Renato Brancaccio – Faccio ‘e cunte e nun me trovo
Renato Brancaccio scommette sulla virtualità favolistica del surreale che è nascosto nel reale: un’implicita interrogazione sulla potenzialità che ogni ricordo avrebbe di diventare manifestazione di una ricerca estetica e non funzionale.
Comunicato stampa
[…] Brancaccio sceglie una pittura in movimento che procede, pastosa e coloratissima, affondando i propri ricordi e le proprie emozioni, felici o dolorose, nei neri caravaggeschi che tormentano e frenano una tavolozza e un pennello che si muovono come in trance, in una disperata reverie per reperire un "fondo" narrativo e iconico. Renato Brancaccio scommette sulla virtualità favolistica del surreale che è nascosto nel reale: un'implicita interrogazione sulla potenzialità che ogni ricordo avrebbe di diventare manifestazione di una ricerca estetica e non funzionale. Un percorso che si complica, quando l'artista stabilisce una doppia lettura tra la sapienza pittorica e la volontà narrativa […] una fluidità seriale che si evidenzia come suspence, attesa magica dell’evento. Il carattere particolare del linguaggio formale di Renato è di tipo musicale, relazionale, dialettico, alternando “notturni” beethoveniani e arabeschi barocchi. […] Un territorio di confine, sul ritmico tema del tempo, dell’evento, dell’istante che il pennello fluidifica e colora. Sempre con la consapevolezza che la pittura, l’arte, reinventa la realtà, crea un altro da sé, sia esso persona, oggetto, paesaggio. Questo spiega la felicità coloristica, riguadagnata attraverso un patrimonio di consapevolezze, di espressioni e di azioni che non hanno solo un intrinseco valore testimoniale ma la possibilità di farci intravedere una realtà superiore, che la pittura, al pari del sogno, può contribuire a realizzare. (tratto da L’artista vive della propria leggenda, di Mario Franco)
Renato Brancaccio è nato a Napoli a Maggio del ’45, diplomato all’Istituto Statale d’Arte F. Palizzi e all’A.A.B.B. di Napoli, ha la fortuna di conoscere Giuseppe Desiato apprezzandone da subito il lavoro, lo ritiene ad oggi la personalità più rappresentativa e geniale che Napoli abbia avuto insieme a Guido Tatafiore. Conosce e stima Lippi, Colucci, Bugli, Alfano, ma soprattutto Luca (Luigi Castellano), è coinvolto dalla sua spinta propositiva e ne condivide da subito l’insieme dell’impianto critico e politico, collabora a varie iniziative insieme a Luciano Caruso, Stelio Maria Martini, con l’obbiettivo di ridurre sempre di più la distanza tra arte politica creatività e vita. Partecipa nel 1966 alla costituzione, insieme ad Antonio Davide, Quintino Scolavino, Peppe Pappa ed altri, del gruppo P.66 il cui lavoro determina interventi d’avanguardia, performance art, azioni di strada, film sperimentali, prelievi fotografici delle zone interessate e successive proiezioni ingigantite sugli stessi edifici urbani, di quartieri, fabbriche, università, teatri, provocando spiazzamenti coinvolgenti e scambi dialettici. Nega, teorizzandolo prima e attraverso azioni eclatanti poi, lo spazio espositivo delle gallerie, artefici del primo luogo di condizionamento mercantile. Dopo la conclusione dell’attività del Gruppo venne a conoscenza tramite il libro “La cavità teatrale” (ed. Dissensi- De Donato 1968) che azioni politiche creative similari le promuoveva il Black Panther in America. Estimatore di Emilio Villa, abbandona il campo delle esperienze d’avanguardia e realizza, insieme a Ciro Pollio Oliviero, Franco Canale il primo “centro operativo” di stampa e propaganda del P.C.I. in Italia, esperienza che fu poi moltiplicata sul territorio nazionale. Realizza, nel 1978 insieme a Carlo Ruggero, un video–clip sulle musiche di Lucio Dalla, anticipando di circa due anni quello che viene considerato dalla critica musicale (vedi D. Salvatori e altri) il primo video della storia, realizzato dai Pink Floyd a Pompei. Scrive insieme a Emiliano Brancaccio un articolo di critica al sistema dell’arte dal titolo “La transretroguardia del capitale” apparso sulla rivista “Transiti” a cura di Ciro Esposito e Antonio Dentale (ed. Guida). Partecipe comunque del dibattito politico-culturale, oggi afferma che il tempo delle attività creative legate al concettuale è inflazionato e ritiene possibile ed utile riscoprire i linguaggi della rappresentazione.