Le statue calde
Le statue calde indaga il rapporto fra scultura, corpo e azione nel secondo dopoguerra, concentrandosi principalmente sull’arte italiana.
Comunicato stampa
Il museo Marino Marini inaugura sabato 18 gennaio 2014 la mostra Le statue calde. Scultura – corpo – azione, 1945-2013, a cura di Simone Menegoi con l’assistenza curatoriale di Barbara Meneghel. La mostra fa parte del ciclo EARLY ONE MORNING, programma espositivo dedicato al tema della scultura e della sua interpretazione dagli anni Sessanta ad oggi, ideato e curato da Alberto Salvadori, direttore artistico del Museo.
Le statue calde indaga il rapporto fra scultura, corpo e azione nel secondo dopoguerra, concentrandosi principalmente sull’arte italiana. Cerca di mettere a fuoco due idee fra loro complementari: da un lato, la scultura che si fa estensione del corpo; dall’altro, il corpo che si fa scultura.
In mostra, opere realizzate nell’arco di quasi settant’anni da artisti di almeno tre generazioni diverse: Alis/Filliol, Monica Bonvicini, Claudia Castellucci, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Ugo La Pietra, Eva Marisaldi, Marcello Maloberti, Piero Manzoni, Giovanni Morbin, Bruno Munari, Gianni Pettena, Marinella Pirelli, Michelangelo Pistoletto, Franz Erhard Walther, Gilberto Zorio, Italo Zuffi. Sono opere create con l’intento di essere manipolate. Opere su cui camminare e su cui sedersi, da impugnare e da sollevare, da indossare e perfino da prendere a calci. Oggetti dalla forma essenziale, realizzati spesso con materiali ordinari: una pedana di legno, un tubo di ottone ricurvo, una piccola costruzione di mattoni di cemento. Sollecitano l’intervento di un corpo, al quale si offrono come sostegni, protesi, utensili. La pedana diventa allora un piedistallo che trasforma “magicamente” chi vi sale sopra in scultura (Piero Manzoni, Base magica, 1961); il tubo si rivela un singolare strumento – con tanto d’istruzioni per l’uso – per parlare a sé stessi (Giovanni Morbin, Strumento a perdifiato, 1995); la costruzione in mattoni serve a esibirsi nell’atto di fare delle flessioni (Marcello Maloberti, Messe en français, 2013). Mentre compie le azioni previste, il corpo stesso diventa scultura, anzi, statua: statua animata, “statua calda” (come scrive in una sua poesia Claudia Castellucci) idealmente in dialogo con le sculture figurative di Marini.
Le opere esposte sembrano invocare un ambito disciplinare a sé stante. All’idea tradizionale di scultura come oggetto autosufficiente e offerto alla contemplazione, oppongono la partecipazione attiva dello spettatore. Alla volatilità delle performing arts oppongono la persistenza dell’oggetto-scultura. All’utilitarismo del design oppongono una finalità estetica e ludica. Definizioni e categorie tendono a sovrapporsi e sfumare: di Bruno Munari, a suo agio tanto nei panni di designer quanto in quelli di artista, si è scelto di esporre una sedia; ma è una sedia dalla seduta fortemente inclinata in avanti, su cui è impossibile sedersi per più di qualche secondo. (Il titolo, perfidamente ironico, è Sedia per visite brevissime; l’anno, con geniale anticipo sui tempi, il 1945).
Una panoramica completa degli artisti e delle opere pertinenti a questa idea di “scultura performativa” non è negli obiettivi della mostra. Si è scelto di procedere per campionature, per esempi, per punti essenziali. Il percorso inizia cronologicamente con tre artisti legati alla brevissima e folgorante esperienza della galleria milanese Azimut (1959), divisi fra provocazioni neo-dadaiste (Piero Manzoni) e un approccio quasi scientifico al problema di includere lo spettatore, con le sue facoltà percettive e motorie, nell’opera (Gianni Colombo, Gabriele Devecchi). Due artisti del gruppo originario dell’Arte Povera, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio, esemplificano l’attenzione per il corpo e i gesti (anche quotidiani) del movimento tenuto a battesimo da Germano Celant; un terzo artista dell’Arte Povera, Luciano Fabro, insieme alla critica d’arte e teorica del femminismo Carla Lonzi, è protagonista di una azione scultorea ripresa e rielaborata in video da Marinella Pirelli. Ugo La Pietra e Gianni Pettena sono chiamati a rappresentare l’affascinante esperienza della cosiddetta “Architettura radicale” degli anni Sessanta e Settanta, in cui l’architettura, emancipata dall’attività del costruire, dava vita a situazioni effimere, oppure a oggetti ibridi e portatili, abiti-abitacoli. Della galassia di esperienze più recenti, difficile da riassumere e classificare, la mostra presenta quattro esempi particolarmente significativi. Monica Bonvicini imposta in modo aggressivo e quasi sfrontato il rapporto fra il corpo, sempre connotato sessualmente, e ciò che lo contiene e lo imprigiona, in primo luogo l’architettura. Marcello Maloberti rielabora poeticamente gesti, immagini e materiali prelevati dalla vita quotidiana di qualunque città del mondo occidentale. Eva Marisaldi coltiva intuizioni singolari e delicate sul rapporto fra artista, opera e spettatore. Italo Zuffi crea oggetti che colloca al centro di performance dall’indole agonistica e sottilmente crudele. A fare idealmente da ponte fra la generazione dei quarantenni e quella precedente è Giovanni Morbin (1956), il cui lavoro dialoga consapevolmente con le esperienze degli anni Sessanta attraverso sculture/strumenti dall’aspetto minimale e dall’uso paradossale.
