Secessione e Avanguardia
Con la mostra “Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915”, la Galleria nazionale d’arte moderna intende approfondire un momento di particolare fervore innovativo nella cultura artistica e letteraria italiana immediatamente precedente la prima guerra mondiale.
Comunicato stampa
Con la mostra “Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915”, la Galleria nazionale d’arte moderna intende approfondire un momento di particolare fervore innovativo nella cultura artistica e letteraria italiana immediatamente precedente la prima guerra mondiale. Un periodo breve, ideologicamente segnato da contrasti politici e sociali, durante il quale artisti e critici si interrogano sui concetti di modernità e di avanguardia.
Mentre l’Ottocento, il ‘secolo lungo’, moriva, e con esso la mitologia positiva della belle époque, una generazione di giovani artisti si poneva in aperto conflitto con il consolidato sistema ufficiale delle esposizioni (le mostre degli Amatori e Cultori a Roma, le Biennali a Venezia), contestando i criteri conservatori e selettivi che regolavano la partecipazione, rivendicando autonomia di ricerca e libertà di espressione.
Come era già avvenuto a Monaco, Berlino e Vienna e in altri centri europei, gruppi di artisti italiani giovani e meno giovani sceglievano di associarsi nel comune segno della Secessione, sia interpretata, alla lettera, come separatismo, divisione netta, sia come manifestazione che raccoglieva le forze più innovative intorno a concetti modernisti, ma in cui non tardarono a penetrare elementi di avanguardia.
La mostra della Galleria nazionale prende quindi l’avvio dal 1905, anno in cui Severini e Boccioni organizzarono nel Ridotto del Teatro Nazionale di Roma una Mostra dei Rifiutati che, benché non riuscisse pienamente nel tentativo di opposizione efficace alle esposizioni annuali degli Amatori e Cultori, costituì un primo germe di opposizione.
Le esigenze di rinnovamento e di apertura internazionale si polarizzano fra il 1908 e il 1914 a Venezia e a Roma, nelle manifestazioni di Ca’ Pesaro e della Secessione Romana. Dalle attività espositive di Ca’ Pesaro, secessioniste rispetto alla Biennale veneziana benché ospitate dall’ufficialissimo palazzo della Galleria d’arte moderna, emergono artisti che imprimeranno un segno significativo nel panorama italiano, fra i quali Gino Rossi, Tullio Garbari, Ubaldo Oppi, Vittorio Zecchin, Guido Marussig, ma soprattutto Arturo Martini e Felice Casorati, che rivelano già una forte personalità artistica. La varietà dei riferimenti del gruppo di Ca’ Pesaro spazia dalla secessione viennese al primitivismo, dal paesaggismo nord-europeo a Gauguin e al sintetismo di Pont-Aven, ma anche al nuovo rappresentato dalle opere pre-futuriste di Boccioni, al quale nel 1910 viene dedicata una mostra individuale.
La Secessione romana denuncia fin dal titolo la volontà di riallacciarsi programmaticamente agli analoghi movimenti di area tedesca e austriaca, ma si propone anche come una più ampia rassegna delle recenti esperienze artistiche contemporanee europee: dalle esperienze post-impressioniste francesi al gruppo austriaco capeggiato da Klimt, ai russi appartenenti al Mir Iskusstva. Anche a Roma, come a Venezia, emergono tendenze diverse: dalle interpretazioni elegantemente mondane del divisionismo di Innocenti, Noci, Nomellini, alle novità plastiche di Roberto Melli, fino a comprendere gli artisti stessi provenienti da Ca’ Pesaro, Rossi, Martini, Casorati, Zecchin.
La dirompente novità dei futuristi, ambiguamente emarginati dalle secessioni romane, trova una nuova sede espositiva nella Galleria permanente futurista di Giuseppe Sprovieri, che nel 1914 accoglie ancora una volta Martini e Casorati, nonché esponenti europei dell’astrattismo e futurismo, saldando definitivamente la circolarità espositiva delle nuove tendenze.
Ca’ Pesaro e Secessione Romana rappresentano quindi i poli di un’avanguardia ‘moderata’, contrapposta, non senza contraddizioni, all’avanguardia radicale del futurismo, che intende incidere in maniera rivoluzionaria sul linguaggio artistico e sulla realtà sociale e politica.
La mostra della Galleria nazionale d’arte moderna si chiude quindi sulla tabula rasa che il conflitto mondiale attua nei confronti di ogni aspirazione avanguardista, inglobandone lo slancio vitale. All’entusiastico interventismo futurista, alla nuova, modernissima iconografia della guerra, si contrappone la poetica del silenzio e dell’assenza, presagio del dramma imminente, del primo De Chirico.