Avevo dei princìpi

  • AREA 35

Informazioni Evento

Luogo
AREA 35
Via Vigevano 35 (20144) , Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

lunedì - venerdì: 18.00 - 20.30, sabato - domenica: 15.00 - 19.00

Vernissage
12/12/2014

ore 18

Curatori
Francesco Liggieri
Generi
arte contemporanea, collettiva

Ognuno dei 14 artisti in mostra propone un’opera significativa del proprio passato, in dialogo con il lavoro più attuale.

Comunicato stampa

La continua ricerca di stimoli nuovi e la voglia di ampliare i propri orizzonti, ha portato il collettivo milanese Anonimartisti, giovani artisti conosciuti nella scena milanese (e non solo), portatori di sogni e di idee nuove, rivoluzionari e idealisti che propongono un ritratto del mondo attraverso le arti visive (fotografia, pittura, installazione, video e scultura si fondono in un momento di aggregazione artistica), a coinvolgere per questo evento culturale il collettivo veneto No Title Gallery che realizza esposizioni culturali di qualità e valore artistico, portando alla luce nuovi artisti e nuove idee.
Concept dell'evento: C'è un punto in cui l'opera diventa arte per il suo autore. A questo seguono molti altri punti che segnano il percorso evolutivo di ogni artista. E poi c'è un punto in cui bisogna fermarsi e guardare indietro per andare avanti. Questo punto è "Avevo dei princìpi". Ognuno dei 14 artisti in mostra propone un'opera significativa del proprio passato, in dialogo con il lavoro più attuale.
Il percorso intrapreso è nato da una riflessione sull'arte nel suo significato più ancestrale e di come riportare l'artista al suo istinto primordiale, a quel momento in cui ha sentito la necessità di lasciare un segno, nel cercare o creare un supporto sul quale trasfigurare il proprio essere. Il momento in cui tecnica e contenuti, in simbiosi, hanno contribuito alla formazione dell'artista stesso.
La mostra prevede una esposizione di opere che variano per la tecnica utilizzata: dalle arti visive classiche a quelle più sperimentali, interattive e contemporanee. Ogni artista propone due lavori. Il primo, "il segno primitivo", sarà l'opera che raffigura l'inizio di quel percorso artistico nel senso più stretto (non necessariamente la prima opera, ma un'opera che rappresenti bene l'inizio del percorso dell'artista), mentre il secondo raffigura "la morfosi" (evoluzione della prima opera o evoluzione dell'operato dell'artista in generale), lo sviluppo della tecnica utilizzata e di un linguaggio più introspettivo.
Lo scopo della mostra è quello di creare uno spazio concreto, in cui proporre un'arte senza alcuna aura criptica. Porre dinanzi allo spettatore la figura dell'artista e del suo operato in una interpretazione più semplice e genuina, contrapponendo due lavori dello stesso autore che rappresentino al meglio l'inizio e l'attuale.

Contatti:
Media Relation‐Press Office ANONIMARTISTI: CAP a.s.d., Chiara Pagano, Mail: [email protected],
Anonimartisti: www.anonimartisti.it, Mail: [email protected] / facebook: r-EVOLution_Anonimartisti
Media Relation‐Press Office NO TITLE GALLERY: HOODOOH s.n.c. / [email protected],
No Title Gallery: www.notitlegallery.com/ facebook: No-Title-Gallery

Artisti e descrizione opere ANONIMARTISTI

ALAN ZENI: Proprio il tema di questa mostra mi ha dato modo di guardare il mio percorso dall’alto, deciso a scovare quale potesse essere il difficile filo conduttore che si celava in un percorso con risultati lavorativi esteticamente così differenti. Invece il nesso è stato chiarissimo e subito leggibile. Il mio è sempre stato un lavoro votato a portare in luce gli atteggiamenti normalmente segreti che tutti hanno: togliersi le mutande dal sedere, mostrare l’ascella o avere un amante. Qui lo rappresento con il lavoro più immediato e dissacrante: ‘la merdarosa’. Il lavoro si è sviluppato drogando la pittura con la fotografia e rendendo l’atteggiamento involontario del corpo principale attore, nascondendo gli occhi. Ciò che tutti viviamo senza controllo e finzione è portato al sole, mostrando le fragilità:
-“La Merdarosa”, Acrilico su tela, 50x60 cm. 2008: Il primo e dissacrante lavoro dedicato a vivere con un sorriso lo scarto della normalità, vissuto come vergogna intima ma che appartiene a chiunque.
- “Soul”,Composizione di fotografie, Smalto su carta martellata stampata e strappata, Misure variabili, 2014: Un progetto che mette a nudo la nostra natura. Un album di foto che recupera il senso delle immagini: mostrarci per quel che siamo. Il corpo parla, gli occhi ingannano. La foto che supera il confine del Social Network, del selfie e del controllo sulla propria immagine. Un Nudo, senza spogliarsi.

