Lucia Amalia Maggio – A piedi nudi per casa
Nel caos incomprensibile del mondo l’uomo si crea il proprio sistema di riferimento per conoscere e riconoscere oggetti e situazioni, che gli consente di muoversi nel mondo.
Un sistema di riferimento che diventa cardine per rendere sicuro e conosciuto un piccolo pezzetto di mondo che si comincia a ritenere “proprio”, dentro cui muoversi in sicurezza.
Comunicato stampa
Venerdì 6 Dicembre 2013 a partire dalle 18,30 alla presenza dell’artista Lucia Amalia Maggio, vincitrice del premio Ora, si inaugura la mostra A piedi nudi per casa presso SpazioBlue via Gandino 3, Bologna.
Secondo Bacherland la casa è vista come lo spazio "dell'immensità intima" dove tutta la nostra esperienza trova dimora, il suo stare con se stessi, il posto in cui ripararsi e ritrovarsi. La casa ci protegge dal freddo, dal vento, dalla pioggia, ma se ci protegge in molti modi, la casa protegge anche la nostra intimità divenendo essa stessa immagine d’intimità. La casa protegge soprattutto i sognatori perché ci consente di sognare in pace. Infatti, nell'essere umano i luoghi materiali e concreti diventano simboli e immaginari che abitiamo e nei quali siamo abitati determinandone il colore, il ricordo, gli odori. La casa diventa un centro intorno in cui gravitano immagini di Intimità protetta come se fosse fondamentale e necessario arrivare a stabilire una connessione intrinseca tra la casa come valore immaginativo e la dimensione stessa della rêverie. Nella casa possiamo calmarci e mentre ci dondoliamo nel letto sognante solletichiamo la rêverie a possederci. Quella rêverie intesa come stato dello spirito che si abbandona a ricordi e immagini che per Bachelard diventa la situazione in cui l’Io, dimentico della sua storia contingente, lascia sbagliare il proprio spirito e gode della libertà del sogno rimanendo, però, attaccata alla veglia.
Se dentro alla casa ci sentiamo in un luogo sicuro e dentro ad un sogno immaginiamo la nostra casa accoglitrice di desideri e di intimità allora ecco che la casa diventa l’illusione da rincorrere o il rifugio al quale ambire per arrivare alla serenità. Gli oggetti diventano immagazzinatori di ricordi, immagini, poetiche che raccontano il nostro trascorso, divengono emanatori di emozioni che rievocano il passato e sostengono un presente. La casa è la nostra alcova, il nostro nido, la nostra culla. È la nostra scatola protettrice, è la campana di vetro che ci protegge dalle spine della vita, è l’occhio che guardando dall’interno ci permette di vedere ciò che sta fuori salvandoci. “Bisogna amare lo spazio per descriverlo tanto minuziosamente come se vi fossero molecole di mondo”. Bisogna averne cura, assorbirlo e farlo entrare dai pori della pelle per capire quanto la casa possa essere salvifica. Amare lo spazio, come luogo in cui viviamo, uno spazio che diviene morbido, non geometrico e calcolabile, ma si trasforma in un erlebter Raum, uno spazio abitato, vissuto e celebrato da una moltitudine di rimembranze. Uno spazio in cui si custodiscono gelosamente i ricordi più autentici e intimi, uno spazio contenitore di memorie in cui ogni oggetto diviene detentore di un attimo vissuto e custode di un’esperienza. In questo dove, che chiamiamo casa, o rifugio o bunker o qual si voglia chiamarlo, i ricordi vengono spazializzati e così diventa importante un cassetto perché contiene una lettera o un lenzuolo perché emana un odore, ci interessa se l’armadio ha la coperta della nonna o il lavandino ha la forma di un cuore. Quello spazio vive, noi ci sentiamo parte di esso e lo sentiamo parlare ogni volta che vi entriamo e ci lasciamo il mondo alle spalle per rinchiuderci dentro: dove l’intimità si rannicchia e l’anima si trastulla. In questo magico luogo le immagini fanno eco dentro di noi, il nostro passato galleggia sul presente, e risuona e assorda piacevolmente l’anima.
É proprio sul concetto di casa che si basa l’ultimo lavoro di Lucia Amalia Maggio | A piedi nudi per casa
L’installazione si compone di dodici piccoli cubi di vetroresina sospesi nello spazio, in cui è inglobata la rappresentazione di uno dei primi sistemi di riferimento usati dall'uomo per spostarsi e navigare in mare: il reticolo a 16 rose dei venti, l'immagine di una struttura del pensiero che ha consentito all'uomo di cominciare ad orientarsi nello spazio, al limite fra il conosciuto e il conoscibile. Da ogni cubo partono cinquantasei fili che costruiscono una rete che si forma in maniera casuale che si contrappone all'idea di ordine interno ai cubetti, come “spazio del controllo”, al disordine esterno, lo “spazio del caos”.
Nel caos incomprensibile del mondo l'uomo si crea il proprio sistema di riferimento per conoscere e riconoscere oggetti e situazioni, che gli consente di muoversi nel mondo.
Un sistema di riferimento che diventa cardine per rendere sicuro e conosciuto un piccolo pezzetto di mondo che si comincia a ritenere “proprio”, dentro cui muoversi in sicurezza.
L’opera verrà realizzata all'interno non solo di uno spazio espositivo che prima di tutto è una casa privata porta l’artista a fare una riflessione su cosa significhi per noi avere, vivere, abitare uno spazio che arriviamo a definire casa. Da sempre l'uomo cerca di delimitare uno spazio e renderlo suo, renderlo abitabile attraverso sistemi di orientamento che rendano più facile la vita. Creare un microambiente che renda sicura e facile l’esistenza, per difendersi dal caos e dalle incertezze che percepiamo nel mondo.
Il lavoro della Maggio verte sull’esigenza di costruire piccoli ambienti ordinati che fluttuano in un macro-ambiente caotico. La ricerca dell’ordine nel caos, della serenità nella frenesia.
Un lavoro di ricerca interiore, quello della Maggio, che srotola il filo dalla matassa ricorducendoci alla via di casa.