Luce e ombra nell’arte sacra
Il nucleo di dipinti, in gran parte ascrivibile tra il ‘500 e il ‘700, con una piccola sezione anche di artisti dell’800 pavese, consente di creare un percorso iconografico e stilistico nell’arte sacra, fatta di grandi accensioni luminose e sapienti giochi di ombre e chiaroscuri.
Comunicato stampa
Arte sacra al Castello Visconteo di Pavia, in occasione della Pasqua. Sabato 12 aprile 2014, alle ore 18, nella Sala mostre del Castello inaugurerà Luce e ombra nell’arte sacra. Il legato Strozzi ai Musei civici di Pavia. La mostra, organizzata dal Settore Cultura del Comune di Pavia, raccoglie cinquanta opere di carattere sacro, acquisite nel 2010 dai Musei civici, grazie a una donazione.
Il nucleo di dipinti, in gran parte ascrivibile tra il '500 e il '700, con una piccola sezione anche di artisti dell'800 pavese, consente di creare un percorso iconografico e stilistico nell'arte sacra, fatta di grandi accensioni luminose e sapienti giochi di ombre e chiaroscuri.
Protagonisti, sono i maestri italiani non solo della scuola lombarda, veneta e soprattutto emiliana, ma anche di quella romana e napoletana, di cui almeno la metà costituisce un’importante testimonianza della pittura sacra tra Manierismo e tardo Barocco, con un’anticipazione riferita a esempi eccellenti dell’arte nordica del primo Rinascimento e con “code” rappresentative della migliore pittura pavese tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del XX secolo.
Nel 2010 il Comune di Pavia ha accolto il legato testamentario di Giuseppe Strozzi, un sacerdote che aveva destinato alla Pinacoteca dei Musei Civici tutti i dipinti presenti nella sua abitazione – scrive Susanna Zatti, Direttore dei Musei Civici del Castello Visconteo, nel testo di presentazione alla mostra –.
L’inventario redatto dai Musei alla consegna delle opere annoverava cinquantasei quadri di soggetto sacro e autore ignoto, databili ad un’epoca compresa tra il XVI e XX secolo, di dimensioni varie alcune davvero notevoli.
Trasferiti presso il Castello Visconteo, i dipinti, già in ottimo stato, sono stati comunque sottoposti a un intervento preventivo di disinfestazione dal tarlo e a piccole operazioni di pulitura e di fissaggio della pellicola pittorica.
Solo successivamente si è dato avvio allo studio scientifico della collezione, per l’individuazione degli ambiti geografici di provenienza, il riconoscimento delle scuole e delle singole personalità artistiche, la determinazione della cronologia, il puntuale riconoscimento del soggetto iconografico. E’ stato un lavoro assai complesso: innanzi tutto, sebbene non documentati da relazioni di restauro, alcuni dipinti si presentavano con ridipinture che in parte limitavano la lettura e l’analisi critica dell’originale stesura pittorica; in secondo luogo, salvo qualche rara eccezione, si trattava di dipinti affatto studiati in precedenza e nessuno esposto in mostre, dunque non era nota alcuna bibliografia; inoltre, il donatore non aveva lasciato documentazioni né informazioni circa i precedenti possessori e le provenienze più antiche.
Non è stato dunque facile tratteggiare la figura del legatario Strozzi, delineare il gusto che aveva presieduto alla scelta delle sue acquisizioni, accertare l’esistenza dell’interesse per uno specifico ambito artistico che - al di là dell’evidente, assoluta predilezione per il soggetto sacro- avesse connotato l’indirizzo estetico dell’intera collezione.
Le opere della donazione Strozzi
“La donazione vanta una grande e bella pala a olio su rovere di un pittore di Anversa, vicina ai modi di Franz Floris, della metà del XVI secolo, una popolare iconografia del Cristo portacroce, replicata da noti modelli correggeschi, e una testa di Sant’Antonio Abate, derivata dalla Madonna col Bambino, san Giovannino e sant’Antonio Abate di Tiziano conservato agli Uffizi di Firenze; oltre a un’efficace Resurrezione di pittore emiliano di fine ‘500, e al Cristo in croce del primo Barocco lombardo. A Simone Cantarini è attribuita la toccante Crocifissione di Cristo con la Madonna e san Giovanni, copia dal dipinto di Guido Reni conservato nella collezione del duca di Northumberland ad Alnwich Castle; sempre all’ambito di Guido Reni e al suo più promettente allievo, Gian Giacomo Sementi, è ricondotta una splendida Santa Caterina d’Alessandria.
Le mezzefigure di Santi e Filosofi – un genere molto frequente della pittura del Seicento – sono ben rappresentate dal San Pietro penitente, riferibile all’ambito di Francesco Fracanzano, mentre alla bottega di Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto, si deve un’intensa immagine di Diogene e a quella di Giacomo Cavedoni il bel San Gerolamo che legge.
Di particolare interesse sono la Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino, derivazione della Madonna della Perla di Raffaello al Prado, e il Gesù bambino addormentato accanto alla croce, da un originale di Jacopo Amigoni. Tra le pale di grandi dimensioni spiccano, oltre a un Martirio di sant’Agata, opera settecentesca di probabile ambito veneto, la bella Annunciazione, riconosciuta al lombardo Federico Bianchi, opera di transizione tra tardo Barocco e primo Barocchetto, e una Madonna Assunta derivata da una stampa di Carlo Maratti, forse riconducibile alla giovanile esperienza romana di Giuseppe Bottani.
La pittura pavese del XIX e inizi XX secolo è rappresentata da una Madonna Addolorata e da un’immagine di San Feliciano, opere anonime che però presentano echi formali della cultura artistica locale, e dai dipinti del solido ritrattista Carlo Sara, già direttore della Civica Scuola di Pittura pavese, da Antonio Oberto, eclettico rappresentante dell’arte modernista, e infine da Mario Acerbi, l’ultimo esponente della scuola tardo-impressionista locale.
Per il resto, la collezione Strozzi comprende un nucleo di opere di carattere prettamente devozionale privato: quadretti di non grandi dimensioni, destinati all’arredo di altarini e cappelle, dall’iconografia tradizionale, con poche figure e attributi simbolici facilmente riconoscibili. Tra questi, un gruppo di pitture su rame, tra cui un Cristo coronato di spine, copia – probabilmente per il tramite di una traduzione calcografica – da un Ecce homo di Correggio conservato alla National Gallery di Londra” – Susanna Zatti.