ALESSANDRO MINOGGI: Il mio lavoro è prevalentemente pittorico e figurativo. Dipingo donne che diventano modelle o attrici della mia estetica o messaggio. Le opere presentate a questa mostra incarnano due visioni del vivere completamente contrapposte, riassumibili nelle dicotomie pieno/vuoto, sensibilità/aridità, socialità/solitudine. Due visioni che mostrano il mio modo diverso di vedere le cose (dai 16 anni del primo dipinto ai 34 del secondo) e un evoluzione della società contemporanea che non è la mia, ma bene si sovrappone all’evoluzione del mio linguaggio visivo:
- “Regina di cuori”, Acquarello su carta, 70x100 cm. 1996: La figura di questo quadro vuole incarnare una visione ottimistica e curiosa della vita, in un surreale sogno fatto di musica e videotape, sensualità e armonia. La Regina si apre al mondo che l’accoglie col desiderio di avvolgerlo e farsi avvolgere, di donargli la propria esperienza, la propria vita, per diventare un tutt’uno con esso in un legame estetico indissolubile.
- “Selfie#01: regina di cuore”, Acrilico su tela, 70x150 cm. 2014: La Regina oggi è più giovane e la visione che incarna è forse più sensuale, ma è in miseria affettiva. Non c’è più curiosità, né ottimismo ma molta solitudine negli spazi angusti abitati dagli specchi. Non c’è più nulla fuori dal corpo da toccare o da ascoltare, non c’è il calore del mondo. Ma forse è solo la freddezza che si percepisce nel passaggio dal plurale al singolo, dal tutto all’uno.

DRUNKENRABBIT: Tutto il mio percorso si concentra su un’unica protagonista, la donna, filtrata attraverso quattro personaggi-caricature: la Matrioska, la Borghese, la Santa, la Prostituta. Il mio lavoro apparentemente provocatorio e narrativo vuole in realtà essere un filtro con il quale guardare l’assurdo contemporaneo attraverso una chiave ironica-infantile:
- “Behind the Matrioska”, Acrilico su tela, 50x70 cm. 2008: Quest’opera è incentrata sul grande potere della fragilità. Racconta di una donna venuta da una terra lontana che cerca di intraprendere strade diverse da quelle prestabilite. La bambola russa, solitamente vista in altre vesti, apre il manto e mostra all’ osservatore tutto ciò che viene da sempre celato.
- “La Chiave di Volta- La Coscienza modifica la Materia”, Tela: Acrilico su tela , 66x86 cm., Installazione: Legno, vetro, materiali vari, 51x63 cm. 2014: In quest’ultimo lavoro il dipinto dialoga con l’installazione. Una Santa (ispirata alla carismatica figura di Santa Chiara da Montefalco) osserva una superfice su cui giacciono dei flaconi di profumo decorati da suadenti parole che sprigionano insolite fragranze. Lo scopo dell’installazione è suscitare una reazione nel pubblico, che può interagire: toccare, annusare e spruzzare. I nomi delle fragranze sono ispirati al concetto che ogni uomo è energia, che ogni uomo può, con il proprio pensiero, modificare la materia e gli eventi. Non esiste un fato che decide per noi, perché siamo noi i fautori di ciò che saranno i nostri prossimi minuti, le prossime ore, i prossimi anni. Quindi inutile ricoprirci di appellativi e definizioni: siamo noi gli osservatori supremi

della nostra realtà fisica e materiale, che percepiamo, quindi creiamo. A differenza delle opere iniziali, quest’ultima,
vuole segnare l’inizio di un nuovo percorso, in cui non si trova più soltanto la tela: essa si arricchisce con elementi che vanno oltre. Come se un mondo bidimensionale, per comunicare con lo spettatore, alle mie ninfe non bastasse più.

