Giovanni Turchi – Dea Madre
L’opera “Dea Madre” apre e da nome alla nuova mostra di Giovanni Turchi. Il quadro, strutturato come trittico, è costituito di tre pannelli ognuno dei quali presenta al suo interno una singola e apparentemente solitaria immagine.
Comunicato stampa
“Dea Madre” di Giovanni Turchi
L'opera "Dea Madre" apre e da nome alla nuova mostra di Giovanni Turchi.
Il quadro, strutturato come trittico, è costituito di tre pannelli ognuno dei quali presenta al suo
interno una singola e apparentemente solitaria immagine.
Ad accrescere questa apparente distanza tra le figure sono le differenti tecniche artistiche che
convivono nell'opera, la fotografia e la pittura, e allo stesso tempo i tre distinti soggetti
rappresentati: una figura femminile drappeggiata, una statua preistorica, un'antica Venere.
Un uniforme e profondo sfondo nero, tagliato da una linea bianca, e un drappo purpureo, che si
staglia potente sullo sfondo, legano i tre pannelli che comunicano in un più profondo dialogo.
Fulcro dell'opera è la Dea Madre che si svela nelle fattezze della Venere di Savignano e in quanto
divinità primordiale e forza creatrice diviene l'elemento generatore della composizione stessa.
L'antico simulacro, solo illusorio simbolo morto o ormai privo di significato, da vita all'intenso
legame tra il presente (pannello A "giovane donna") e il passato (pannello C "Venere esquilina"), al
dialogo tra ciò che è stato e ciò che è, in un interminabile storia infinita: la Venere preistorica, la
Venere pagana e una Venere moderna, che riprende la disposizione a chiasmo della scultura
antica, sono così inserite in un'unica composizione dove tempo e spazio non hanno più valore.
È così che si svela la ricerca artistica, chiave di lettura dell'intera mostra: continua riscoperta,
perpetua rinascita del mondo antico nella realtà presente. Un mondo pagano che, nonostante sia
stato segnato dal fluire del tempo e degli eventi, è sopravvissuto nella sua essenza al tempo
stesso e continua attraverso un filo quasi invisibile a comunicare al nostro presente.
L'uso e la scelta dei colori quanto il gioco tra fotografia e dipinto, tra realtà e finzione, catturano lo
spettatore immergendolo in un atmosfera sognante. Esso diviene partecipe di un mondo pagano a
prima vista scomparso ma che in realtà ci circonda e si svela ad un occhio più accorto e profondo.
Attraverso la fusione dei tre linguaggi poetico, fotografico e pittorico, l'artista sembra condurre per
mano lo spettatore all'interno dell'intera mostra e avvicinarlo in tal modo alla propria ricerca
poetico-visiva e al proprio mondo. Una ricerca in cui il limite tra finzione e realtà è divenuto
impalpabile e a cui lo spettatore è invitato per riscoprire ciò che in apparenza è passato e poter
accedere così a un mondo in cui ieri e oggi convivono, in cui le antiche divinità prendono forma e
"gli dei dimenticati ci guardano..."
Lucia Giardina