Riccardo Muroni – Libro bianco
Mostra personale del vincitore della “sezione Installazione ” del Premio Babel.
Comunicato stampa
Riccardo Muroni, classe 1980, ha studiato Scultura all’Accademia di Belle Arti di Sassari. Oggi l'artista ama definirsi scultore multimediale già che ha sostituito ormai da tempo, agli strumenti tradizionali della scultura, software e algoritmi.
L'articolata istallazione presentata allo Spazio Invisibile prende le mosse dal lavoro che l'artista ha realizzato per il Premio Babel (tuttora in esposizione, con l'intero corpus delle opere vincitrici del premio, presso il Tribu di Nuoro). Si tratta di una suggestiva riflessione sulla concezione strutturale della scultura multimediale che si confronta con spazi virtuali, reali e ancora virtuali: dimensioni osmotiche che viaggiano su ponti numerici trovando nella filosofia neoplatonica archetipi di profonda ispirazione.
L'installazione "Libro Bianco" è composta da:
- 100 stampe su fogli di acetato, tutti i 100 frame dell'animazione.
- una riproduzione tridimensionale del primo frame "frame 00" e dell'ultimo frame dell'animazione "frame 100".
- 4 cornici digitali dove ci sarà il video della rotazione di "frame 100" diviso sui 4 schermi in bianco e nero.
- un libro, "LIBRO BIANCO" dove saranno riportate tutte le coordinate che la macchina eseguiva mentre creava la scultura 3D .
l'obiettivo non è quello di mostrare delle creazioni, ma esprimere il carattere mutevole ed evolutivo di un "segno" e delle sue infinite possibilità.
Ho smesso di considerare la scultura come ricerca della forma nel 2009 perché nella forma non c'é più forma!
Da quel momento porto avanti un approccio già per forza di cose installativo, tuttavia, occupare uno spazio con una forma pressoché aleatoria non è più una soluzione efficace.
La ricerca della forma è finita e annullata. È morta in mille se e in altrettanti ma... é rimasta l'intenzione sagomata e reinterpretata da decisioni molto spesso di sottrazione ma che nonostante tutto, portano alla luce l'atto del fare...almeno qualcosa...per essere, qualcosa…
Libro bianco è la negazione completa dell'atto del fare artistico, è la reinterpretazione compulsiva dell' atto signico, é codice che presuntuoso vuole essere segno incastonato in quello che si vorrebbe e/o potrebbe fare....troppe variabili!!! E allora si elimina tutto!
L'ho scolpita tramite software ed eseguita tramite software, tutto è passato attraverso il codice...l'opera stessa è permeata di codice!!! Per ciò...confondendo un atto performativo con un atto meccanico, quello del dettato, una macchina mi ha dettato le coordinate che un'altra macchina ha eseguito.
E io piccolo essere, concentrato per non perdere nessun passaggio, trascrivo tutto da operoso scriba....e il libro prima bianco si riempie di numeri...insignificanti...incomprensibili...ineluttabili!
SEGNO DIGITALE
Analizzare che cosa è “segno” all’interno di un sistema espressivo che utilizza media digitali, che riflette sull’interattività, che nasce e muore per istruzioni di un algoritmo implica un’analisi profonda degli elementi che compongono la comunicazione.
È necessario tralasciare il contesto storico e tutta la storia dell’arte fino a questo momento e provare a mettere sullo stesso piano il David di Michelangelo e la sua copia eseguita da una stampante 3d.
Per essere in grado di argomentare tale paragone è necessario analizzare la questione da due punti di vista:
• Il segno dal punto di vista fisico (tratto, traccia, pixel, texture), che si traduce in segno significante.
• Il segno dal punto di vista estetico (poetica, universo di utilizzo), che si traduce in segno significato.
Questa specificazione deriva da uno studioso Svizzero di semiotica ed estetica, Ferdinand de Saussure, che all’inizio del Novecento, attraverso un approccio scientifico, analizzò il fenomeno della comunicazione monosemica e polisemica.
Negli anni Ottanta un altro studioso, Luciano Nanni, si serve del concetto di “segno” di Saussure per analizzare che cos’è un’opera d’arte e i suoi caratteri ambigui dal punto di vista comunicativo.
Tale distinzione: segno significante e segno significato, è necessaria per sviscerare un discorso, quello estetico, che è rappresentato da “oggetti” formati da due elementi molto diversi: la struttura fisica, per quanto riguarda il segno significante e il concetto per quanto riguarda il segno significato.
Attraverso questa distinzione, il mio obiettivo è quello di analizzare che cosa è il “segno” sia dal punto di vista del supporto analogico sia dal punto di vista del supporto digitale per arrivare a definire l’utilizzo del media come utensile.
…Traccia visibile prodotta dal contatto di un corpo fisico su un altro…
…Espressione grafica che rappresenta un'entità astratta…
…Ogni figura o espressione grafica usata convenzionalmente per rappresentare qualcosa…
Queste sono solo alcune delle definizioni che normalmente possiamo trovare in un vocabolario alla voce “segno”.
