Rehenes/Ostaggi
Con le opere di Rehenes – Ostaggi alla Sala Santa Rita dialogano due estetiche e due mondi divergenti che riflettono sulle violenze e le coercizioni della quotidianità e sulle strategie di reazione.
Comunicato stampa
REHENES – OSTAGGI, installazioni di Elizabeth Aro e Silvia Levenson, promossa dall'Ambasciata Argentina in Italia e curata da Giulia Giovanardi e Alexandra Gracco Kopp, è il terzo appuntamento di “AUTUNNO CONTEMPORANEO”, un ciclo di installazioni site specific, giunto alla sua seconda edizione, ospitato alla Sala Santa Rita dal settembre 2013 al gennaio 2014 che comprende quattro progetti di artiste presentati da critici romani.
Con le opere di Rehenes – Ostaggi alla Sala Santa Rita dialogano due estetiche e due mondi divergenti che riflettono sulle violenze e le coercizioni della quotidianità e sulle strategie di reazione. La contrapposizione apparente tra la fredda e dolorosa immobilità delle installazioni della Levenson e il pathos delle sculture in tessuto della Aro si risolve nell’evocazione della condizione esistenziale dell’ostaggio, metafora di uno stato latente di costrizione che non esclude però la possibilità del riscatto e della reazione.
L’installazione Forever happy di Silvia Levenson riproduce un ambiente domestico quotidiano, il salotto di una qualunque casa contemporanea. Avvicinandosi all’opera lo spettatore comincia a percepire un senso di disagio. Il luogo di socialità della casa è infatti coperto da un manto di tessere vitree punteggiate da aculei filiformi: ci muoviamo di colpo in un ambiente fragile ed ostile. La Levenson rivela così una quotidianità attraversata da tensioni e disagi celati sotto la parvenza di felicità fittizie. Nella visione dell’artista l’uomo è costretto in una realtà falsa e illusoria, una prigione sociale che lo condanna alla “felicità eterna”.
La Levenson denuncia una cultura della cosmetica della felicità dove tutto deve apparire perfetto e sotto controllo. Nell’opera Still life II una serie di ampolle allineate su un freddo vassoio metallico sono gli antidoti (valium, xanax, etc..) offerti allo spettatore per rispondere alle aspettative di un senso comune dittatoriale che considera la debolezza e l’imperfezione alla stregua di tabù. Realtà vergognose che vanno nascoste grazie a magici elisir di eterna bellezza e pillole della felicità permanente.
La condizione di oppressione dell’ostaggio evocata nei lavori della Levenson è riproposta nella fotografia Rehenes de un pensamiento di Elizabeth Aro. Nell’immagine i volti di un uomo ed una donna sono nascosti in una massa di tessuto broccato. Materializzazione di un sogno utopico che unisce o concretizzazione di angosce interiori che immobilizzano? Sospesa tra queste due possibilità interpretative la struttura di tessuto appare, ora come un sogno che spinge all’azione, ora come una soffocante prigione paralizzante.
Nelle altre opere della Aro il dubbio comincia a sciogliersi: l’immobilità delle figure di Rehenes lascia il posto al pathos delle sculture in tessuto.
Così in Todos los fuegos, el fuego, una teoria di fiamme di velluto simili a cuori risale la parete, evocando l’erompere di energie non più costrette in anestetici ambienti ostili. Questa azione di “svelamento”, intesa come un processo di emersione e liberazione della dimensione patica, torna nella scultura di tessuto Branches. Una struttura ramificata di tessuto rosso si espande e contrae a formare una grande sfera, suggerendo con forza la dimensione di una vitalità finalmente manifesta.