Il Capitale Umano nell’Industria

Il Capitale Umano nell’Industria espone una selezione di circa 254 fotografie tra opere su commissione, fotografie documentarie e scatti d’artista facenti parte della collezione della Fondazione MAST; opere che, nel loro insieme, testimoniano quella complessità che – oggi come un tempo – struttura i rapporti fra industria e operai, industria e impiegati, Risorse Umane e Capitale Umano.

Comunicato stampa

Il Capitale Umano nell’Industria
A partire dalla metà del XVIII secolo, l’avvento dell’industrializzazione in Europa e nel resto del mondo ha prodotto un mutamento così determinante nelle condizioni di vita delle persone da indurci a coniare il termine “rivoluzione industriale”. Nel corso dei successivi 250 anni, le tradizionali forme del lavoro agricolo e artigianale sono state progressivamente soppiantante da procedimenti produttivi di carattere industriale. Nel frattempo, il processo di industrializzazione che aveva interessato il settore primario e secondario, il reperimento delle materie prime e la loro lavorazione, si è esteso anche al terziario, all’organizzazione del tempo libero, alla cultura e alla gestione dei rifiuti.
Sarebbe riduttivo affermare che l’industrializzazione ha rivoluzionato soltanto le politiche economiche. Essa ha piuttosto condizionato l'intera società, le nostre conoscenze, il nostro pensiero, il commercio, in altre parole la nostra esistenza nella sua totalità. Prima dell’avvento dell'industrializzazione, la vita e il lavoro seguivano il ciclo naturale e biologico: l’avvicendarsi delle stagioni, il sorgere e il tramontare del sole scandivano il ritmo della giornata e il corso dell’anno. Da un certo punto in poi, le esigenze della produzione hanno preso il sopravvento, hanno scandito il ritmo della giornata lavorativa, hanno stabilito a che ora il lavoratore dovesse puntare la sveglia per recarsi al lavoro. Ecco perché parliamo di “tempo della fabbrica”: nel mondo dell’industria, per la prima volta, le ore di lavoro e le ore di tempo libero sono state quantificate e regolamentate dal suono delle sirene, dai controlli all'entrata e, in ultimo, dalla timbratura del cartellino.
Mutando il modo di lavorare, è mutato di conseguenza il rapporto tra città e campagna. Tradizionalmente vita e lavoro erano parti integranti di una stessa unità: si abitava e lavorava nello stesso luogo o, perlomeno, nelle immediate vicinanze. L'industrializzazione e le offerte di lavoro ad essa collegate hanno spinto le persone ad allontanarsi sempre più dal luogo d'origine, fino a spingerle ad emigrare. Gli equilibri di potere si sono spostati dalla campagna alla città.
È comunque innegabile che l’industrializzazione abbia avuto anche il merito di rendere liberi gli uomini - affrancando ad esempio gran parte dei contadini dal giogo della servitù della gleba - o di rendere più duttili i rigidi sistemi normativi delle corporazioni di mestieri. Per la prima volta, con l'avvento dell'industria, questioni importanti quali l'igiene ed il progresso sono diventate oggetto di riflessione profonda. Conquiste fondamentali che non di rado, però, sono state pagate a caro prezzo: il benessere di una parte della popolazione è costato l'impoverimento di altre.
Se da un lato l’industria ha stravolto radicalmente la vita delle persone, dall’altro, concepire l'industria senza persone né lavoratori è del tutto impensabile. Fino a poco tempo fa, prima della recente svolta digitale nell'ambito dell'automazione industriale, uomini e macchine, industria e lavoratori costituivano una sola, grande entità, in cui il capo del personale era – come continua ad esserlo ancora - una figura chiave dell'azienda.
Questa unità, questo vincolo, ha fatto sì che le grandi industrie - ad esempio quelle automobilistiche – siano strutturate come vere e proprie comunità operative; al loro interno si esercitano 200, 250, talvolta fino a 300 diversi mestieri e si formano eserciti di apprendisti. Il vitto è offerto nelle mense o nei ristoranti aziendali. Risalgono all’inizio del XX secolo le prime Wohlfahrtshäuser, le case del popolo per il personale delle aziende, che offrivano ai lavoratori non solo docce e bagni, ma anche occasioni di svago, intrattenimento e formazione. Molte squadre di calcio portano il nome di un’azienda: il Bayer Lever¬kusen è solo un esempio tra tanti.
Oggi come un tempo possiamo distinguere le industrie in due tipologie contrapposte: quelle che trattano il personale con la massima attenzione e responsabilità, operando realmente per la sicurezza e la salute di quello che oggi viene definito “capitale umano”, e quelle che - al contrario - non si curano affatto dei loro collaboratori, delle modalità, dei tempi e delle condizioni in cui si svolge il lavoro. Ne è prova la dinamica dei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, caratterizzata da negoziazioni, rivendicazioni, lotte e scioperi per ottenere condizioni migliori, maggiore sicurezza sul posto di lavoro, salari più alti e orari ridotti. La storia dell’industria è anche storia delle lotte sindacali.
Il Capitale Umano nell’Industria espone una selezione di circa 254 fotografie tra opere su commissione, fotografie documentarie e scatti d’artista facenti parte della collezione della Fondazione MAST; opere che, nel loro insieme, testimoniano quella complessità che - oggi come un tempo – struttura i rapporti fra industria e operai, industria e impiegati, Risorse Umane e Capitale Umano.
La mostra racconta il lavoro dell'uomo nelle miniere, nei grandi impianti delle industrie metallurgiche, meccaniche e nelle fabbriche tessili, ma anche nei cantieri stradali, ferroviari e navali e nelle centrali elettriche, mettendo a confronto strumenti, metodi e condizioni di lavoro dall’Ottocento ad oggi. Il ritratto realistico che l’Occidente offre del mondo del lavoro si contrappone alla rappresentazione esaltante ed euforica che giunge dall’Unione Sovietica.
L’obiettivo coglie l’aspetto gerarchico del lavoro, dai Colletti Blu e Bianchi, agli ingegneri, manager, direttori e imprenditori. Ma non è tutto: le fotografie in mostra ci parlano anche di pendolarismo, di salubrità e sicurezza nei luoghi di lavoro e di tempo del lavoro rigorosamente disciplinato dall’industria. Spesso il progresso sociale è stato ottenuto a costo di lotte e confronti accesi fra le parti e non di rado la parola d’ordine a cui rispondere è stata: sciopero!
Alcuni autori delle immagini in mostra sono anonimi, di loro abbiamo perso le tracce, altri erano collaboratori delle fabbriche e delle imprese, ma con questi temi si sono cimentati anche fotografi famosi come ad esempio: Margarete Bourke-White, Robert Doisneau, David Goldblatt, Brian Griffin, Jacqueline Hassink, Erich Lessing, Jercy Lewczyński, Ugo Mulas, Jorge Ribalta, August Sander, Josef Sudek, Larry Sultan/Mike Mandel, Jakob Tuggener e molti altri ancora.

Urs Stahel