Lee Jeffries – Homeless
I soggetti di Lee Jeffries, fotografo quarantunenne di Manchester, sono persone senza fissa dimora, emarginati, uomini e donne esclusi dall’attività sociale incontrati camminando per le strade dell’Europa e degli Stati Uniti.
Comunicato stampa
I soggetti di Lee Jeffries, fotografo quarantunenne di Manchester, sono persone senza fissa dimora, emarginati, uomini e donne esclusi dall’attività sociale incontrati camminando per le strade dell’Europa e degli Stati Uniti. Il suo orientamento artistico muta con l’incontro casuale nelle vie di Londra di una ragazza senzatetto di cui ruba con il teleobiettivo una foto. Questo primo approccio gli insegna ad anteporre la conoscenza di ciascuno dei soggetti all’urgenza di fare loro un ritratto fotografico e, da allora, i suoi scatti diventano immagine delle sue convinzioni e della sua compassione per il mondo.
Lo straordinario lavoro di Lee Jeffries, Homeless, è presentato in prima mondiale al Museo di Roma in Trastevere dal 19 ottobre 2013 al 12 gennaio 2014 dopo essere stato accessibile al pubblico solamente in rete, dove ha peraltro già ottenuto fama, riconoscimenti e premi. L’artista è fortemente legato alla particolare atmosfera di spiritualità e tolleranza della città di Roma, dove ha scattato molte delle immagini più significative della sua ricerca. La mostra fotografica è promossa dall’Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e da LoolitArT ed è a cura di Giovanni Cozzi, con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura. La mostra fa parte del Circuito della XII edizione di Fotografia, Festival Internazionale di Roma.
In esposizione cinquanta scatti in bianco e nero, senza didascalie o date, come senza tempo è la sofferenza rivelata dai volti fotografati, il disagio diventato stile di vita. Immagini che Jeffries ha colto vagando per le vie di Londra, Parigi, Roma, New York, Miami, Los Angeles o Las Vegas, spesso ritraendo persone che quelle stesse strade hanno come dimora. Il suo stile si evidenzia nel trattamento della luce e dell’ombra, nella semplice inquadratura frontale, spesso con sfondi monocromatici scuri. Le persone che attraggono istintivamente lo sguardo di Jeffries sono uomini e donne emarginati, personaggi insoliti, outsider con storie personali drammatiche, prive delle apparenze del decoro sociale. La loro vita quotidiana come sopravvissuti è visibile sui loro volti.
Primo intento etico di queste immagini è secondo l’autore “urlare l’ingiustizia” con la semplice speranza di “scattare un fotogramma che abbia alla fine il potere di influenzare …. di rendere l’attenzione dello spettatore abbastanza forte per volere conoscere e fare di più”. E la luce di questi scatti, nelle parole del curatore della mostra Giovanni Cozzi, “è la stessa Luce che affiorava dai volti dei peccatori, dei santi, degli uomini e delle donne del popolo dipinti o scolpiti nel marmo ai piedi della Divinità, sia essa Cristo o Madonna, da Caravaggio, Leonardo, Michelangelo, Bernini, e nelle opere più grandi dell’arte rinascimentale e barocca europea. Più che di fotografia, è di Arte Sacra che si tratta. Ed è questo, ciò che resta della divina tragedia di Jeffries: il Sacro, il senso vero dell’essere Umano, troppo Umano, nella discesa agli Inferi e nella risalita al Cielo”.