Marisa Mori – Viaggio in Sardegna
50 opere tra oli e disegni, appartenenti a 3 periodi diversi dell’artista fiorentina quelle che abbracciano la prima parte della sua carriera per arrivare poi a quelle strettamente legate al periodo futurista.
Comunicato stampa
Giovedì 17 aprile alle 17 nel Castello San Michele (aperto dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19 - lunedì riposo) inaugura Viaggio in Sardegna, la mostra delle opere di Marisa Mori, realizzata a cura del Centro Studi Ricerche Espressive di Pistoia.
Sono esposte circa 50 opere tra oli e disegni, appartenenti a tre periodi diversi dell’artista fiorentina Marisa Mori (Maria Luisa Lurini) quelle che abbracciano la prima parte della sua carriera, dal periodo torinese al futurismo, per arrivare poi a quelle strettamente legate al periodo futurista. In mostra, tra gli altri, anche 20 opere del cosiddetto periodo sardo, che l’artista realizzò nel corso dei suoi soggiorni in Sardegna e in particolare in Barbagia.
Marisa Mori (Maria Luisa Lurini) nacque a Firenze il 9 marzo 1900 Nella firma delle opere usò il cognome del marito, il topografo, giornalista e poeta Mario Mori, sposato all’inizio degli anni Venti.
Nel 1918 si trasferì con la famiglia a Torino. Si avvicinò alla pittura da autodidatta, incoraggiata dallo scultore Leonardo Bistolfi, amico di famiglia. Nel 1930 presentò un’opera alla XVII Biennale di Venezia; espose alla Mostra d’arte femminile dell’Istituto nazionale fascista di cultura (Torino) e all’Esposizione internazionale d’arte sacra di Padova. Nei dipinti realizzati tra la seconda metà degli anni Venti e l’inizio del decennio successivo, prima della svolta futurista, dimostrò l’influenza che sulla sua maniera avevano gli insegnamenti di Casorati, sia nella scelta dei temi (ritratti, studi di figura, paesaggi immersi in silenti atmosfere, nature morte) sia a livello tecnico-formale nella misurata costruzione spaziale di forme e figure definite mediante nitidi volumi, nella stesura pittorica controllata (Autoritratto in azzurro, 1929 - Papaveri, 1930).
Si avvicinò agli ambienti avanguardisti frequentando il ligure Tullio d’Albisola (Tullio Mazzotti) e i piemontesi Enrico Paulucci Delle Roncole, Fillia (Luigi Colombo) e Nicola Diulgheroff. Nel 1932 la sua adesione al futurismo fu sancita dall’intensa attività espositiva condotta insieme al gruppo dei futuristi liguri-piemontesi della seconda generazione. Nel 1933 fu invitata alla I Mostra nazionale futurista a Roma. Nel 1933 si trasferì a Firenze al seguito del marito, con il quale entrò a far parte dei Gruppi futuristi d’iniziative diretti da Antonio Marasco. Nel contempo iniziò a dipingere quadri ispirati al mito futurista della radio e dell’ascolto radiofonico. Contemporaneamente si interessò di fotografia e ideò progetti scenografici sia per il teatro sia per il cinema, prendendo parte, tra il 1932 e il 1937, a tutte le mostre futuriste di scenotecnica. L’interesse per il teatro e il cinema la portò a iscriversi, verso la metà degli anni Trenta, alla scuola di recitazione dell’Accademia dei Fidenti a Firenze, nella quale, nel dopoguerra, divenne insegnate di storia del costume.
Nell’aprile del 1934 allestì la sua prima personale nello spazio Bragaglia fuori commercio di Roma. Con Aeropittura I del 1934 partecipò alla XIX Biennale d’arte di Venezia. Alla rassegna lagunare fu presente, tra il gruppo dei futuristi, anche nelle edizioni del 1936 con Sintesi di campeggi balilla, Maternità e del 1940 con Partenza dei coloni fascisti per le terre dell’Impero. Sempre nella compagine futurista espose alla Quadriennale nazionale di Roma negli anni 1931, 1935 e 1939. Nel 1937 partecipò alla mostra Les femmes artistes d’Europe al museo Jeu de Paume di Parigi, mostra che nel 1939 venne proposta anche al Metropolitan Museum di New York.
Ricercando un costante equilibrio tra elementi astratti e figurativi, non abbandonò mai del tutto la riconoscibilità naturalistica dei soggetti, ma sottopose le forme a una scomposizione cubo-futurista. Sull’esempio di Diulgheroff preferì stendere il colore in una sottile pellicola pittorica, in modo tale che le pennellate fossero in grado di compenetrare le forme sfaldandone i contorni. Interprete di un’aeropittura lirica dalle chiare influenze prampoliniane, dimostrò una particolare sensibilità verso i valori cromatici tanto da definire i piani compositivi mediate il colore-tono, mentre a livello iconografico fu attenta alle tematiche diffuse dal futurismo negli anni Trenta.
Sul finire degli anni Trenta, in netto dissenso con l’emanazione delle leggi razziali, dette ospitalità a Rita e Gino Levi Montalcini e mise in discussione il suo rapporto con il futurismo. In seguito, dopo la morte del marito (1943), abbandonò definitivamente il movimento marinettiano per tornare, a cominciare dall’immediato dopoguerra, verso una figurazione di matrice classica e naturalistica, ritrovando temi casoratiani, come il ritratto, le nature morte, le maschere, i nudi.
Nel 1950 si iscrisse all’Accademia di belle arti di Firenze. Dopodiché condusse una vita ritirata, esponendo di rado e quasi esclusivamente nelle mostre di pittura femminile patrocinate dal circolo culturale fiorentino Lyceum. In questa ultima fase della sua ricerca dipinse soprattutto figure umane, paesaggi dal vero o nature morte, partecipando, inoltre, a numerosi concorsi di pittura estemporanea. Nel 1954 allestì una personale con disegni e pitture presso la Casa di Dante a Firenze. Altrettanto sporadica fu la sua presenza a mostre collettive.
Morì a Firenze il 6 marzo 1985.