A Massimo Pulini è stata affidata l’impresa del recupero della cultura e dell’identità nella città-simbolo dell’Italia rivierasca. Nato a Cesena nel 1958, è stato negli anni ‘80 uno dei componenti più modernisti del gruppo degli Anacronisti. Con lui e altri “pittori colti”, critici come Calvesi, Tomassoni e Mussa hanno curato mostre che riallacciavano l’arte contemporanea a quella del passato.
Lei non è un politico. Se l’aspettava questa chiamata?
Come un ateo può pensare di diventare vescovo. Credo di essere una doppia anomalia, come assessore artista e come assessore anarchico. Però credo nel “situazionismo amministrativo”, per cui ho accolto con interesse la proposta.
Cos’ha combinato nei primi 100 giorni?
Ho fatto una ricognizione sugli spazi pubblici. Ci sono realtà musicali e teatrali che hanno bisogno di luoghi di produzione e d’espressione. Degli spazi espositivi, invece, va cambiata l’abitudine di soddisfare semplicemente le richieste di associazioni e privati.
Cosa manca a Rimini?
Una galleria d’arte moderna e contemporanea. FAR – Fabbrica Arte Rimini, che stiamo allestendo nel Palazzo del Podestà e nel Palazzo dell’Arengo, sarà un laboratorio creativo ed espositivo.
Cosa farete in concreto?
Siamo in un periodo di austerity, ma le arti possono produrre le cose migliori in momenti di crisi. Faremo cinque personali l’anno. Quando sarà a regime, FAR potrà realizzare cataloghi e chiamare curatori che affrontino argomenti tematici. Intanto sto studiando una rivista che commenti le iniziative di tutti i musei, che così saranno messi in rete.
Che ne sarà di Castello Sismondo?
Sarà gestito per alcuni anni dalla Fondazione Cassa di Risparmio e Marco Goldin proseguirà con le sue mostre, privatamente.
Che ne pensa del fenomeno Goldin?
Sono mostre di grande impatto, anche se non sono legate al territorio. Hanno portato molta gente, quindi ben vengano. Poi si può essere d’accordo o meno sulle scelte…
Altri progetti?
Sarà impegnativo gestire la Domus del Chirurgo, portata alla luce qualche anno fa. È una casa romana implosa dopo un incendio, che ne ha mantenuto intatte le suppellettili: un apparato completo da chirurgo del I secolo.
Parliamo di teatro.
Abbiamo un grosso progetto che riguarda il Teatro Galli. Distrutto nell’ultima guerra, ha visto fallire un tentativo di ricostruzione, che ora riparte grazie a fondi europei. Un evento creato da un gruppo teatrale riminese ne aprirà le porte alla cittadinanza. Questo progetto lo considero il manifesto di un atteggiamento di riscoperta di luoghi occultati e di una memoria storica che a Rimini è molto ricca.
E il Museo della Città?
Ha potenzialità enormi. Avrà presto 150 sale, con una proposta che va dall’archeologia a Fellini, incluse le sezioni di antropologia e l’etnografico Museo degli sguardi. Sarà un intero isolato, con un giardino in centro, diverrà un villaggio delle arti. L’intenzione è potenziare l’offerta, rendendo il museo vivo anche grazie ad allestimenti “metaforici”. Lo spirito sarà quello delle mostre degli ultimi anni di Palazzo Forti, dove l’abbinamento di opere distanti nel tempo e nella geografia riescono a dare relazioni e creare interessanti cortocircuiti di lettura.
Sa di che budget disporrà per i suoi progetti?
Ridiscutiamo il bilancio a novembre, cercherò di far valere le mie idee nella suddivisione dei soldi. Molto sarà fatto seguendo l’idea di un’ecologia e di un recupero, con l’orgoglio di fare pesare la forza delle idee.
Dovrà fare un po’ il found raiser?
Lo sto già facendo con alcuni attori economici, ma vorrei presentarmi con alcune cose fatte. Sono ottimista, perché in alcune iniziative le aziende hanno dato già segnali positivi.
Un artista prestato alla politica non è proprio scontato come sarebbe un commercialista al bilancio. Che novità pensa di apportare alla politica cittadina?
Mi sto impegnando a fare discorsi non retorici, ma interventi che entrino nell’argomento e che abbiano un atteggiamento sentimentale e, se possibile, anche poetico. Spero possa far comprendere la voglia di avere uno sguardo diverso dal politico. La retorica ha causato un disamore tra politici e cittadini che va ricucito. Servono parole di spontaneità, a volte anche rischiando i passi falsi dell’inesperienza.
Nicola Davide Angerame
LEGGI ANCHE:
Cagliari
Bologna
Napoli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #3
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati