Gianni Radice – I miei Papi
Brevi tratti di sintesi, e pennellate morbide di colore di senso, in cui assorbe, in un linguaggio visivo universale, suggestioni personali e memorie di icone collettive a cui restituisce una vibrante carica di umanità.
Comunicato stampa
Promotori e mecenati delle arti per secoli. Figure solenni, ma anche arditamente oscillanti nelle contraddizioni terrene. Miti religiosi che incarnano la memoria eterna di cronache laiche epocali. Ma anche uomini segnati da un ruolo che ne travalica il lato perduto dell’ordinario.
I Papi, in successione temporale, affabili o severi, introversi o mass-mediatici, canonici o temerari, continuano ad animare l’arte contemporanea, e segnano i lustri, i decenni, le età della storia, in un poetico e provocatorio spazio pittorico, espressionista, grafico, drammatico e ironico, dall’uomo-artista Gianni Radice. Sarà nella sede alpina di Macugnaga (VB), che la Fondazione Gianni e Roberto Radice, presenterà l’ultima produzione in corpus unico dell’artista milanese, in una mostra in corso da venerdì 27 dicembre 2013 fino 6 gennaio 2014.
Brevi tratti di sintesi, e pennellate morbide di colore di senso, in cui assorbe, in un linguaggio visivo universale, suggestioni personali e memorie di icone collettive a cui restituisce una vibrante carica di umanità.
Così, importanti come nella ritrattista cinquecentesca e seicentesca, a tre quarti o di profilo, i pontefici di Radice sono colti, negli studi-preparatori di scene ben più articolate, nell’essenza del carattere, come da un fotografo che gioca coi chiaro-scuri di luce rivelatori, nell’attimo rubato dell’espressione più autentica. Ma è il colore, come emanato dalla forza della figura e dalla sua essenza perturbante, che rimanda tacite narrazioni, e spesso stratificate e silenti riflessioni d’impotenza.
Una cromia luminosa e provocatoria che sembra “immobilizzare”, nella densa pennellata espressionista, acquerellata e contaminata graficamente dal disegno a matita, il soggetto su un provvisorio transitorio, drammatico, sfondo spazio-temporale, reso da un tratto sicuro e da ombre laterali di densa pece in cui si azzerano colore e luce, e su cui risaltano e si stagliano animati volti seducenti e silenziosamente parlanti.
Su carta strappata, alla maniera di Rotella, carpiti da immagini mediatiche, come nella pop art, ma in lirici e partecipati timbri guttusiani, in espedienti grafici dal ritmo immediato - il nome saettante è tracciato come un titolo giornalistico - l’eternità restituisce i contorni e i volumi dell’anima, in successione temporale per i Papi della Chiesa Cattolica, che hanno transitato nell’immaginario esistenziale dell’artista, dai remoti ricordi dell’infanzia, agli anni contemporanei della maturità.
Da Eugenio Pacelli (Pio XII), ad Angelo Giuseppe Roncalli (Beato Giovanni XXIII), a Giovanni Battista Montini (Paolo VI), Albino Luciani (Giovanni Paolo I), Karol Wojtyła (Beato Giovanni Paolo II), ed i contemporanei Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) e Jorge Mario Bergoglio (Papa Francesco), sono rappresentati non a caso nelle vesti pontificali, ma con il loro nome secolare.
Figure dei pontefici riproposte in altrettante medaglie d’artista, che giocano, anche nella forma e nella materia, con le inversioni e contaminazioni temporali, fra monili classici e immagini vibrantemente moderne.
Sguardi pungenti, bocche serrate, granitiche figure si alternano ad altre più accoglienti, su cui risalta il lungo e complesso pontificato di Karol Wojtyła che sembra avere assorbito sulla carne stanca del volto il dolore del mondo, fino ad un Bergoglio illuminato, apparentemente sereno, ma dallo sguardo allarmato, attraversato dal movimento destabilizzante del qui e ora del suo incerto tempo.
Ma, come nella cifra stilistica caratterizzante di Radice, è poi nelle opere più monumentali che emerge il lato della cronaca viva in pittura, nella restituzione di eventi storici: così Eugenio Pacelli apre le braccia alla folla dei fedeli; Karol Wojtyła accoglie Madre Teresa; mentre più di recente lo storico incontro tra Papa Francesco e il Papa emerito, Joseph Ratzinger. Un sorta di reportage d’immagini animate, permeate dal pathos pulsante di una straordinaria condivisione d’emozioni, vissuta con una semplicità che quasi stride con la solennità delle vesti, simboli di riconoscimento, quasi amalgamate con la figura. Unicità riconsegnata dall’artista ad ogni protagonista, dove il filo conduttore sembra essere l’eguale coraggio del vivere, e condividere, il qui e ora di un passaggio epocale.