FRANCESCA LOLLILa mia ricerca parte dal teatro per arrivare alla performance e alla video arte. I miei temi si concentrano sulle diversità di genere e i problemi socio-politici. L’artista è il medium attraverso il quale i mali dell’epoca si manifestano, trovano espressione. Spesso gli artisti si ripetono e si ripetono i concetti da loro espressi. Questo succede perché il mondo nel quale sono immersi non cambia, ma si ripete anch’esso. Da qui l’esigenza di ribadire gli stessi concetti, in una forma nuova:
- “Ossessione della giovinezza”, Video performance, Dimensioni variabili, 2009: “Ossessione: della Giovinezza” fa parte di una serie di video chiamata “Ossessione”. Il ciclo è un percorso nella psiche umana, una lente sulle angoscie e sulle debolezze della società contemporanea. L’attesa, la giovinezza che sfugge, il possesso, il corpo, il mezzo televisivo, il sesso, il potere, il peccato, l’assenza, analizzati da uno sguardo esterno rilevano la profonda vulnerabilità della mente. “Ossessione” permette uno sguardo sui pensieri, i dubbi e gli impulsi ricorrenti che affliggono l’individuo e che, nonostante questi tenti di ignorarli o sconfiggerli, si tramutano in compulsioni ineludibili provocandogli una profonda sofferenza.
- “Duty of beauty”, Video performance, Dimensioni variabili, 2014: Il lavoro parla della bellezza come un imperativo: un problema che si registra in tutti i Paesi, non solo a casa nostra. Basti pensare che in Brasile il governo finanzia, per chi ha una bassa autostima, gli interventi estetici, in particolare quelli al seno, poiché li ritiene meno costosi di una psicoterapia. In Italia 180 mila persone ricorrono alla chirurgia estetica
(dati SWG, 2009). Negli Stati Uniti il fatturato della chirurgia si aggira intorno ai 15 miliardi di dollari. È proprio una nuova droga e, come tutte le droghe, non basta mai. Un ritocco tira l’altro. Si entra in un giro infernale nel quale
non ci si vede mai abbastanza belli, mai abbastanza perfetti. È una malattia che fa combattere con la propria immagine che diviene il teatro del proprio essere e delle proprie ossessioni.

MATTIA BARF CARNE: Fin dagli inizi della mia esperienza artistica, le mie opere sono state il risultato del connubio tra pittura e musica. Musica e arte sono da sempre i due mondi che nelle mie opere si incontrano, tanto che spesso la musica è diventata il soggetto stesso del mio lavoro così come l’arte lo è diventato nelle mie canzoni (perchè la passione “passiva” per la musica dal 2007 è diventata attiva):
- “Rap Style”, Tecnica mista su cartoncino, 33 x 48 cm, 2004: Questo lavoro, realizzato quando frequentavo le scuole medie, rappresenta il manifesto di un ipotetico evento rap. Posso definirlo dunque come una sorta di prima manifestazione del rapper/writer “latente” che era dentro me e che di lì a poco sarebbe venuto fuori.
- “Rap Style 2014”, Tecnica mista su cartoncino, 50 x 70 cm, 2014: L’idea che sta al principio di quest’opera è quella di realizzare un vero e proprio remake in chiave attuale del mio primo lavoro, con la consapevolezza e l’esperienza accumulata negli ultimi dieci anni.

MARCELLA SAVINO: La mia fotografia è ispirata da storie di vita quotidiana nella sua espressione più intima. È la figura umana che fa da soggetto: spogliandola dai suoi indumenti quotidiani ho la sensazione di riportarla ad uno stato libero, primordiale. Davanti a essa utilizzo un filtro che ogni volta plasmo in maniera diversa e su cui segno le mie emozioni, lasciando passare solo ciò che è per me l’essenziale del racconto. ll legame uomo-natura è una relazione alla quale ho dato sempre molta importanza:
- “Inverno”, Stampa su carta fotografica, 20x30 cm. 2010: Racconta la sensazione che ho provato spostandomi dalla mia terra. La solitudine che si percepisce nella moltitudine di persone, l’inverno dell’anima come una città innevata dove i neri rami degli alberi metropolitani sembrano parte di una vita sotterranea che tenta di venir fuori così come la natura dell’uomo e le sue relazioni.
- “In un soffio”, Stampa ai pigmenti di carbone su carta Hanemulhe, 70x100 cm. 2014: A distanza di anni “In un

soffio” nasce dall’esigenza di voler spezzare i ritmi frenetici che viviamo quotidianamente, voltando le spalle allo stile di vita che la società ci impone. Rappresenta un momento di stasi in relazione con la natura, risentendosi parte di essa e scoprendo il godimento nel passaggio di un soffio di vento. Per recupere così quel rapporto panico dell’uomo con la natura.

