Giampiero Violi – En attendant…
L’uomo fa tentativi, incontrando il proprio fallimento di cambiare. Invece di procedere, si trova fermo nella ripetizione di uno sforzo drammatico, frustrante: cantilena ripetuta come suono di meditazione, come tema esistenziale.
Comunicato stampa
Hanno vissuto un po’, forse hanno sbagliato tempo, forse c’è bisogno di una pausa per riprendersi; i protagonisti intanto spogliano l’abito/corpo.
Trema ancora mentre viene deposto nei terreni carichi di “residui dell’inspiegabile”, matrici accoglienti che lo conserveranno, impregnandolo col macerato umido di depositi corrosivi, penetranti per osmosi.
In apparenza non accade nulla, c’è da attendere.
L’uomo fa tentativi, incontrando il proprio fallimento di cambiare. Invece di procedere, si trova fermo nella ripetizione di uno sforzo drammatico, frustrante: cantilena ripetuta come suono di meditazione, come tema esistenziale.
Eppure...
Nella immobilità imposta dalla scena in atto, gli involucri/corpo attraversano passaggi di stato immersi nel tono cromatico circostante come fantocci sedati, imbozzolati, a testa in giù. Poi, spesso disarticolati e scomposti, riaffiorano in superficie. Appaiono allora reidratati a tal punto da riempire l’orizzonte, offrendosi all’avvistamento come un’isola d’arcipelago nascente, in piena luce. Ha inizio la navigazione tra questi atolli, sulla rotta di sé stessi.
La “pacciamatura” che fa da medium a questi processi trasformativi, è come quella in cui finiscono i migliori aspetti della nostra vita, raccolti nell’antico pozzo adibito alle offerte votive: strato dopo strato gettati come corredo per un generoso impeto del cuore.
Sono i valori più cari che vengono immolati al gratuito, al dare per dare fine a sé stesso. Sulla tela lasciano la traccia della loro traiettoria senza ripensamenti. E fase dopo fase è l’immersione nel colore che prepara i cambiamenti, che segnala i passaggi; mentre al vibrare dei segni grafici è riservato il “modo” degli scuotimenti: se pulsando, fremendo, irrigidendosi, trepidando .....Ma il fermentare distilla preziosi spiriti, dal volatile profumo o dal medicamentoso potere.
Le “tavole di lavoro” di Giampiero Violi registrano le rilevazioni fatte a profondità differenti in diverso tipo di suolo e sottosuolo. Si incontrano nella discesa zone fredde e catramose, friabilità adatte al riparo di talpe, bulbi o larve dormienti, viscosità ancor calde di lava vulcanica. Tutto passato attraverso il canale emotivo dell’anima che ne ha fatto esperienza e accetta consapevole la testimonianza depositata dall’autore nello spazio di tela o di carta.
Così come l’attimo origina flussi di tempo, vengono individuati i momenti che fanno da bagliore, da lampo che permette l’istantanea al buio. Nulla di risolutivo, solo lo scatto per una “lastra della situazione”: concentrato sulla propria stanza interiore illuminarla per conoscerla.
Spesso la scena dominante è contrappuntata da un ulteriore riquadro, indipendente, come un teatro nel teatro. Un tassello, dai confini non sempre regolari: un “carotaggio” estratto dal pozzo di decantazione interiore, mentre gli abiti/corpo attendono.
Attendono di ospitare una vibrazione energetica di cui essere degni, per portare in sé l’ispirato fluire del cosmo con rinnovato ritmo e ri-animato desiderio.
Esporre alla vista i contenuti di queste “teche di studio” come frutto di una visita ai preparati del proprio laboratorio recondito, è come indicare la differenza tra quanto accade “sotto il sole” e quanto invece è silente in noi, scartato, rifiutato..., ma come pietra d’angolo può diventarne il fondamento.
“La poesia lenisce l’animo e lo incita ad accettare il mistero” , scriveva il John Keats.
In queste attese di trasformazione, ignote per esito ma colme di invenzione, forse stanno celate le energie in grado di farci protendere oltre il tempo. Potrebbe essere là, nel serbatoio inesausto, che si manifesta il Fondamento del senso..., tanto atteso.
Giuseppina Osio