Provezza sono identità vulnerabili, spesso bambini, adolescenti e figure femminili, investiti da una doppia visibilità con tratti diafani, regolano un doppio gioco che non passa soltanto attraverso un voyeurismo facilmente individuabile con le nudità. Assumono la forza dell’emergenza, figure che non hanno effetto straniante, emergono per venire incontro all’osservatore, generano potenza comunicativa che induce alla riflessione. In questa occasione espositiva si aggiunge l’elemento “stratificatore” di alcune opere che libera, sorprende e conserva il gesto creativo dell’autrice.
Francesco Gattuso
Formalmente l’immagine è al limite dell’esistere, della visibilità e ostenta identità sbiadite, senza colore. Sono corpi senza corpo, trasparenti, attraversabili, privati della carne da occhi carnivori, dati in pasto allo spettatore–voyeur.
Sagome eteree dipinte ad olio in bianco e nero, su fondi bianchissimi abbacinanti, rappresentano corpi nudi, spesso tra i più vulnerabili, sui quali sono talvolta sovrapposti elementi che oggettualizzano ancor di più il soggetto (chewing gum, occhielli di metallo, ecc.).
Sottrarre il corpo per parlare del corpo e non solo, bensì di ciò che ne rimane, dei resti del suo utilizzo, delle conseguenze dello sguardo vorace. Nella tela il soggetto occupa uno spazio intimo in solitudine.
Una pittura in dissolvenza che implicitamente è riflessione metapittorica sulla sopravvivenza della pittura stessa – figurativa – oggigiorno.
Le opere più recenti si compongono di vari strati di tele dipinte e sovrapposte una sull’altra. L’immagine dipinta sulla prima tela prosegue sulla seconda, la cui visibilità è circoscritta da un taglio che buca il primo strato. Lo stesso accade per gli strati successivi. La piena visione dell’immagine sottostante è consentita al fruitore dalla possibilità di sollevare la tela che sta davanti. La forma dei buchi richiama quella di cellule umane sane e malate (in un legame tra micro e macro, tra dentro e fuori, tra fisico e metafisico).
Della figura rappresentata, scomposta nella sua interezza, stratificata e bucata, si ha una visione parziale: evocativa di come l’essere umano anche nella sua nudità metaforica sia complesso e – così come la pelle – abbia più strati dietro ai quali si rivela. Allo stesso modo non tutto ciò che è dipinto è immediatamente visibile: si tratta di una pittura che va prima immaginata e poi scoperta, come accade con le persone.
Melissa Provezza
Se,olio su tela,supporto in legno(2strati di tela dipinti)121x71
Note Biografiche
Melissa Provezza è nata a Orzinuovi (Brescia), vive e lavora a Milano.
Sia in Italia che all’estero ha esposto in mostre personali e collettive, presso gallerie private e spazi istituzionali, oltre ad aver partecipato a fiere d’arte e a concorsi nei quali è stata selezionata e/o premiata.
Ha esposto nella 54ª Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, Padiglione Accademia, alle Tese di San Cristoforo all’Arsenale (catalogo edito da Skira).
ELISA SAGGIOMO
Città-Bologna, olio su fotocopia e tavola, 90x250 cm
Avevamo lasciato Elisa Saggiomo qualche anno fa, esattamente tre anni or sono, nel bel mezzo di un viaggio simbolico/immaginario tra le trame dei fili elettrici: illimitate intersezioni, che viaggiano nella natura senza tregua, trovando di tanto intanto ristoro su qualche traliccio. Compiendo una facile, ma estremamente veritiera similitudine, si potrebbero comparare le intersecazioni dei fili con i grovigli e i labirinti che la vita ci “dona”. Un viaggio senza sosta e forse senza meta.
Oggi ritroviamo Elisa Saggiomo nuovamente in viaggio; l’itinerario attualmente non è più sospeso tra gli equilibri dei fili o le geometrie dei ponti, ma è un cammino quotidiano dove passi, occhi pensieri si immergono e si perdono dentro la città.
Sono gli spazi dell’urbe, più esattamente la città nella sua dimensione aerea, immagini panoramiche dalle quali emergono le abitazioni viste con l’occhio di chi si allontana dal fragore e osserva il proprio nido, provando a guardare e guardarsi da una prospettiva inconsueta.
I luoghi sui quali la Saggiomo si concentra sono quelli che sono stati e ancora sono parte imprescindibile della sua esistenza, della sua storia: Firenze, Bologna e Napoli.
Elisa guarda attentamente, scruta, indaga, ma al di sopra di ogni cosa, con la sensibilità e la dolcezza che dimorano all’interno del suo animo, ascolta e quindi è in grado di captare le vibrazioni insite nei luoghi dell’umano.
Una volta individuato il soggetto, subentra l’occhio meccanico con cui la Saggiomo cattura un’immagine fotograficamente per poi andarla ad applicare su tavola e successivamente intervenire con il colore ad olio. Protagonista è il bianco, con la sua candida e delicata presenza che, Elisa stratifica con lievi velature, donando all’opera una luce malinconica ed estremamente sintomatica di presenza nell’assenza: quella umana. Come sostiene la stessa artista: “Cerco di afferrare il senso della collettività umana. Questa sensazione di collettività mi sembra di trovarla nelle panoramiche urbane, dove la città torna forse ad essere quasi un’idea di città, dove la presenza umana sembra solo un ricordo, un breve passaggio. Ritrovo il senso dell’uomo nella sua assenza.”
Luoghi che trasmutano la loro vita in un’apparente destino asettico, che non vede presenza umana, ma ne ode i respiri e i pensieri; quella che potremmo definire una “morte apparente” che trova la propria rinascita nel bianco del colore, un sol invictus che è luminescenza apportata materialmente attraverso la video proiezione direttamente sull’immagine della città. Qui avviene una sorta di metamorfosi, nella quale stormi di uccelli sembrano avere preso le vesti degli uomini: volano sulla città, separatamente, poi si uniscono, a volte confusamente, instabilmente, per poi disgregarsi ed ancora ricongiungersi oscurando quasi totalmente il cielo. Una metafora dell’uomo contemporaneo, smarritosi all’interno della sua stessa realtà, tremendamente instabile e vaga, non solo alla ricerca di se stesso, ma che combatte tutti i giorni con e contro i suoi simili per ritrovare un’identità che oggi è solo precarietà. Una luce improvvisa colpisce i nostri occhi, ci abbaglia, ci sveglia dal freddo e dal torpore, proprio come il sole invitto rinasce dopo il letargo nel giorno del solstizio d’inverno: allora non è tutto perduto, dopo la notte riappare sempre la luce. Forse stavamo solo sognando...
Alberto Mattia Martini
Città-Napoli, olio su fotocopia e tavola, 93x250 cm, con frame Video Uccelli
Note Biografiche
Nata a Firenze nel 1982, per diversi anni ha vissuto e lavorato a Bologna ed ora è tornata nella sua città natale. Laureata all’Accademia di Belle Arti di Carrara e di Napoli, molto spesso utilizza la base fotografica per la realizzazione delle sue opere. Vincitrice del Primo Premio d’arte Contemporanea Val di Sambro nel 2009 assegnatole dalla Giuria presieduta dalla Professoressa Vera Fortunati, nel 2010 presso la Galleria Spazio Testoni di Bologna ha presentato “ALTA/TENSIONE” sua personale curata da Alberto Mattia Martini.
Finalista al Premio “Prima Luce 2013” ha partecipato all’esposizione collettiva dei giovani talenti della fotografia presso il Palazzo Ducale di Genova.