LELE DE BONIS: Il mio lavoro parte dal concetto di “assemblaggio”, all’interno del quale mi muovo in ambiti più figurativi che astratti. Ho da sempre cercato di rappresentare nelle forme più svariate, tutto ciò che assorbo dal contesto culturale in cui vivo. La rappresentazione dell’essere umano diventa centro di gravità di quasi tutti i miei lavori. Se l’amore per tutto quello che è “umano” è rimasto negli anni più o meno sempre lo stesso, quello che è cambiato, al di là del livello stilistico, è il tipo di approccio a tale rappresentazione. Se i miei primi lavori avevano una pulsione totalmente distruttiva e di contestazione del mondo in cui vivevo, sono passato negli anni a un graduale propositivismo che mi ha portato a essere più benevolente nei confronti delle disgrazie e gioie umane che governano la società contemporanea occidentale. Non si tratta però di un passaggio ad una visione positivista, quanto invece alla nascita di una ricerca di qualche forma di poesia anche nelle più svariate forme di miseria umana:
- “Marionette”, Disegno su collages di carta, 50 x 35 cm, 1996: Un teatrino sociale sul cui palco si esibisce una marionetta umana governata da una serie di regole e convenzioni. Il pubblico non capisce il senso di quello che accade.
- “Freedom”, Installazione, Misure variabili, 2014: Un insieme di strani personaggi (il numero delle sculture è destinato a salire a 10-15 pezzi) che corre festosa verso lo spettatore. Non esistono vincoli e regole, non ci sono preziosismi stilistici, solo un semplice attimo di ribellione mentale che si libera in una corsa festosa verso il pubblico. A volte non esiste niente di più pericoloso e disarmante della felicità nei comportamenti degli altri.

MATTEO SUFFRITTI: Spesso utilizzo la fotografia come mezzo per realizzare parte delle mie opere: light box, installazioni o assemblaggi. Ciò che contraddistingue il mio lavoro è la ricerca, la sperimentazione. L’inizio del mio percorso artistico nasce da una fotografia più tradizionale, a cavallo tra analogico e digitale:
- “...Conscio/9”, Stampa digitale lambda su plexiglass, 44x66cm 2011: Con il progetto “...Conscio/” ho voluto distogliere il mirino della mia macchina fotografica dal mondo esterno per condurre una ricerca dal taglio più introspettivo e personale. Da uno sguardo cosciente sull’inconscio ne è scaturito un lavoro dal tono onirico, punto di incontro tra reale e surreale.
- “Pietà”, Installazione, misure variabili, 2014: Il volo di un uccello e la tassidermia. Vita e morte, qui esposte, qui vicine tra loro. La libertà di un battito di ali e la durezza dell’imbalsamazione. La semplicità di un movimento naturale, istintivo, contrapposto a una tecnica artificiosa per la conservazione dei corpi.

Artisti e descrizione opere NO TITLE GALLERY

108: Principalmente uso la parte irrazionale nei miei lavori, cerco di rappresentare me stesso in tutto quello che faccio, che non è solo pittura. Non mi è mai piaciuto il termine street art, lo trovo limitante. Realizzare opere d’arte in luoghi pubblici è stato, ed è ancora, importante per me e sento costantemente il bisogno di farlo. È una cosa magica, un rituale proprio:
- “Terramater I e II”, China su carta, 24 x 30 cm cadauno, 2013: Le mie forme nascono attraverso una sperimentazione continua, talvolta casuale, che parte da dentro e si esprime mano a mano che il disegno progredisce. Sono forme quindi naturali, perché si sviluppano come in natura.
- “Suicide Path”, Acrilico su tela, 35 x 40 cm. 2013: Non rappresento oggetti realmente esistenti: creo forme che sconvolgano, che mettano anche a disagio. Il nero è il colore che preferisco e che penso sia più adatto a trovare la forma per comunicare la mia estetica e, soprattutto, mi dà una certa soddisfazione.

