Informazioni Evento

Luogo
ACCESSO GALLERIA
Via Solferino, ang. Via Castelfidardo – 20121 , Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

martedì - sabato h. 11.00 – 14.30 / 15.30 – 20.00. Chiuso domenica e lunedì. Durante il Salone del Mobile (8 – 13 aprile): 10.30 - 22.00. Aperti anche domenica 13.4.

Vernissage
03/04/2014

ore 18,30

Biglietti

ingresso libero

Artisti
Peter Simon Mühlhäußer, Tomas Watson
Uffici stampa
NORA COMUNICAZIONE
Generi
arte contemporanea, inaugurazione, doppia personale

Da Londra a Milano, passando per la Toscana. È questo, in estrema sintesi, il percorso che ha portato Brad Brubaker, americano, e Paul Feakes, inglese, ad aprire, nel capoluogo lombardo, un nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea.

Comunicato stampa

Da Londra a Milano, passando per la Toscana. È questo, in estrema sintesi, il percorso che ha portato Brad Brubaker, americano, e Paul Feakes, inglese, ad aprire, nel capoluogo lombardo, un nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea.
Un percorso inverso rispetto a quello di tanti italiani che scappano dal Belpaese: Brad e Paul, qui, hanno trovato l’America.
Attivi dal 2011 a Pietrasanta con una galleria che ha presentato in Italia tanti artisti internazionali mai visti entro i nostri confini, Brubaker e Feakes si preparano a fare un ulteriore salto in avanti, incoraggiati dai tanti riscontri positivi registrati nella località toscana.
Dal 3 aprile al 10 maggio, nel cuore di Brera in Via Solferino, presentano così una mostra bi-personale dello scultore tedesco Peter Simon Mühlhäußer e del pittore inglese Tomas Watson, dal titolo In form…A.

I due artisti inducono lo spettatore a riflettere sul segno e sul senso del corpo nella società odierna. La convivenza del presente e del passato e della storia dell’arte, la presenza/assenza di alcune parti del corpo vogliono essere un indizio su ciò che l’uomo è oggi e su ciò che ambisce ad essere. L’elemento superficiale distintivo di ciascun uomo è la sua fisionomia: cosa connota oggi l’uomo? La sua mancanza di identità (Watson nega i volti); la voglia spasmodica di diventare “grandi” e di andare incontro al futuro troppo giovani e troppo stanchi (come nelle sculture di Mühlhäußer)? E ancora: l’importanza della “carne” in entrambi gli artisti è un monito e un memento della nostra condizione umana e non divina, della nostra finitezza e imperfezione. Entrambi gli artisti contaminano le loro opere con elementi perturbanti per scuotere e destabilizzare il pubblico.

Nelle sculture in bronzo, alluminio e resina di Peter Simon Mühlhäußer (Göppingen,1982. Vive a lavora a Berlino) l’estetica del bello lascia il posto all’estetica del dubbio, del brutto, del concetto e dell’indagine psicologica. L’artista -di nuovo in Italia dopo la partecipazione all’ultima Biennale di Venezia- non usa modelli ma solo la propria immaginazione per forgiare personaggi ibridi di cui esibisce l’etnia, l’identità, la sessualità, sollecitando così il voyerismo del pubblico. L’equilibrio compositivo dei “blocchi temporanei” di Mühlhäußer -retaggio della tradizione classica- è reso con un climax che destabilizza il visitatore il cui sguardo si perde tra la contemplazione della tecnica e ciò che l’opera implicitamente gli domanda di sé e del suo tempo. Un adolescente con il viso “duro e pensieroso” di un adulto: da un lato, la tensione al futuro del ragazzo impaziente di diventare “grande”; dall’altro, la severità dell’uomo che riflette sul proprio passato e su ciò che l’ha portato ad essere ciò che è, un soggetto troppo giovane per essere adulto e troppo maturo per sentirsi giovane. Emblematica è anche la suddivisione anagrafica del corpo: al logos -alla ragione- la maturità e dunque il volto, lo sguardo; al pathos -al sentimento- la gioventù, i corpi snelli e ginnici.
Se la dicotomia tra corpo e volto è il nodo della ricerca dello scultore tedesco, il pittore inglese Tomas Watson (Sussex, 1971. Vive e lavora ad Andros) dipinge figure umane, mostrate di spalle o di tre quarti di cui è impossibile scorgere i tratti del viso o la totalità della forma. La frammentarietà assurge a chiave interpretativa dell’identità. Sfondi accesi paiono, in certi casi, fondersi con il soggetto, in altri, invece, sembra che i corpi escano fuori -quasi scappino- dalla tela, il tutto senza togliere la centralità all’incarnato, alla resa della pelle e dell’età incerta del soggetto. La lezione di Bacon e Freud è ancora viva e vivida in Watson. Diversi, non solo per tecnica, ma anche per soggetti e taglio compositivo sono i suoi collage: il pittore introduce oggetti trovati per caso all’interno delle sue tele creando una sorta di racconto per immagini alla ricerca di una dignità essenziale ed esistenziale.