È chiaro che questo tipo di definizioni sono riferite alle caratteristiche più generali di quello che può essere inteso con la parola “segno”.
È anche vero che il concetto racchiuso all’interno della parola in questione, attraverso la sua rappresentazione grafemica è un’astrazione che accompagna l’uomo da sempre.
Con il passare del tempo i segni e i significati racchiusi all’interno delle loro rappresentazioni, hanno subito innumerevoli standardizzazioni con la creazione di forme di comunicazione attraverso glifi, geroglifici e grafemi.
Il punto e la linea, elementi fondamentali della figurazione, creano attraverso la geometria, un ponte tra il dipinto e l’io dell’artista che in questa struttura significante/significato crea l’opera.
In questo senso il segno fisico e il segno digitale, possono essere teorizzati e compresi attraverso la geometria che ne determina i caratteri fondamentali.
L’unica differenza, ma essenziale, è che il punto non ha dimensioni mentre il pixel (unità prima della figurazione digitale) si.
La linea dal punto di vista geometrico è una serie infinita di punti adimensionali, succedentesi in modo "continuo".
La stessa linea visualizzata in uno schermo sarà molto simile a quella geometrica ma avrà un insieme finito di pixel.
Per ciò il passaggio dal mondo fisico al mondo digitale implica una riduzione dell’informazione.
Quindi per passare da un segnale analogico ad uno digitale (campionamento), bisogna tener conto del concetto di “risoluzione” che è la quantità di dati disponibili per descrivere il segnale precedentemente campionato.
Se si parla di un segnale audio la risoluzione sarà riferita alla frequenza di campionamento e cioè al numero di dati che il software ha memorizzato per descrivere l’onda nell’unità di tempo, se si parla di segnale video sarà la quantità di pixel memorizzati per la descrizione di un’immagine (raster).
Possiamo quindi affermare che la risoluzione è il limite di rappresentabilità di un qualsiasi contenuto digitale.
Di conseguenza si ha l’incapacità di restituire attraverso uno schermo o un supporto di stampa il segno significante, il tratto pittorico, la nostra firma.
In un quadro il segno significante è sia la tecnica di realizzazione sia il supporto stesso del dipinto, in una scultura è il materiale con il quale è stata eseguita l’opera e la sua tecnica.
In entrambi i casi viene restituito allo spettatore, oltre il senso, una fisicità molto spesso associata allo stile che scaturisce appunto dal segno significante.
Ma di quali utensili ci si serve per creare software-art, code-art e più in generale digital-art?
Ci si serve soprattutto del codice e attraverso il codice, la scrittura degli algoritmi.
Gli algoritmi costituiranno le istruzioni eseguite dal programma, in base alle esigenze dell’autore.
È evidente che all’interno di una struttura popolata di media digitali il “segno” è qualcosa che cambia solo dal punto di vista formale ma non dal punto di vista essenziale.
Un utensile come una sgorbia non si differenzia da una prototipatrice e l’interfaccia di un software non si differenzia dal database di azioni che definiscono l’uso un pennello.
Quindi quel’è la differenza che distingue un dipinto, una scultura, un’incisione dalle nuove pratiche artistiche che utilizzano i media digitali per la creazione di un “segno digitale”?
È l’interspazio, una brana, un segmento tra la sua risoluzione e le istruzioni che segue.
RICCARDO MURONI
Sono nato a Sassari nel 1980.
Ho studiato Scultura all’Accademia di Belle Arti di Sassari.
Già dai miei primi lavori mi resi conto che la scultura intesa nella sua forma più accademica non riusciva ad essere un giusto veicolo per portare alla luce determinate “forme”.
Spesso la statica e la fisica dei materiali andava a corrodere una prima idea del lavoro e molto spesso dovevo piegarmi a forze evidentemente più grandi di me: la gravità e la forza-peso.
Ho iniziato a lavorare con la progettazione 3D per questi motivi scoprendo poi, una soluzione molto efficace per la progettazione di modelli che poi sarebbero divenute sculture.
Nell’approcciarmi ai “nuovi utensili” si è aperto tutto un mondo, quello digitale, che mi ha creato non pochi problemi al livello pratico ed estetico.
Mi sono chiesto molte volte quale potesse essere il mio approccio a tali mezzi e il perché utilizzarli per la mia produzione artistica andando ad indagare il pixel come unità prima della figurazione digitale e la quasi totale mancanza di un intervento manuale nella mia creazione artistica.
Mi definisco uno scultore multimediale.
Le tecnologie sono utensili che vengono utilizzati in modi differenti a seconda del tipo di discorso affrontato.
Mi trovo molto spesso a lavorare con media diversi quali video, installazioni e creazioni fisiche di oggetti scultorei.
Lo spazio, le dimensioni, il tempo sono principi che permeano le mie opere e il senso è solo un pretesto per la creazione, la vera comprensione è nel carattere polisemico delle mie creazioni.