LUCA BORTOLATO: L’amore per le immagini c’è sempre stato. È cresciuto e si è trasformato negli anni, portandomi all’incontro inaspettato con la fotografia. Non la stavo cercando e l’ho trovata. È esplosa davanti alla mia prima immagine che ho voluto, coscientemente:
- “Untitled”, Immagine su supporto a rullino in bianco e nero, stampa lambda 50x70 cm. 2009: E’ stata una visione

di fuggevolezza, il mio non conoscermi che appare, il tempo che sfugge, impalpabile in tutte le sue proiezioni. Un mio bianco e nero che ora vivo in maniera primitiva, madre e padre di quel colore che ho dovuto inseguire.
- “Untitled”, Immagine su supporto a rullino a colori, stampa lambda 50x70 cm. 2013: Nella fotografia ho trovato il modo intimo di raccontare e raccontarmi. Questa consapevolezza arriva attraverso gli azzurri dei sogni, del tempo presente ma impalpabile, carico di nebbie e non luoghi. La ricerca dell’identità: la mia, quella di chi è ritratto, quella di guarda. Un divenire di volti non presenti, nascosti, di trasposizioni di me stesso attraverso l’altro. Tutto diventa silenzio.

MARCO CECOTTO: Ho iniziato lavorando con il feedback per poi tornare, negli ultimi anni, a lavorare nuovamente con il feedback:
- “Stazioni Morte”, Traumgedanke Kollektiv - Marco Cecotto (concept, suono), Ludovico Giro (suono), Fabio Romanato (video), file audio/video (registrato dal vivo), generazione ed elaborazione in tempo reale di feedback audio e video, 2006: È la mia prima, rudimentale, installazione sonora, composta da una serie di televisori impostati su un canale non sintonizzato e un mixer che dà la possibilità ai visitatori di operare una sintesi sottrattiva sul rumore bianco prodotto dai televisori. Nello spazio dell’installazione, la prima volta che la presentai, realizzai una performance basata sull’elaborazione in tempo reale di feedback audio prodotti con basso elettrico (Marco Cecotto) e chitarra elettrica (Ludovico Giro), e feedback video (Fabio Romanato) ottenuti con telecamera e televisori.
- “Inner Voices (light-controlled version)”, installazione multimediale generativa e interattiva, sistema elettronico e informatico per la generazione ed elaborazione in tempo reale di feedback audio tramite impulsi luminosi generati dagli stessi feedback audio, 2013-14: Il mio obiettivo qui è principalmente di ordine pratico: realizzare qualcosa che chiunque, in qualsiasi luogo, spazio o situazione, senza un budget o una dotazione audio professionale, possa realizzare da sé. L’unità centrale di questa installazione sonora interattiva è il sistema audio di un comunissimo computer e un “seed” (seme): un software applicativo free implementato in Pure Data. “Inner Voices” si può realizzare usando da uno a un numero imprecisato di computer, in qualsiasi luogo, per una qualsiasi durata di tempo. Il computer diventa così un soggetto dotato di una propria voce interna e crea una situazione dove i soggetti possono interagire sonoramente con l’ambiente circostante e scatenano un processo indeterminato, che si auto produce ed evolve.

DELLACLA DELLACLA’: Da che ho memoria scarabocchiavo, disegnavo e coloravo interi quaderni. Raccoglievo sassi e frammenti di marmo che scolpivo con un chiodo e un sasso: il mio tesoro segreto per “quando sarò grande!”. La mia formazione inizia in una società globalizzata, con pubblicità e modelli preconfezionati, incertezze, precarietà e inquietudine. Le leggi che cambiano continuamente, la comunicazione diventa immediata, internet, il digitale, il pubblico e il privato si mescolano tra realtà e finzione:
- “Fuck Gold”, Olio su tela, 100 x 100 cm. 2007. In mostra 50 x 50 cm, fotografia, 2014: Diventa sempre più difficile comprendere la propria identità e così dipingendo si manifesta il mio alter ego “Dellaclà” attraverso l’autorappresentazione per mascherare il peso della violenza con la leggerezza dell’autoironia.
- “Memorie che credevo perse”, Plexiglass, acciaio e gesso, 25x33x10 cm. 2014: È l’incontro con l’incisione che segna una rottura con il mio passato. La tela viene sostituita dalla lastra di zinco e dalla gommapiuma, diventando la pelle sulla quale le incisioni vengono impresse. A questo punto il concetto prende forma, viene sagomato, inciso e acidato sull’ oggetto/lastra. Sono metafore ironiche offerte allo spettatore senza alcuna pretesa di essere capite; condizioni universali che alludono alla fragilità, fisica e morale, alla sensibilità, alle scelte e al rischio a cui la vita e la volontà

