Cesare Di Liborio – Labyrinthos II
Ventisei scatti sviluppati in bianco e nero sull’idea del labirinto. Un labirinto in cui grazie alle mappe non ci si perde ma si attraversa. Un labirinto visto come possibile metafora della vita, un passaggio tra il conosciuto e lo sconosciuto.
Comunicato stampa
Dal 2 maggio al 8 giugno 2014 in occasione della nona edizione di Fotografia Europea, la Galleria Zannoni di Reggio Emilia ospita le opere del fotografo Cesare Di Liborio in una mostra personale dal titolo “Labyrinthos II”.
Ventisei scatti sviluppati in bianco e nero sull’idea del labirinto. Un labirinto in cui grazie alle mappe non ci si perde ma si attraversa. Un labirinto visto come possibile metafora della vita, un passaggio tra il conosciuto e lo sconosciuto. Il passaggio è il filo conduttore e la cifra stilistica di tanti progetti dell’artista da “Colonne d’Ercole” a “Verde que te quiero verde”. Labyrinthos II è la prima volta che viene presentato a Reggio Emilia, precedentemente è stato esposto ai Rencontres de la Photographie ad Arles.
Il testo che accompagna il progetto “Labyrinthos II” è stato scritto dallo storico dell’arte francese Jacques Le Goff.
Oggi le sue opere sono conservate in Musei e Fondazioni in Francia, Belgio, Italia, al Victoria and Albert Museum di Londra e al Paul Getty Museum di Los Angeles.
Il percorso della vita nei labirinti del fotografo Cesare Di Liborio
Ventisei scatti sviluppati in bianco e nero sull’idea del labirinto. Un labirinto in cui grazie alle mappe non ci si perde ma si attraversa. Un labirinto visto come possibile metafora della vita, un passaggio tra il conosciuto e lo sconosciuto. Il passaggio è proprio il filo conduttore e la cifra stilistica di tanti progetti dell’artista.
I labirinti quindi come metafora della vita. Perché il labirinto? Il labirinto visto come luogo di passaggio o come luogo di paura e ansia. Quel passaggio tra la vita e la morte, quel concetto di eros e thanatos di cui così a lungo si è parlato fin dai tempi antichissimi.
Ma in questi labirinti non ci si perde mai, grazie alle mappe vi è sempre una via d’uscita.
I progetti dei Labirinti sono due e sono strettamente collegati tra loro. Negli scatti che compongono il primo progetto sembra quasi di perdersi tra i campi di mais ma alla fine c’è sempre una strada per uscire dopo essere entrati nel labirinto attraverso le due colonne del primo scatto che ricordano esattamente “Le Colonne d’Ercole”, progetto realizzato precedentemente. E qui tra sfocature e riprese nitide, a fuoco, si fa un cammino tra le gioie e i dolori della vita. Perché l’artista sceglie proprio i campi di mais? E qui una certa relazione con il cinema, infatti è l’artista stesso che dice “quando nei film ci sono scene di panico e paura, quando ci sono scene di azione in cui la gente deve scappare, sono scene sempre girate nel mezzo dei campi di grano. E così ho trovato nei pressi di Spilimbergo questo posto che mi ha subito affascinato e ho ritenuto adatto per il progetto che avevo in mente.” E poi il percorso prosegue nel secondo labirinto, “qui - come spiega l’artista – ci accedi consapevolmente ma lungo il tragitto devi fornirti di mappe quando hai la sensazione di perderti. Fino alla mappa finale, l’ultima che ti farà capire cosa ci sarà al di là della vita.” Ma tra mappe e percorsi anche qui si intravedono viottoli o strade che ti portano sempre ad una via d’uscita. Questo secondo progetto è stato realizzato in Toscana, nelle vie cave tagliate nella pietra di tufo risalenti all’epoca etrusca, le cave collegavano diversi insediamenti e necropoli nell’area tra Sovana, Sorano e Pitigliano.
Fil rouge di quasi tutti i progetti dell’artista è questo concetto di passaggio o trapasso tra la vita e la morte ma ricorre spesso anche il tema della natura a partire da “Verde que te quiero verde” progetto che narra il passaggio in un bosco immaginario per passare a “Colonne d’Ercole” dove c’è un segno chiaro del passaggio tra conosciuto e sconosciuto per arrivare infine ai due progetti collegati dei Labirinthi.
E proprio su questo tema vorrei concludere con una frase scritta dal famoso critico francese Jacques Le Goff, recentemente scomparso, che scrisse il testo critico di “Labirinthos II”, “Il labirinto è l’espressione terrestre della ricerca di un passaggio che conduce dal noto all’ignoto, attraverso un errare assalito da paure e da angosce che è l’immagine stessa della vita, che non sappiamo se andrà a concludersi nella quiete o se si lascerà catturare e imprigionare dai meandri di spazi tortuosi segnati o meno dai sentieri.”
Il testo che accompagna il progetto “Labyrinthos II” è stato scritto dallo storico dell’arte francese Jacques Le Goff.
Le fotografie di Cesare Di Liborio sono esposte in numerose collezioni private e custodite al Victoria and Albert Museum di Londra