Mauro Rea – Senzarteneparte
Le opere di Rea sono un complesso dissentire dalla logica e dalla ragione in virtù dell’accettazione eccessiva dell’espressione e dell’ingenuità visiva portate a risultati iconografici complessi e spiazzanti, sul confine di un piano pittorico irrimediabilmente riportato alla luce dalla memoria e per questo carico di “sporcizia”.
Comunicato stampa
«L’Apocalisse è un’ossessione del dissenter, l’integrazione è la realtà concreta di coloro che non dissentono». La frase, ripresa dal noto saggio di Eco del 1964, Apocalittici e integrati, testo nel quale si analizza la cultura di massa e i suoi mezzi di comunicazione, apre un ponte su un argomento, quello della semiotica, nel quale si articola parte della produzione di Mauro Rea, quella più prettamente patafisica (da qui il sottotitolo). Nel sottile confine tra accettazione dello status quo e distorsione dalla linea mercantile del “gioco serio” dell’arte, spaziano molte delle forme espressive contemporanee, spesse volte abbassate dalla banalità della “piazza” e dalla riproducibilità. Le opere di Rea sono un complesso dissentire dalla logica e dalla ragione in virtù dell’accettazione eccessiva dell’espressione e dell’ingenuità visiva portate a risultati iconografici complessi e spiazzanti, sul confine di un piano pittorico irrimediabilmente riportato alla luce dalla memoria e per questo carico di “sporcizia”. I (di)segni dell’artista si configurano come grumi materici custoditi da un vortice di forze, spesse volte contrastanti, tra le quali spicca la sempiterna spirale Giduglia, simbolo patafisico per eccellenza e qui trasfigurata nel volto ossuto di un guardone in Vedo nudo. L’uso pratico di personaggi inventati, estremamente caratterizzati da elementi anti-convenzionali, o di animali-uomini, quali ermetici vasi di Pandora di tutti i mali e le angosce della società, concorre a far slittare l’irruenta e spiazzante carica surreale e satirica sul piano del perturbante che agisce sottotraccia come un’ombra risvegliata dal profondo. Rea è abilissimo nel trattare l’Interno e nel comunicarlo come superficie archeologica di visioni tanto materiali da fuoriuscire dal supporto per divenire tracce indipendenti e autonome, come sfuggite dall’integrità della pittura. Il dissentire dalla logica e dall’integrazione non è altro che razionalità alternativa ed infatti, tornando ad Eco, «la funzione degli apocalittici ha una propria validità, nel denunciare cioè che l’ideologia ottimistica degli integrati è profondamente falsa e in malafede». L’artista è un apocalittico nella misura in cui da fondo alle proprie ansie liberandole in perenne sospensione, nel nervosismo di un respiro animale fatto soprattutto di segnali e avvisi minimi che provocano reazioni ed accordi nella materia pittorica la quale per l’occasione accoglie tracce di juta, cera, acrilici, oli e combustioni. E poiché la pittura è un perenne dissotterramento delle forme, più che uno scavo alla ricerca di fantasmi nelle opere percepiamo il processo analitico dell’accumulo per aggregazione in contrasto con l’emersione simbolica autonoma di esseri costruiti da pulsioni. Contro l’integrazione di chi non vuole dissentire, tali figure dell’assenza, richiamate in vita da ossimori e contrasti, cominciano ad agire da soli liberandosi dalle leggi della scienza per progredire solo attraverso ipotetici assiomi. Il collage è il loro mondo mentre la plasticità applicata è solo un tentativo di trasferire all’esterno la spinta interna al disordine e all’eccesso, che diventa monito e richiamo e forse tentativo di un’etica. La distanza dal confine si chiama suggestione e concerne l’integrità del sogno chiamato a relazionarsi con le visioni frantumate del reale, nel tentativo di recupero del senso. Lo struggimento del negativo che attraversano come tensioni intime la collettività diventa impulso di creazione, trasfigurato dal ricorso ad una zoologia fantastica e minimale che diventa ipocondria chimerica in quanto visualizzazione spiazzante dei mali intesi come solenni e possenti allegorie. Ma se l’illusione non si oppone alla realtà e il fare poetico-artistico produce mondi, compresi come soluzioni immaginarie nell’accordo simbolico delle proprietà degli oggetti ai loro lineamenti, allora forse c’è ancora la speranza di una fortuito e grottesco lieto fine.
Tommaso Evangelista