dell’uomo sono sottoposte continuamente. La ricerca e il territorio fanno si che all’uso dello zinco affianco la trimensionalità del marmo, sperimentando su di esso le esperienze maturate. Creo un connubio di diversi materiali
(zinco, marmo, ferro, gesso, vetro, specchio e plexiglass) e a volte una sorta di ready made che crea piccole e grandi sculture/installazioni.

DIEGO KNORE: Il mio percorso artistico inizia nel 2003 con la street art. Dipingo in numerose città italiane ed
europee. Successivamente entro in contatto con altri movimenti underground e sviluppo uno stile più dark e grottesco. Attraverso il disegno e, successivamente, utilizzando la fotografia esprimo al pubblico tutto il mio amore per il macabro e l’horror:
- “Madre Natura”, Acrilico su tela, 40 x 50 cm. 2009: Una madre natura surreale, scheletrica, scavata e consumata, ma ancora in contatto con la terra. Non è più una forza positiva e creatrice, ma una figura oscura, matrigna piuttosto che madre, che avvicina i propri figli solo per poi divorarli. Porto le mie esperienze di street art su tela e, attraverso esse, mi confronto con lo spirito oscuro che da sempre mi accompagna.
- “Obscura”, 9 foto, stampa su carta fotografica, 35x40cm. (cadauna), 2014: Gli incubi e le presenza inquietanti che finora avevo solo disegnato, diventano realtà. Sono presenze reali, fotografabili e per questo motivo ancora più temibili e sconfortanti. Ho sempre utilizzato maschere nei miei lavori: qui esse, pur coprendo il volto, mostrano la vera, surreale e mostruosa essenza dei personaggi che abitano le mie opere.

MAURIZIO L’ATRELLA: Il mio lavoro indaga la facoltà di richiamare alla coscienza i desideri e gli affetti. Traducendoli in immagini, li conservo fissandoli in visioni istantanee. È il mondo delle luci e delle ombre interiori che mi porta ad avere un rapporto con dimensioni altre. Dove il giudizio e la presa di posizione non esistono ma conta solo l’osservazione consapevole. Consapevole che sogno e realtà convivono: come luce e ombra, bene e male, alto e basso, dentro e fuori. L’equilibrio tra il tutto è fondamentale, un ambito punto d’arrivo:
- “Good kids/bad kids”, Olio e smalto su tela, 100x 80 cm. 2010: La materia si configura in racconti intimi che sono tuttavia modello archetipico di realtà legate all’infanzia, fine dell’infanzia, inizio dell’adolescenza e a tutto il bagaglio emotivo e immaginario a esse legato. L’interesse è quello di scavare nel subconscio tra ricordi di atmosfere felici e non. La ricerca legata a questo lavoro si è evoluta riguardo alla tecnica pittorica. La sperimentazione di colori a olio, mischiati con smalti lucidi, ha dato vita ad atmosfere particolari, molto intimiste, dove il sogno, la visione e i ricordi dialogano con una realtà assai peculiare. Le figure appaiono dal fondo spesso incomplete, si amalgamano e si formano con esso. Il fondo e l’immagine sono co-protagonisti.
- “Monk Key”, Olio su tela, 136 x 96 cm. 2013:Perché gli animali? Gli animali mi riportano a dimensioni pure, sconosciute, o meglio, per quanto mi riguarda, abbandonate. Istinti necessari più o meno sopiti. Animali che fanno da ponte tra noi e le diverse dimensioni o dimore, le abitano e si spostano in più di una avendo uno sguardo libero da pensieri e interpretazioni vincolanti. Animali sacerdoti o guardiani, messaggeri per alcune filosofie. Reincarnazioni di vite lontane per filosofie altre. La mia ricerca attraverso le diverse filosofie spirituali ora mi porta ad avere come soggetti principalmente gli animali ma non posso pormi limiti e non so dove essa mi stia realmente conducendo.