Massimo Achilli & Rita Mele – Dialoghi Segreti da Marguerite Duras
Un testo si innesta su un testo; e sul testo primo, qui un racconto di Marguerite Duras, e sul testo secondo, il libro di scritture e di foto e l’istallazione di Massimo Achilli, si innesta un terzo testo, una elaborazione di Rita Mele: è costruita così questa opera polifonica, una sorta di matrioska interlinguistica, e così abbiamo bisogno che si strutturino la socialità, la nostra cittadinanza.
Comunicato stampa
Venerdì 9 gennaio 2015, alle ore 18,00 a Roma, presso lo Studio Arte Fuori Centro, via Ercole Bombelli 22, si inaugura la mostra di Massimo Achilli e Rita Mele, Dialoghi Segreti da Marguerite Duras Installazione per un visitatore alla volta. Testi di Marcello Carlino
L’esposizione rimarrà aperta fino al 23 gennaio, secondo il seguente orario: dal martedì al venerdì dalle 17,00 alle 20,00.
L’evento è il primo appuntamento di Osservazione 2015 ciclo di cinque mostre in cui gli artisti dall’associazione culturale Fuori Centro, tracciano i percorsi e gli obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione.
Un testo si innesta su un testo; e sul testo primo, qui un racconto di Marguerite Duras, e sul testo secondo, il libro di scritture e di foto e l’istallazione di Massimo Achilli, si innesta un terzo testo, una elaborazione di Rita Mele: è costruita così questa opera polifonica, una sorta di matrioska interlinguistica, e così abbiamo bisogno che si strutturino la socialità, la nostra cittadinanza. In uno spazio, che ha molto del teatro delle emozioni e della conoscenza, in cui vivono il confronto e la risignificazione basati su varie logiche di percezione e di sguardo, giocati su articolate proiezioni di stile; in uno spazio rituale di ricerca che si interroga sui segreti che ci interpellano per metterli in chiaro e per filarne in discorso le trame; nello spazio di una comunità interpretativa che si ritrova in un insieme partecipato e in cui tutti sono a loro modo attori, autori.
DIALOGHI SEGRETI
Di Marcello Carlino
Una teoria della letteratura che ancora resiste ai colpi dell’effimero postmoderno, e delle mode, è quella che fonda il romanzo su di una struttura dialogica e ne rileva essenziali la matrice, l’impulso polifonici. Per analogia, come su di una griglia narrativa, è costruito anche l’evento di Dialoghi segreti; e uso a bella posta il termine evento – che ha avuto corso specialmente nella stagione della ricerca sperimentale nel campo delle arti – per marcarne l’esporsi al tempo, con i suoi flussi variamente determinati nello spazio delle transazioni tra oggetto e soggetti, e per evidenziarne, dunque, le dinamiche di svolgimento, i caratteri di work in progress.
Intersemiotico, poiché interpella congiuntamente la verbalità e le immagini, l’oralità e le scritture; pluriprospettico, poiché ai sistemi di segni attivati corrispondono volta a volta una focalizzazione diversa e diverse sfumature di interpretazione e di proposta di senso; pluristilistico, come suggeriscono, in prima battuta, la dialettica del movimento e del fermo, della stazione e del percorso (l’installazione qui chiama al viaggio anche su invito del ritmo di suoni e di luci), nonché l’interagire della individualità e del collettivo, del singolare e del plurale nei processi di elaborazione e di fruizione; ipertestuale, poiché testo pluristrato e polimaterico in cui testo si innesta su testo, mentre la preesistenza testuale d’origine è un racconto di Marguerite Duras, Dialoghi segreti di Massimo Achilli e Rita Mele è rappresentazione ed è lettura ed è rivisitazione ed è diramazione ed è espansione, evento sopra evento, della storia di per sé polisensa incisa dalla penna/bulino della grande donna scrittore, dalla cui opera esemplare, non solo della più grande letteratura al femminile, il viaggio qui comincia.
L’amore e la morte, l’attrarsi dei corpi che intorno fa deserto, l’enigmatico gioco delle parti tra vittima e carnefice nell’incontro di coppia, la crudeltà del sacro e dell’eros delineati da un bianco e da un nero abbacinati, il dono e il sacrificio, la presa diretta e il riflesso, l’oggetto toccato dalla manipolazione conoscente e la proiezione virtuale astraente e de-realizzante, la materia e l’ombra, le rotte di volo del pensiero, l’assolutizzarsi come geometrico delle forme in una ritualità che le trascende e il rosso gocciolante del femminicidio, con il sangue che riceve l’omaggio di un petalo di rosa: questi valori di significato si giocano e si confrontano, si intrecciano e si sventagliano, lasciandosi come spippolare e aprendosi a inusitate, ulteriori interferenze, nello strutturarsi dell’evento, nel suo esporsi ed offrirsi a chi osserva e vi prende parte.
Ma un significato aggiunto, e forse il più rilevante, coincide con una intenzione di racconto che persuade a leggere il vissuto di cui abbiamo testimonianze, e le realtà plurime di cui ci accade di fare esperienza, quali nodi articolati e complessi. Lontano, dunque, da ogni semplificazione e da ogni condizionamento del pensiero unico, che sono diventate le regole e i vettori dell’odierna società dello spettacolo, una società da uomo ad una sola dimensione; e invece in rapporto stretto e vitale con un progetto e con una deliberazione di incontro che accolga e armonizzi le differenze; e riconoscendo la forza propositiva del dialogo, che tanto può fare, che è risorsa imprescindibile in proiezione di un futuro di ricchezza interculturale, l’unico futuro possibile nel rispetto di una vera qualità della vita: per questo Dialoghi segreti è un evento, è un opera coerente e compiuta, è insieme un invito alla partecipazione. Il suo impianto è da scatola scenica aperta, praticabile, con un foyer d’accesso scandito da suoni luminosi, con un accenno di sipario riempito in trasparenza dai segni di una scrittura di ingresso per lo spazio di là, con gli arredi di scena che sono fatti ad uso di chi calchi quella sorta di ribalta per cominciare la rappresentazione, con il fondale che chiude questa sorta di abside; come in un teatro, la cui storia dapprincipio lo lega al rito, lo spettatore è chiamato ad entravi, epperò per rendersi attore e, nel farsi interprete, per cooperare in un ruolo che si direbbe autoriale. Un ruolo che dovremmo sostenere con convinzione. Tutti. Comunque e sempre.