Trame di cinema. Danilo Donati e la Sartoria Farani
Un viaggio insolito e di grande suggestione in oltre trent’anni della storia del cinema italiano è al centro del nuovo allestimento di Villa Manin. La mostra propone la straordinaria collezione di costumi di scena disegnati da una grande maestro del cinema e dello spettacolo quale Danilo Donati (premio Oscar per i costumi di Romeo e Giulietta di Zeffirelli nel 1969 e per il Casanova di Federico Fellini nel 1977).
Comunicato stampa
Un viaggio insolito e di grande suggestione in oltre trent’anni della storia del cinema italiano è al centro del nuovo allestimento che Villa Manin - maestoso complesso situato a Passariano, nel Comune di Codroipo, in provincia di Udine, in assoluto uno dei monumenti artistici più significativi del Friuli Venezia Giulia, SOTTO LA DIREZIONE DEL - ospiterà nei prossimi mesi, a partire da domenica 9 marzo (inaugurazione sabato 8 marzo) fino al 22 giugno 2014.
La mostra “TRAME DI CINEMA. Danilo Donati e la Sartoria Farani (i costumi nei film di Citti, Lattuada, Faenza, Fellini, Pasolini, Zeffirelli)” propone la straordinaria collezione di costumi di scena disegnati da una grande maestro del cinema e dello spettacolo quale Danilo Donati (premio Oscar per i costumi di Romeo e Giulietta di Zeffirelli nel 1969 e per il Casanova di Federico Fellini nel 1977) nel corso della sua lunga carriera di scenografo e costumista, realizzati dalla storica Sartoria Farani di Roma, oggi diretta da Luigi Piccolo, curatore dell’allestimento.
Nello spazio espositivo della dimora dogale dei Manin, la carriera professionale di questo geniale artista (nato a Suzzara nell’aprile del 1926 e morto a Roma nel 2001) verrà ripercorsa attraverso i costumi di scena realizzati per alcuni dei grandi maestri del cinema italiano: da Federico Fellini a Pier Paolo Pasolini, da Franco Zeffirelli ad Alberto Lattuada, da Sergio Citti a Roberto Faenza.
Le diciotto stanze che costituiscono il suggestivo percorso espositivo di Villa Manin accoglieranno gli oltre cento costumi restaurati e perfettamente conservati nella collezione della storica sartoria fondata da Piero Farani a Roma alla fine degli anni cinquanta. Il percorso espositivo – curato da Fabiola Molinaro e Patrizio De Mattio – sarà arricchito da un ampio materiale iconografico comprendente gli ingrandimenti fotografici degli scatti realizzati sui set, dalla proiezione di celebri sequenze di film, delle voci originali dei registi sul set, le musiche e interviste filmate con i protagonisti e con lo stesso Danilo Donati, provenienti dal fondo conservato dagli eredi di Danilo Donati, dall’Archivio Cinemazero Images, del Fondo P.P.Pasolini di Bologna, dalla Fondazione Fellini di Rimini e delle Teche Rai. Il lavoro dell’officina Donati/Farani sarà inoltre documentato da bozzetti preparatori realizzati dal costumista per gli abiti che venivano realizzati e da un montaggio di immagini che raccontano il lavoro quotidiano all’interno della sartoria di via Dandolo a Roma. Il tutto per guidare al meglio il visitatore in un viaggio nel passato, quando il cinema italiano era ammirato dal pubblico di tutto il mondo. Entrare in mostra sarà come rivivere le atmosfere del set, un vero e proprio viaggio ‘dentro’ il cinema a contatto con insuperati protagonisti, che hanno vestito gli abiti visionari, sontuosi e geniali di Danilo Donati: dal Totò pasoliniano di Uccellacci Uccellini al Richard Burton della Bisbetica domata di Zeffirelli (nomination all’Oscar per i costumi nel 1968) alle marsine indossate da Donald Sutherland nel Casanova di Fellini (che valse l’Oscar a Donati nel 1977) a una splendida Silvana Mangano nella tunica millenaria di Giocasta, nell’Edipo Re di Pasolini, fino al frac blu di Marcello Mastroianni in Intervista o, sempre di Fellini, uno degli abiti dei suoi eccentrici Clown.
La selezione dei film che costituiranno il fil rouge dell’avventura artistico - artigianale dell’accoppiata Danilo Donati/Sartoria Farani, in tutto diciotto tra i migliori lavori del cinema italiano, comprende innanzitutto alcuni dei capolavori di Federico Fellini: da Fellini Satyricon (1969) a I Clowns (1970) da Amarcord (1973) a Intervista (1987) fino a Casanova (1976) che un anno dopo, come detto, gli valse la statuetta dell’Oscar.
Di Alberto Lattuada si potranno ammirare gli abiti indossati da Philippe Leroy in La mandragola (1965) nomination all’Oscar del 1967, mentre per La bisbetica domata (1967) di Franco Zeffirelli – nomination premio Oscar per i costumi nel 1968 - ci saranno gli abiti vestiti da Richard Burton. Di Sergio Citti, allievo prediletto di Pier Paolo Pasolini, si potranno ammirare i costumi carnevaleschi del suo film d’esordio Storie scellerate, mentre di Roberto Faenza si vedranno gli abiti che, con il film Marianna Ucrìa, gli consentirono di ricevere nel 1997 il premio David di Donatello.
