Alberto Giacometti e l’arte africana
La mostra raccoglie due bronzi monumentali, Donna che cammina del 1932-34 e Nudo in piedi del 1956, un pastello colorato su carta, Buste del 1958, la raccolta completa di oltre venti litografie stampate nello studio parigino di Aimé Maeght, nonché cinque sculture africane in legno del Settecento.
Comunicato stampa
Allievo dal 1922 a Parigi di Bourdelle e amico di Archipenko, Alberto Giacometti (Stampa 1901 ‒ Coira 1966), appresso le ricerche sulla scultura arcaica e africana, aderisce al Surrealismo nella sua serie di Oggetti a provocazione simbolica, lavori di grande suggestione nei quali instaura una sorta di rapporto metafisico con lo spazio. Ma subito dopo si allontana dal movimento bretoniano per elaborare una figurazione, sia in pittura che in scultura, che l'horror vacui sta disfacendo e quasi cancellando. E in tal senso scrive il filosofo Jean Paul Sartre: "La materia di Giacometti, quella strana farina che impolvera, seppellisce lentamente il suo atelier, scivola sotto le unghie e nelle rughe profonde del suo viso, altro non è se non una polvere di spazio".
La preziosa mostra Alberto Giacometti e l'arte africana, che sarà ordinata al Museo Centro Ceramico Fornace Pagliero di Daniele Chechi a Spineto-Castellamonte, dal 26 aprile al 29 giugno, raccoglie due bronzi monumentali, Donna che cammina del 1932-34 e Nudo in piedi del 1956, un pastello colorato su carta, Buste del 1958, la raccolta completa di oltre venti litografie stampate nello studio parigino di Aimé Maeght, nonché cinque sculture africane in legno del Settecento. Com'è noto, Maeght è stata una figura fondamentale nella scena artistica internazionale del secondo Novecento che promosse l'attività, tra l'altro, di maestri quali Bonnard, Matisse, Kandinsky, Braque, Chagall, Miró e Giacometti. L'intera opera del Maestro svizzero ‒ sostiene giustamente Floriano De Santi, curatore della mostra e del catalogo ‒ testimonia, con le sue esili e larvate figure, la condizione esistenziale dell'uomo in un mondo sconvolto dalla minaccia della fine e dagli orrori della guerra.