Willy Verginer – Baumhaus
Il progetto Baumhaus di Willy Verginer [Bres-sanone, 1957] consiste in un insolito ciclo di sculture che sviluppano un filone “puro e incontaminato” in seno alla poetica dell’arti-sta.
Comunicato stampa
Il progetto Baumhaus di Willy Verginer [Bres-sanone, 1957] consiste in un insolito ciclo di sculture che sviluppano un filone “puro e incontaminato” in seno alla poetica dell’arti-sta. Per questa sua mostra personale a Lis-sone, Verginer ha sentito il bisogno di percor-rere sentieri su cui stava riflettendo da qual-che anno, intraprendendo così una ricerca diversa e più radicale rispetto al passato. Restando pur sempre fedele al genere e allo stile di sculture note sia al pubblico che agli addetti ai lavori, Verginer ha realizzato un nucleo di opere – nate d'istinto e dalla sperimentazione – che hanno aperto nuove tematiche e diverse possibilità espressive alla sua ricerca artistica.
Con Baumhaus Verginer affronta per la prima volta il soggetto della casa: «Vedo la casa come una della prime sculture create dall’uo-mo», ammette l’artista, «trovo infatti che ci sia una forte relazione tra architettura e scultura. La casa, inoltre, è oggi molto importante anche dal punto di vista dell’ecologia e credo sia un fattore con cui ci si dovrebbe sempre confrontare». Prestando attenzione alle opere è possibile notare come gli elementi scultorei (le case) entrino in relazione con elementi naturali (ceppi, rami e radici di alberi) che l’artista ha raccolto nei boschi della Val Gar-dena. Nelle sculture vediamo arbusti o radici che scardinano le fondamenta degli edifici, tronchi che fuoriescono dai comignoli, alberi che crescono o si inerpicano all’interno delle abitazioni, situazioni imprevedibili e parados-sali che si muovono sotto il segno di uno scarto rispetto alla tradizione.
Molti dei lavori in mostra cercano una relazione diversa con lo spazio, come nel caso di Mediei, un’installazione composta da sei elementi appesi al soffitto, o la grande scultura Casa di Noè, che invade l’ambiente espositivo fin quasi a saturarlo. Un ruolo de-terminate lo gioca anche il volume delle ope-re: quelle di grandi dimensioni inducono lo spettatore a un rapporto molto diretto, mentre le più piccole rimangono in una sfera più distante e onirica. Come d’abitudine, l’artista è poi intervenuto sulle superfici levigate con campiture di colore che traggono in inganno il realismo delle forme e la vera “pelle” del legno. Nel nuovo gruppo di lavori, l’artista ha infatti accostato il grigio e il blu al colore naturale del legno, cromatismi che tematizza-no la luce e l’ombra. Il colore, mai etero-geneo, quasi sempre monocromatico, è una costante della ricerca plastica di Verginer; anziché plagiare la realtà, l’artista ne ac-centua semmai la differenza (in genere vengono lasciate intonse le parti più “naturali” della scultura mentre sono dipinte quelle più “artificiali”).
Refrattario agli sterili tecnicismi o agli asfittici virtuosismi, Willy Verginer non interpreta la scultura a guisa di monumentum bensì ne vuole fare un momentum in grado di insuf-flare la materia e l’ambiente circostante. Come dimostrano le sculture e i bozzetti esposti a Lissone, l’artista si è spinto ancora una volta – ma in modo completamente inedito – su quel funambolico bilico che con-fina in extremis con il regno della metafisica.