Federica Mutti – Siamo ancora timidi preludio
Un elenco di autoritratti, piccole simulazioni, dichiaratamente auto-ironiche, in cui il soggetto e’ sempre uguale e sempre diverso da se stesso.
Comunicato stampa
C’è una tensione immediata che parte dal nostro corpo e ci muove verso il foglio, fotografico o di carta che sia, un allungamento del collo e poi della vista; l’occhio si sforza, con piacere s’intende, nell’analizzare le finiture, le linee sottili, la composizione. Stando immobili perché vogliamo “vedere”, l’occhio percorre come fossero chilometri i pochi centimetri del disegno e... ci siamo dentro. Leggiamo il suo immaginario e creiamo un contatto.
Da qui partiamo per “vedere” le opere di Federica Mutti.
Ci avviciniamo e percepiamo quell’empatia che, attraverso un defilè di funghetti dall’espressione tanto “deliziosa”, si identifica con la fantasia, che trasmette e che “sente” riflessa nella natura, l’eterno rapporto tra eros e thanatos. I fiori sboccianti ci divorano e i funghi spiritosi ci avvelenano.
Mi raccomando, vedere ma non toccare, vedere ma non assaggiare, non vi ricorda qualcosa? Divieti, che oggi si trovano nei negozi, che prima si trovavano nelle fiabe e che da sempre si impongono ai bambini. Vedere ma non assaggiare…si riassume così la storia delle storie, la mela si traveste da amanita muscaria, un involucro apparentemente faceto che inganna però sulla sua reale natura. A tal proposito con “Quelle che fui” vediamo un elenco di autoritratti, piccole simulazioni, dichiaratamente auto-ironiche, in cui il soggetto è sempre uguale e sempre diverso da se stesso. Personalmente lo considero un minuzioso esercizio di memorizzazione e di registrazione, nel tentativo di capire chi siamo, smascherando mascherando, il dramma con l’ironia.
La felicità? Secondo Marcel Proust è una moltiplicazione di noi stessi.
Ed ora:
- Avvicinati,
(a bassa voce)
- ho detto avvicinati....
Cinzia Benigni