Le ricerche italiane dialogano con quelle internazionali: le affinità, le filiazioni, i legami fra le une e le altre sono molto fitti. A titolo di esempio di questi rapporti, sono state incluse nella mostra due opere seminali di Franz Erhard Walther, artista tedesco nato nel 1939 la cui opera di scultore (oggetto, negli ultimi anni, di una vera e propria riscoperta a livello internazionale) si articola interamente intorno al rapporto fra corpo, spazio e gesto. È lo stesso Walther a raccontare come, all’inizio degli anni 1960, nel percorso di radicale ripensamento della scultura che aveva intrapreso in solitudine, Manzoni gli apparisse come uno dei pochi riferimenti possibili a livello internazionale.
Laddove sia possibile, tutte le opere destinate all’uso sono effettivamente manipolabili dagli spettatori. Di alcuni pezzi storici e particolarmente fragili (Devecchi, Manzoni, Pistoletto, Walther) sono presentate copie da esposizione, autorizzate dagli artisti o dai loro archivi, che possono essere adoperate. Solo in determinati casi i lavori sono esposti come “normali” sculture, eventualmente accompagnate dalla documentazione relativa al loro uso (o al limite rimpiazzate da essa).
Un asciutto “manuale di istruzioni” per l’uso delle opere, illustrato da disegni del performer e artista Marco Mazzoni, sarà a disposizione dei visitatori. Inoltre, in alcuni momenti della mostra, le opere saranno attivate da performer del collettivo artistico FOSCA (www.fosca.eu).
La mostra è stata preceduta da una serata di performance (13 dicembre 2013) ad opera di Alis/Filliol, Claudia Castellucci e Italo Zuffi, centrate sull’idea del divenire scultura del corpo. Anche l’inaugurazione del 18 gennaio sarà accompagnata da una performance: Franz Erhard Walther mostrerà come interagire con due opere storiche del suo repertorio, un elemento della 1.Werksatz (1963-69) e Schreitsockel (1975).
In relazione a Le statue calde. Scultura – corpo – azione, 1945-2013 il Museo Marino Marini propone Con la tua pARTEcipAZIONE, laboratorio creativo per famiglie che si terrà in due giornate: sabato 25 gennaio 2014, ore 15.00 e sabato 22 febbraio 2014, ore 15.00 (per Info e prenotazioni +39 055 219432).
EARLY ONE MORNING
LE STATUE CALDE Scultura – corpo – azione, 1945 - 2013
THE WARM STATUES Sculpture – Body – Action, 1945 - 2013
Alis/Filliol, Monica Bonvicini, Claudia Castellucci, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Ugo La Pietra, Eva Marisaldi, Marcello Maloberti, Piero Manzoni, Giovanni Morbin, Bruno Munari, Gianni Pettena, Marinella Pirelli, Michelangelo Pistoletto, Franz Erhard Walther, Gilberto Zorio, Italo Zuffi
Drawings/instructions: Marco Mazzoni
Works activated by FOSCA
Curated by Simone Menegoi - Assistant curator: Barbara Meneghel
January 20 to March 8, 2014
Opening Saturday, January 18, 2014, at 7:00 pm with a performance by Franz Erhard Walther
Press release
The exhibition, Le statue calde. Scultura – corpo – azione, 1945-2013 (The Warm Statues. Sculpture - Body - Action, 1945-2013) opens at the Marino Marini Museum on Saturday, January 18, 2014. It is curated by Simone Menegoi, assisted by Barbara Meneghel. This exhibition is part of the EARLY ONE MORNING cycle, an exhibition program dedicated to sculpture and its interpretation from the Sixties to today, curated by Alberto Salvadori, artistic director of the Museum.
Focusing mainly on Italy, Le statue calde investigates the relationship between sculpture, body, and action in post-war art, pursuing two ideas that complement each other: sculpture as an extension of the body, and the body as sculpture. It brings together works realized in a time span of almost seventy years, by artists from three generations: Alis/Filliol, Monica Bonvicini, Claudia Castellucci, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Ugo La Pietra, Eva Marisaldi, Marcello Maloberti, Piero Manzoni, Giovanni Morbin, Bruno Munari, Gianni Pettena, Marinella Pirelli, Michelangelo Pistoletto, Franz Erhard Walther, Gilberto Zorio, and Italo Zuffi. These works were created to be handled, walked on and sat on, to be grasped and lifted, to be worn or even kicked. The spectator is confronted with unassuming objects, often made with ordinary materials: a wooden platform, a bent brass tube, a small construction made with concrete blocks. They invite contact with a body, to which they offer themselves as supports, prostheses, and utensils. The platform then becomes a pedestal that “magically” turns anyone who climbs up on it into a sculpture (Piero Manzoni, Base magica, 1961); the tube reveals itself to be a unique tool - complete with instructions for use - for talking to oneself (Giovanni Morbin, Strumento a perdifiato, 1995); the block construction can be used to show the act of doing pushups (Marcello Maloberti, Messe en français, 2013). While performing the planned actions, the body itself becomes sculpture, or rather, a statue: an animated statue, a “warm statue” (as Claudia Castellucci writes in one of her poems), in an ideal dialogue with the figurative sculptures by Marini.