Grande spazio verrà dedicato al sodalizio con Pier Paolo Pasolini di cui Danilo Donati, assieme alla Sartoria Farani, realizzò gli abiti di praticamente di tutti i suoi film, ad esclusione dei costumi per Medea (che furono disegnati da Piero Tosi e realizzati dalla Sartoria Tirelli). Il viaggio nel mondo cinematografico di Pier Paolo Pasolini consentirà di vedere la giacchetta di lana indossata da Totò in Uccellacci e uccellini (1966), i bellissimi costumi dei sacerdoti, dei magi e degli apostoli de Il Vangelo secondo Matteo (1964) per i quali la fonte d’ispirazione fu la pittura di Piero Della Francesca, gli abiti dei soldati protagonisti del sogno del martirio in Porcile (1969), i costumi “di arcaica bellezza” indossati da Silvana Mangano/Giocasta e dagli altri protagonisti in Edipo re (1967). Per non parlare di quelli - magnifici - realizzati per la celebre “Trilogia della vita”: da Il Decameron (1970) ancora con Silvana Mangano nei panni della Madonna, a I racconti di Canterbury (1971) con l’abito indossato da Pasolini stesso fino a Il fiore delle mille e una notte (1973) che il regista girò in Marocco e nello Yemen, dove “gli elmi, le lance di metallo argentato, le tuniche e i mantelli di lana e ciniglia tessuti a mano rivelano la straordinaria capacità inventiva di Danilo Donati” (proprio uno di questi abiti ispira il manifesto-guida dell’esposizione). La mostra si chiude sulle immagini di Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) l’ultimo disperato film di Pier Paolo Pasolini con cui si interrompe prematuramente la collaborazione fra questi due grandi artisti.
Danilo Donati era un costumista straordinario, capace di creare quell'epica del futuro senza tempo, grazie alla sua capacità di proiettarsi negli spazi immaginati dai registi, e non limitato dalla filologia o dalla necessità di essere fedele ad un'epoca. Il suo rapporto con Piero Farani é la dimostrazione del valore che c'é fra ideazione e realizzazione, fra design e produzione, fra artista e artigiano. Donati inizia lavorando ai costumi e alle scenografie per Luchino Visconti e con colta leggerezza si sposta sulla televisione dove l'estro gli consente di realizzare tutta una serie di costumi di carta per una Canzonissima. Riesce a materializzare abiti con la colla e la fantasia grazie alle capacità di Piero Farani, altro fenomeno con le mani d'oro. Nasce un sodalizio che li porterà a lavorare sempre insieme, a continuare nella Sartoria di Farani un lavoro che non si può definire solo sartoriale: “ogni abito sarà un'opera, ogni costume diviene la traduzione della visione di un regista fatta da un artista e poi da un artigiano. Una catena creativa che tocca livelli altissimi sempre grazie a quelle intese profonde fra persone, come l'interpretazione appassionata della poetica di Pier Paolo Pasolini o l'antipatia creativa per Federico Fellini: sempre per la condivisione di un sogno con qualsiasi mezzo pur di scavalcare il limite del reale” (Clara Tosi Pamphili).
Altre “mani di artista” si aggiungono, poi, al progetto, quelle del noto fotografo Mustafa Sabbagh che ha realizzato le immagini del catalogo della mostra. I costumi indossati da figure vere, non sono più fantasmi o reliquie su manichino, ma personaggi reali del nostro inconscio, ricordi che si materializzano. Sabbagh traduce la memoria di quel lavoro in opera contemporanea, il volto é coperto nello stile del grande fotografo e nel rispetto dell'attore che lo indossava.
Come racconta il curatore della mostra Luigi Piccolo, attuale responsabile della Sartoria Farani, “l’estro creativo di Donati è stato talmente esplosivo da contraddistinguere ogni film, ogni spettacolo con un segno preciso ed unico. Basti pensare che per il Satyricon di Federico Fellini venne creata una enorme pressa (da noi, in sartoria, ribattezzata la macchina infernale) utilizzata per plissettare a mano chilometri di cotone e seta, una vera fucina d’altri tempi. Casanova, sempre di Fellini, era una tappa d’obbligo per la mostra, avendo vinto l’Oscar per i costumi nel 76: è interessante notare come nello stesso film convivono mondi diversi per fogge e colori. La scena a casa della marchesa d’Urfè è raccontata con impalpabili taffetà nei toni pastello, i costumi della gara di sesso nella casa romana, ancora di sapore seicentesco rispetto agli altri, sono di vistosi velluti e rasi colorati,decorati a motivi geometrici. E ancora la cena di Parma tutta giocata sui neri, forme essenziali decorate con enormi rouches di paillettes…”. “Ho voluto esporre i costumi di Storie scellerate perché, pur trattandosi di un film minore, semisconosciuto, ha dei bellissimi ed insoliti costumi; siamo nella Roma di Pinelli, una piccola scena di carnevale ci regala marsine con enormi gobbe che ci rimandano ai Pulcinella tiepoleschi, abiti orientali con enormi feluche e turbanti……un piacere per gli occhi”. “Gli abiti di Burton per la Bisbetica domata rappresentano il trionfo del made in Italy: benché i due protagonisti dovessero essere vestiti dalla costumista americana, Irene Sharaff, Burton gli preferì i costumi realizzati da Donati quasi di nascosto…”. “E come tralasciare i Clown felliniani (in mostra sede ne esponiamo uno), tutti decorati con paillettes e paillettoni ritagliati a mano: poco tempo prima di morire, Donati mi confessò che, dopo tanti anni e tanto lavoro, quello del clown è l’unico costume che salverei”.
