Tommaso Andreocci – Paintings sculpures drawings
Non si tratta tuttavia di una semplice antologica: in molti casi Andreocci ha rielaborato a posteriori le opere originarie.
Comunicato stampa
Sabato 15 marzo, a partire dalle 18,00, Museo d’Arte Diffusa a cura di Fabio D’Achille inaugurerà la mostra dell’artista di origine privernate Tommaso Andreocci, al MuefArtStudio di Roma, in via A. Poliziano 78/b.
Non si tratta tuttavia di una semplice antologica: in molti casi Andreocci ha rielaborato a posteriori le opere originarie. In alcuni dei venti lavori allestiti, ad esempio, l’artista trasporta su lastre di alluminio alcuni disegni realizzati per la mostra “Cattedrali di Memorie”, inaugurata all’interno della rassegna MAD Danza 2010/11 (Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Latina) e presentata dagli storici e critici dell’arte Giorgio Muratore e Duccio Trombadori, che hanno sempre rivolto grande attenzione alla sua arte. I soggetti di queste opere derivano da uno studio oggettivo e rigoroso sull’archeologia industriale, le cui architetture sono indagate con una scrupolosa perizia tecnica e precisione geometrico–matematica. Ciononostante, il risultato non è di una freddezza monocorde, ma è in grado di procurare un impatto emotivo e spunti di riflessione sui mutamenti delle attuali condizioni di vita procurati dall’iperindustrializzazione e tecnologizzazione; infatti, come commenta Trombadori, “L’eccellente capacità di rappresentazione oggettiva di Andreocci si pone come puntuale segnaletica che rispecchia la verità interna del nostro tempo con tutta la sua capacità di spaesamento, i ritmi incessanti, le infinite ripetizioni, l’ubiquità e l’assoluta assenza di radici spazio–temporali, a suggerire l’inquietante idea di un misterioso eterno presente”.
“Attraverso la trasposizione su alluminio dei disegni, Andreocci accentua l’apparente dicotomia tra la resa oggettiva del paesaggio industriale e l’effetto emotivo.
Accanto a questi lavori, l’esposizione comprende olii su tela con soggetti floreali eseguiti negli anni Novanta; qui con l’intervento a posteriori si giunge, rispetto agli originali, a un risultato più oggettivo, a uno studio di posa del dato naturalistico, di cui spesso viene isolato un particolare, sino ad arrivare, tramite il gioco tra la nitidezza del primo piano e la sfocatura dell’immagine, ad un realismo trasfigurato in concettuale, a una sintesi tra figurazione e astrazione. A completare il percorso espositivo un’opera inedita, un’installazione in cui si concretizza un connubio tra sapienza tecnico–matematica e significati simbolici legati alla triade Vita/Morte/Rinascita cui rimandano le forme geometriche.
L’atto di rielaborazione di opere create in passato dall’artista, caratteristica di questa mostra, racchiude una volontà di riattualizzazione ed è indice di riflessione su quanto è già stato compiuto, che, in una concezione dell’opera d’arte come qualcosa di vivo, è soggetto a trasformazione e in perpetua evoluzione”. (Laura Cianfarani)
Scrive Duccio Trombadori sulla poetica dell’artista: “(..) Fedele esaminatore di cose viste, Andreocci le metabolizza in un diorama che associa nel tempo e nello spazio immagini distanti tra loro: la sua raccolta di lembi di edilizia industriale non vuole individuare località prescelte o geograficamente definite, bensì precisa la qualità di certe “tipologie” oppure “luoghi-emblema” ricavati dalla memoria fotografica. Si assiste non a caso ad un susseguirsi di vedute tirate a lucido e direttamente trascritte dal lampo di magnesio dell’istantanea. in questa rassegna archeologica (la tecnologia industriale si deposita rapidamente quale evento trapassato) le immagini si succedono come la intelaiatura di un manuale illustrativo, in cui la descrizione si misura nel dettaglio, e la cura del particolare, trapunto quasi col fiato, diventa segno di una attraente densità espressiva. Nulla è più lontano dal richiamo evocativo musicale e sonoro di questi “disegni parlanti” i quali misurano la realtà fino allo spasimo, in un ambiente assolutamente insonorizzato dove gli oggetti si accumulano e mettono in scena un paesaggio di mute corrispondenze visive. E si delinea un mosaico dì grafìe come se un aerografo mentale modellasse le intensità di segno prima ancora della loro applicazione tecnica. Titolare di ineccepibile controllo progettuale, Tommaso Andreocci si qualifica come un visionario alla rovescia, cioè autore di figurazioni che, per non concedere spazio alla fantasia, finiscono con esaltare proprio la meraviglia del “fin troppo vero”. La “fotografia della realtà” ricamata dalla sua matita non concede nulla alla espressione personale o alla sigla individuale nel modellare uno sfumato, o nella incisione di un contorno.
L’esecuzione in superficie è volutamente neutra e quasi omogenea in tutte le sue parti. Le ombre
sono calibrate al centesimo, i volumi risaltano da un rigato millimetrico che varia gli equilibri
di luce dosando il peso della grafite sulla pagina bianca. L’ostinazione oggettivante si traduce
alla fine in immagini “più vere del vero”. (…)