The works on display seem to invoke a disciplinary field in its own right. The active participation of the viewer challenges the traditional idea of sculpture as a self-sufficient object offered for contemplation. The persistence of the object-sculpture challenges the volatility of the performing arts. An aesthetic and recreational purpose challenges the utilitarian nature of the design. Definitions and categories tend to overlap and blur: of Bruno Munari, as comfortable in the role of designer as in that of an artist, a chair will be exhibited. But the chair’s seat is leaning very strongly forward, making it impossible to sit on it for more than a few seconds. (The title, wickedly ironic, is Chair for very brief visits; the year, ingeniously ahead of its time, is 1945).
The aim of the exhibition is not to give a complete overview of artists and their works that are relevant to this idea of ”performative sculpture.” The decision was made to proceed with sampling, with examples, with essential points. The journey begins chronologically with three artists associated with the brief and dazzling experience of the Milan gallery Azimut (1959), divided between neo-Dadaist provocation (Piero Manzoni) and an almost scientific approach to the problem of including the viewer in the work, with his/her perceptive and motor faculties (Gianni Colombo, Gabriele Devecchi). Two of the original group of Arte Povera artists (Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio) exemplify the attention to the body and gestures (including everyday gestures) of the movement baptised by Germano Celant; Luciano Fabro, a third artist from the Arte Povera movement, and Carla Lonzi, art critic and feminist theorist, are the protagonists of a sculptural performance piece, filmed and reworked in video by Marinella Pirelli. Ugo La Pietra and Gianni Pettena are called upon to represent the fascinating experience of the so-called “radical architecture” of the Sixties and Seventies, in which architecture, liberated from building, gave life to ephemeral situations and hybrid and portable objects, garment-cockpits. From the galaxy of recent experiences, difficult to summarize and classify, the exhibition presents four particularly significant examples. In an aggressive and almost brash way, Monica Bonvicini sets up the relationship between the body, always connoted in terms of gender, and what contains and imprisons it in the first place: architecture. Marcello Maloberti poetically reworks gestures, images and materials taken from daily life in any city in the Western world. Eva Marisaldi cultivates unique and delicate insights on the relationship between the artist, the work and the viewer. Italo Zuffi creates objects that lie at the centre of subtly cruel athletic performance. Giovanni Morbin (1956) provides an ideal bridge between the generation in its forties and the previous one. His work consciously communicates with the experiences of the Sixties through minimal sculptures/instruments whose uses are paradoxical.
The Italian research holds a dialogue with international research: affinities, affiliations, the bonds between one and the other are very dense. As an example of these relationships, some seminal works by Franz Erhard Walther, a German artist born in 1939, were included in the exhibition. His work as a sculptor (in recent years, the object of a truly international rediscovery) is based around the relationship between body, space and gesture. Again it is Walther who tells us how, in the early 1960s, in a radical revision of the very idea of sculpture he had undertaken in solitude, Manzoni appeared to him as one of the few possible international references.
Wherever possible, all the works that are intended for use can effectively be handled by the viewers. For some historical and especially fragile pieces (Devecchi, Manzoni, Pistoletto, Walther) exhibition copies have been provided, their use authorized by the artists or their archives. Only in certain cases are the works exhibited as “normal” sculptures, possibly accompanied by the documentation relating to their use. A simple “user’s guide” for the sculptures, with drawings of performer and artist Marco Mazzoni, will be available for the visitors. In addition, on certain occasions, the works will be activated by performers from the artists’ collective FOSCA.
The exhibition was introduced by an evening of performance (December 13, 2013) by Alis/Filliol, Claudia Castellucci and Italo Zuffi, centred on the idea of body becoming sculpture. The opening on January 18 will also be accompanied by a performance: Franz Erhard Walther will show how to interact with two historical pieces from his repertoire, an element from 1.Werksatz (1963-69) and Schreitsockel (1975).
In relation to “Le statue calde. Scultura – corpo – azione, 1945-2013 (The Warm Statues. Sculpture - Body - Action, 1945-2013)” the Marino Marini Museum offers With your pARTicipATION, a creative workshop for families related to the exhibition that will be held over two days: Saturday, January 25, 2014 at 3:00 pm and Saturday, February 22, 2014, 3:00 pm (Infos and booking +39 055 219432).
Le statue calde. Scultura – corpo – azione, 1945-2013 (The Warm Statues. Sculpture - Body - Action, 1945-2013) will run until March 8.
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