“Per i costumi dei film pasoliniani la scelta è stata dettata dalla grande quantità di collaborazioni nate tra Donati e il regista friulano, in tutto ben 9 titoli. In ordine cronologico incontriamo la giacca di Totò di Uccellacci e uccellini: una semplice giacca di lana nera foderata di taffetà rosso, ma teatralmente appesa per evidenziare l’etichetta originale che porta ancora la dicitura della vecchia sede e scritto a mano quel nome che ancora smuove grandi emozioni:Totò”. “Si prosegue con Il Vangelo secondo Matteo, film rivoluzionario sotto tutti i punti di vista. Abituati ai coloratissimi colossal hollywoodiani, in quel film Donati e Pasolini ci regalano un mondo rigorosamente bianco e nero, di emarginati, di straccioni, per la prima volta si utilizza il “riscaldo”, materia di lana che si metteva all’interno delle giacche e in questo canone diventa protagonista”. “Per i soldati sognati dal protagonista di Porcile, Donati evoca un mondo atemporale, citazioni e contaminazioni. Quei soldati indossano giubbetti e gonne a portafoglio, di semplice fustagno bianco, ma montato a cartuccera per creare materia e spessore”. “Edipo Re ci trasporta nel mondo arcaico, ancora materie intrecciate, lana e cotone sapientemente mescolate, e senza usare l’ago!”. “La sperimentazione continua nel Decamerone dove la rigidità degli affreschi medievali viene ricreate utilizzando il feltro dei cappelli. Nel film successivo, I racconti di Canterbury, spicca l’utilizzo di un unico materiale, il velluto a specchio in sfacciati colori mescolati tra loro con coraggio”. “Il fascino e il mistero del Fiore delle mille e una notte vengono evocati in abiti dalle elementari linee orientali, utilizzando laminati un po’ volgari, decorati con nappine da tappezzeria, frangia di spugna, pon-pon…”.
“La nostra carrellata si conclude con Salò, forse il più rigoroso dei film di Donati: forse la cupezza della trama non permetteva voli pindarici. Così abbiamo linee molto semplici, rigorose, ricreate con tessuti dalle stampe d’epoca”.
DANILO DONATI, scenografo e costumista, è nato a Suzzara nel 1926, frequenta il corso di Pittura di Ottone Rosai e si diploma all'Accademia di Belle Arti di Roma. Il suo esordio nel mondo dello spettacolo risale al 1954 come costumista in "La vestale", un'opera teatrale diretta da Luchino Visconti. La collaborazione con Visconti continua lungo tutti gli anni '50. Nel 1959 debutta nel cinema disegnando i costumi per "La Grande guerra" di Mario Monicelli. Fondamentali per la sua formazione le collaborazioni con Pier Paolo Pasolini, Franco Zeffirelli e soprattutto Federico Fellini. E proprio per quest'ultimo diventa scenografo (“Se vuoi fare i costumi per me - disse Fellini a Danilo Donati” disegna anche le scene”, quasi un’imposizione, più che una libera scelta). In un capannone di Cinecittà crea il suo studio, dove nascono costumi e oggetti di scena utilizzando materiali diversi e soprattutto originali, come la pasta o gli oggetti del bric-à-brac (fusilli e tortiglioni vetrificati da vernici speciali diventano pietre preziose incastonate, coppette di plastica si trasformano in corpetti da odalisca). Lavora anche per il cinema americano realizzando i costumi per "Flash Gordon" (1980) di Mike Hodges. Uomo estremamente schivo, ha vinto due premi Oscar ("Romeo e Giulietta" di Zeffirelli e "Casanova" di Fellini) ma non è andato a ritirarli. Negli ultimi anni Donati ha messo a disposizione la sua arte per Roberto Benigni creando costumi e scene per "Il mostro" (1994), "La vita è bella" (1997) e "Pinocchio" (2002) che non ha visto completato - perché è morto durante gli ultimi giorni di riprese - ma che gli è valso il David di Donatello, postumo, per le migliori scenografie e i migliori costumi. Ha scritto anche un romanzo, "Coprilfuoco" edito da Newton Compton, finalista al Premio Strega 2001, nel quale descrive l'ambiente fiorentino degli anni '40 e i giorni che hanno preceduto la liberazione della città da parte delle truppe alleate.